ANDREA COSTANZO

ANDREA COSTANZO

Andrea nasce nel 1994 a Gattinara, in provincia di Vercelli. Il suo percorso artistico prende vita nel 2023, dopo una visita folgorante agli Uffizi di Firenze che lo spinge a dedicarsi con rigore e umiltà alla pittura. Comincia dallo studio del disegno a matita, affrontato con disciplina quasi artigianale, seguendo metodi accademici come il Cours de dessin di Bargue e Gérôme e gli insegnamenti di John Ruskin, affiancati alla guida di un pittore romano. Nel 2024 scopre i pastelli morbidi, medium che lo conquista per la sua forza espressiva e per il legame diretto tra gesto e superficie. L’influenza dei maestri dell’Ottocento come Zandomeneghi, Degas, Boldini, De Nittis e Monet accompagna e ispira il suo cammino, orientato verso una pittura fatta di mestiere, pazienza e silenzio. Andrea non si riconosce nella figura romantica dell’artista, ma in quella concreta e laboriosa del pittore: un artigiano dell’immagine, per cui ogni quadro è un processo costruito con cura e attenzione. Nel 2024 partecipa al Concorso Internazionale di Barcellona – Effetto Arte, dove la sua opera Onde e Scogli viene selezionata e videoproiettata, ricevendo una critica personale da Sandro Serradifalco. Nello stesso anno espone nella Mostra Collettiva d’Autunno ad Arona, sulle rive del Lago Maggiore, confermando il suo impegno in un percorso artistico serio e in costante evoluzione.

Cos’è per te l’arte?

Per me l’arte è libertà. È libertà di espressione, ma anche uno strumento per rendere liberi, dentro e fuori. È il mezzo con cui posso dire tutto quello che a parole non riesco a spiegare, ed è ciò che mi permette di sentirmi veramente me stesso.

Cosa hai provato la prima volta che hai visitato gli Uffizi e cosa, in particolare, ti ha spinto verso la pittura?

La prima volta che ho visitato gli Uffizi, nel 2023, è stato come ricevere una scossa. Ho sempre avuto un’attitudine creativa, mi sono espresso in tanti modi diversi, ma lì è successo qualcosa di diverso. Guardando quei quadri, quei disegni, ho sentito come se si fosse attivata una chiamata dentro di me. Una missione. Come se il mio compito fosse quello di proseguire, a modo mio, quel lavoro. Ho percepito la fatica, la dedizione, la vita messa dentro a quelle opere. E mi sono detto: devo faticare anch’io, devo fare anch’io parte di tutto questo.

In che modo lo studio del disegno classico ha influenzato il tuo approccio al pastello?

In realtà non è stato lo studio del disegno classico a spingermi verso il pastello. Il disegno classico mi ha dato delle basi fondamentali, e continuo tuttora a studiarlo: il disegno, secondo me, è alla base di tutto, soprattutto della pittura. Dopo la visita agli Uffizi, ho deciso di partire proprio dal disegno, e mi sono dedicato per oltre un anno quasi esclusivamente allo studio accademico, prima di “premiarmi” con il colore. Il vero colpo di fulmine per il pastello è arrivato guardando le opere di Federico Zandomeneghi: è stato lui a farmi dire “ecco, voglio fare questo”. Lì ho capito che volevo usare il pastello come mio mezzo espressivo principale, con quella visione, quella poesia.

Cosa cerchi di catturare nei tuoi lavori: un’emozione, un’atmosfera, una verità visiva?

Nei miei lavori cerco semplicemente di rappresentare ciò che vedo. Non parto tanto da un concetto o da un’emozione da comunicare, quanto dalla necessità di fermare sulla carta quello che il mio sguardo coglie. Se c’è qualcosa che davvero cerco di catturare, è la luce. La luce nelle cose, nei volti, nei paesaggi. È un approccio che sento vicino all’Impressionismo, che è uno degli stili che più amo e che ha influenzato profondamente il mio modo di guardare e di dipingere.

Hai definito il pittore come “lavoratore della pittura”: cosa intendi con questa espressione?

Quando dico che sono un “lavoratore della pittura”, intendo proprio questo: voglio dare alla pittura il mio corpo, la mia fatica, il mio tempo. Come un muratore o un operaio che ogni giorno porta a termine un compito, io sento il bisogno di affrontare la pittura con lo stesso spirito. Non come un passatempo o un hobby, ma come una missione quotidiana, concreta. Per me dipingere è lavoro vero, serio, che richiede dedizione, disciplina, umiltà. Mi sento, nel senso più alto del termine, un operaio della pittura. E credo che oggi, in parte, questo approccio si stia un po’ perdendo. Ma per me è fondamentale: la pittura merita rispetto e fatica.

C’è un momento del processo creativo che senti più tuo, come la preparazione del disegno o il gesto finale sul foglio?

Il momento che sento più mio è il gesto della pittura. È lì che succede tutto. Quel gesto è istintivo, fisico, liberatorio. È il momento in cui smetto di pensare e comincio davvero a parlare con l’opera.

Come vivi l’esperienza delle esposizioni, rispetto al tuo percorso ancora recente ma già molto strutturato?

Al momento ho ancora poca esperienza con le esposizioni, quindi mi sento in una fase di osservazione e apprendimento. Sono curioso di vedere come evolverà questo aspetto del mio percorso, ma per ora preferisco concentrarmi sul lavoro in studio, sulla ricerca e sulla crescita. Esporre è importante, certo, ma credo che arrivi il momento giusto per ogni cosa.

Qual è stato il feedback più significativo che hai ricevuto finora e da chi è arrivato?

Alcune persone che mi seguono su Instagram mi hanno fatto notare che nei miei lavori si percepisce una ricerca autentica nell’uso del colore. Questo tipo di feedback mi fa piacere, perché è proprio lì che metto molta attenzione e studio. Detto questo, sono consapevole di avere ancora tantissimo da imparare, e continuo ogni giorno a lavorare per crescere.

Ti ispiri a qualche scena o luogo reale per i tuoi paesaggi e soggetti, o lavori più dalla memoria e dall’immaginazione?

Mi ispiro semplicemente a ciò che vedo. La realtà è la mia fonte principale, non parto quasi mai dalla memoria o dall’immaginazione. È lo sguardo diretto sulle cose che mi guida, e da lì nasce tutto.

Hai in programma di sperimentare anche con l’olio o con altri materiali oltre al pastello?

Sì, la pittura a olio mi ha sempre affascinato. Non escludo affatto di utilizzarla in futuro per le mie opere, anzi, lo considero un passaggio quasi naturale. Spero solo, questa volta, di riuscire a trovare qualcuno che possa insegnarmi davvero, perché con i pastelli morbidi ho dovuto imparare tutto da solo. È un processo ancora in corso: sto ancora cercando di capire come sfruttarli al meglio.

Come immagini la tua evoluzione artistica nei prossimi anni?

Non ho una visione precisa di come potrà evolvere la mia arte, anche perché faccio fatica ad autovalutarmi. Quello che so con certezza è che continuerò a studiare, tanto. Ho una direzione, sento dove sto andando, ma non saprei ancora dire in che forma si trasformerà il mio lavoro. L’importante, per me, è non fermarsi mai.

Descriviti in tre colori.

Nero, bianco e verde. Non so esattamente perché, forse hanno a che fare con le emozioni che provo durante le giornate. Ma se devo descrivermi con tre colori, scelgo questi.

Comments

No comments yet. Why don’t you start the discussion?

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *