Nato a Siracusa nel 1994, Alessandro è un artista contemporaneo che ha saputo fondere in modo originale la sensibilità pittorica con un’attitudine profondamente progettuale. Dopo gli studi al Liceo Artistico di Siracusa, si trasferisce a Milano per formarsi all’Accademia di Belle Arti di Brera, dove approfondisce la pittura come linguaggio di sperimentazione e ricerca. Parallelamente alla formazione accademica, lavora come designer per un’azienda di mosaici d’eccellenza, dove realizza opere su misura per architettura navale e progetti d’interni di altissimo profilo. Questa esperienza lo introduce in modo naturale al mondo dell’arte su commissione, affinando un approccio che diventerà la cifra distintiva della sua poetica: non più creare partendo da sé, ma ascoltare profondamente l’altro. Durante il periodo del lockdown, nel 2020, Vinci matura la consapevolezza definitiva che l’arte è la sua strada assoluta, non solo come vocazione creativa ma come progetto di vita. Da qui nasce, nel 2021, il suo studio “Alessandro Vinci Arte – QuadriSuCommissione.it”, oggi una realtà artistica e imprenditoriale consolidata, con sede a Galliate (NO), in cui l’artista e il suo team lavora quotidianamente alla realizzazione di opere pittoriche pensate su misura per privati e collezionisti. La sua pratica si fonda su un linguaggio astratto e materico, ma sfugge a ogni classificazione stilistica. Vinci stesso rifiuta l’idea di uno “stile personale” come marchio riconoscibile e ripetuto: ogni opera nasce da un dialogo intimo con il committente e porta con sé un’identità autonoma. “Non mi interessa trovare un timbro riconoscibile, quanto trovare ogni volta la voce giusta per raccontare una storia che non è la mia”, afferma. Le sue tele nascono da un processo complesso e profondo che parte da una consulenza personale, passa attraverso test e conversazioni, e si traduce in un progetto visivo che ha il compito di incarnare emozioni, ricordi, desideri e prospettive future. Elemento centrale della sua ricerca è la tecnica materica: una pittura tridimensionale, sviluppata in anni di sperimentazione con materiali appositamente studiati in laboratorio, in grado di restituire texture leggere ma potenti, che si fondono con l’ambiente domestico come opere “vive”, cariche di significato simbolico ed emotivo. I riferimenti visivi spesso attingono alla natura, alle forze elementari, alla memoria sensoriale e alle energie ancestrali dell’essere umano. Nel 2015 ha ricevuto il Premio Salon Primo Brera-Bicocca durante EXPO2025, e nel 2024 è stato candidato alla lista italiana di Forbes 30 under 30 nella categoria Arte & Design. Il suo studio, in rapida crescita, si configura oggi come un ibrido tra bottega rinascimentale e laboratorio contemporaneo, dove l’arte incontra il design e l’ascolto si fa metodo. Alessandro Vinci non espone in galleria nel senso tradizionale: le sue opere non sono fatte per essere “acquistate”, ma per essere vissute all’interno di spazi personali, pensate per chi le abiterà. Ogni quadro è un frammento di vita trasformato in materia, un gesto intimo che si radica nel quotidiano. Il suo sogno, attualmente in fase di progettazione, è quello di realizzare entro il 2030 una mostra personale capace di raccontare per la prima volta in pubblico la profondità di questo metodo, raccogliendo opere non nate su commissione ma frutto della stessa visione poetica. Oggi Vinci guarda al futuro con lo sguardo doppio dell’artista e dell’imprenditore: desidera espandere la sua realtà all’estero, stringere collaborazioni con gallerie sensibili al valore del processo, e creare un team sempre più ampio e qualificato capace di portare avanti, insieme a lui, una visione dell’arte come strumento di connessione, consapevolezza e trasformazione ma anche e soprattutto impresa italiana.
Cos’è per te l’arte?
L’arte è la possibilità di raccontare ciò che le parole non riescono a dire. È uno spazio sospeso dove emozioni, memorie e intuizioni trovano una forma visiva. È, per me, il modo più onesto e diretto di essere nel mondo.
Che ruolo ha avuto il tuo percorso come designer nel plasmare il tuo approccio alla pittura su commissione?
Il design mi ha insegnato ad ascoltare, a progettare con intenzione e a trovare un equilibrio tra bellezza e funzionalità. Questo approccio progettuale si riflette in ogni quadro: non dipingo per me, ma per tradurre visivamente l’identità di chi ho davanti. L’opera non è mai solo estetica: è sempre pensata per vivere in uno spazio e raccontare qualcosa di profondamente personale.
Come riesci a mantenere viva la tua voce artistica pur mettendoti ogni volta al servizio di una storia altrui?
La mia voce artistica non viene sacrificata, ma si amplifica. Ogni committente diventa un filtro attraverso cui posso reinterpretare il mondo. Il mio stile è il filo conduttore, ma si adatta, si modella, si rinnova. Proprio nella sfida di interpretare l’altro, trovo nuove sfumature di me.
In che modo il periodo del lockdown ha influenzato il tuo modo di concepire l’arte e il tuo progetto di vita?
Il lockdown mi ha costretto al silenzio e all’ascolto. È lì che ho capito che non volevo più fare arte “per me”, ma insieme agli altri. È nato il desiderio di rendere l’arte accessibile, quotidiana, presente negli spazi di vita delle persone. È lì che ho iniziato a immaginare un progetto su misura, fondato sull’empatia e sulla connessione umana.
Quali sono le principali sfide nel tradurre emozioni e memorie di un committente in un’opera astratta e materica?
La sfida più grande è ascoltare davvero, andando oltre ciò che viene detto. L’astratto non è un linguaggio universale: per essere efficace, deve nascere da un’intuizione precisa. Devo tradurre un sentimento, un ricordo, in un gesto pittorico o in una texture. È un processo che richiede fiducia, sensibilità e tempo.
Che rapporto hai con i materiali: quanto influisce la loro scelta nel dare forma al significato finale delle tue opere?
I materiali sono il corpo dell’opera. Ogni superficie, ogni pigmento, ogni rilievo ha un ruolo nella narrazione. Un quadro può essere liscio come un ricordo pacificato, o ruvido come una ferita ancora aperta. I materiali non sono solo mezzi tecnici: sono parte del linguaggio espressivo.
Cosa cerchi nei collaboratori che entrano a far parte del tuo studio?
Cerco persone autentiche, curiose e capaci di mettersi in discussione. Il mio studio non è solo un luogo di produzione: è uno spazio di dialogo e crescita. Chi entra deve saper ascoltare, accogliere le storie degli altri e lavorare con cura, perché ogni dettaglio conta.
Quanto è importante per te l’aspetto imprenditoriale nella tua visione di artista contemporaneo?
Fondamentale. Penso che oggi un artista debba saper costruire un progetto sostenibile, coerente e professionale. L’impresa, nel mio caso, non è opposta all’arte: è il contenitore che permette all’arte di esistere, di durare, di raggiungere chi ne ha bisogno.
Come immagini sarà strutturata la tua prima mostra personale che stai progettando per il 2030?
Sarà un viaggio tra storie. Non voglio esporre “solo” quadri, ma raccontare l’esperienza dietro ogni opera. Immagino spazi immersivi, audio delle voci dei committenti, installazioni che coinvolgano i sensi. Sarà una mostra sull’intimità, sulla fiducia e sul potere trasformativo dell’arte condivisa.
C’è un’opera realizzata su commissione che, più di altre, ti ha lasciato un segno profondo?
Sì, ma non per la complessità tecnica. È stata un’opera semplice, nata da una storia profonda e delicata. La committente aveva appena vissuto una perdita, e quel quadro doveva aiutarla a ricordare, ma anche a lasciar andare. In quei momenti l’arte smette di essere decorazione e diventa cura.
Quali emozioni speri che chi osserva le tue opere possa provare?
Spero che sentano qualcosa di vero. Non cerco lo stupore o l’effetto “wow”, ma il riconoscimento. Quando qualcuno guarda un mio quadro e dice “mi parla”, so di aver fatto bene il mio lavoro. L’arte deve toccare, non spiegare.



