Anna Maria nata a Palermo, cresce immersa nell’arte tra tele, pennelli e scalpelli, frequentando sin da bambina gli studi degli zii, Augusto Perret e Ubaldo Castrovinci, pittori, scultori e professori di storia dell’arte. Nel 2016 muove i primi passi nel mondo artistico come organizzatrice di mostre di arte contemporanea per artisti italiani e stranieri. Tra il 2018 e il 2019 trascorre brevi periodi a Firenze, dove approfondisce i suoi studi nei musei e nelle gallerie della città, iniziando una nuova attività come art dealer per artisti emergenti. Prosegue il suo percorso formativo come curatrice di mostre e, ispirata dall’action painting di Jackson Pollock, dai blu intensi di Yves Klein, dall’intimismo delle opere di Frida Kahlo e dalle statue greche della sua amata Sicilia, nel 2019 decide di tornare alla pittura astratta, al dripping, ai quadri materici e alla sperimentazione di nuovi materiali per la realizzazione di sculture leggere e fluttuanti. Attraverso il suo lavoro, invita il pubblico a riflettere sulla plasticità delle statue antiche e sulla possibilità di reinterpretarle: i busti sembrano riemergere dalle profondità marine, trasformati dal tempo, dall’acqua salata e dai sedimenti in nuove forme vitali. Le sue opere raccontano una metamorfosi che diventa un atto catartico, capace di donare nuova linfa a ciò che riaffiora dal mare. Nel settembre del 2020 partecipa alla Biennale dei Normanni presieduta da Vittorio Sgarbi, esponendo la tela “Horse at Circus”, successivamente pubblicata in catalogo. Nello stesso anno riceve il premio “Guglielmo II” al Museo Civico d’Arte Moderna e Contemporanea G. Sciortino di Monreale. Nel 2021 le sue opere e un’intervista vengono pubblicate nel mensile “I Love Sicilia”. Nel 2022 espone la tela “Playroom” a Palazzo Oneto di Sperlinga di Palermo durante l’XI Settimana delle Culture e, nello stesso anno, presenta una scultura di Santa Rosalia presso Palazzo Costantino di Napoli nell’ambito della manifestazione “La Via dei Tesori”, a cura di Andrea Guastella. Nel 2023 ritorna a esporre a Palazzo Costantino con una nuova scultura in cemento di Santa Rosalia, questa volta sotto la curatela di Donatella Pinocci e Roberto Bilotti. Nel luglio 2024, ancora nello stesso prestigioso palazzo Costantino di Napoli a Palermo, presenta una tela dedicata a Santa Rosalia, curata da Donatella Pinocci e Roberto Bilotti.
Cos’è per te l’arte?
L’arte per me è un linguaggio primordiale e universale, una forma di comunicazione che attraversa il tempo e supera le parole. È un atto necessario, quasi rituale, per dare forma a ciò che altrimenti resterebbe invisibile: emozioni, memorie, desideri, connessioni profonde con la natura e con la storia.
Qual è stato il momento in cui hai capito che non ti bastava più organizzare mostre, ma volevi creare arte tua?
C’è stato un momento in cui, dopo anni trascorsi a promuovere l’arte degli altri, ho sentito il bisogno quasi fisico di esprimere qualcosa che mi apparteneva profondamente. È stato come se tutte le immagini, le forme e i colori che avevo assorbito si fossero sedimentati dentro di me e chiedessero di uscire, di trovare un proprio linguaggio. È stata una necessità più che una scelta.
Cosa ti ha attratto maggiormente nell’action painting di Pollock o nei blu di Klein, al punto da volerli rielaborare nel tuo percorso?
Pollock mi ha insegnato la libertà del gesto, il valore dell’energia fisica impressa sulla tela. Klein, invece, mi ha aperto all’assoluto, al potere evocativo del colore puro. I suoi blu, così profondi e spirituali, hanno qualcosa di sacro. Entrambi mi hanno permesso di trovare una via espressiva che fosse istintiva ma anche profondamente meditata. Non li cito, li assorbo e li trasformo.
Quando lavori a una scultura o a un quadro, quanto spazio lasci all’improvvisazione rispetto al progetto iniziale?
Il mio processo creativo è un dialogo continuo tra progetto e intuizione. Parto quasi sempre da un’idea o da un’immagine che mi ossessiona, ma durante il lavoro lascio spazio all’imprevisto, all’errore, al gesto che cambia il percorso. Spesso è proprio nell’improvvisazione che si apre la possibilità più autentica.
Che sensazioni provi quando immagini i busti antichi che riaffiorano dal mare, trasformati dal tempo e dalla natura?
Provo una sorta di reverenza. È come se quelle sculture parlassero da un tempo remoto e insieme ancora presente. Il mare le restituisce trasformate, corrose, ma forse più vive. Per me diventano simboli di bellezza imperfetta, di resilienza, di metamorfosi.
Come scegli i materiali per le tue opere? Segui più l’istinto o la ricerca tecnica?
Entrambe le cose. L’istinto guida la scelta iniziale: mi lascio attrarre dalla materia, dai suoi colori, dal modo in cui riflette la luce o si lascia toccare. Poi arriva la tecnica, la sperimentazione, il tentativo continuo di superare i limiti del materiale stesso. La materia, per me, ha una voce, e io cerco di ascoltarla.
Il legame con la Sicilia sembra profondissimo nel tuo lavoro: cosa rappresenta per te questa terra dal punto di vista emotivo e creativo?
La Sicilia per me è radice e orizzonte. È terra arcaica, piena di stratificazioni culturali, di contrasti, di colori accesi e silenzi profondi. Il mare, soprattutto, è una presenza costante, mitica, generativa. È il mio archivio emotivo, il mio paesaggio dell’anima.
Hai vissuto brevi periodi a Firenze: in che modo quella città ha influenzato il tuo modo di vedere l’arte?
Firenze mi ha insegnato la misura, l’armonia, la pazienza dello sguardo. È una città che ti costringe a rallentare, a osservare i dettagli, a confrontarti con la grandezza della storia dell’arte. Mi ha donato un senso di continuità, di appartenenza a una tradizione che può essere rispettata anche nel superamento.
C’è un’opera tua a cui ti senti particolarmente legata, magari perché rappresenta un passaggio importante nel tuo percorso?
Sì, c’è un’opera in particolare — un busto immerso nel blu, parzialmente eroso — che considero una sorta di autoritratto simbolico. L’ho realizzato in un momento di grande cambiamento personale e professionale. In quella figura c’è la fragilità, ma anche la forza di rinascere.
Quando esponi una nuova opera, cosa ti auguri che arrivi a chi la osserva?
Mi auguro che l’opera riesca a toccare qualcosa di profondo, a evocare una memoria, un’immagine, una sensazione che appartiene anche a chi guarda. Non voglio spiegare tutto: cerco di lasciare spazi aperti, zone di silenzio in cui ognuno possa entrare con la propria sensibilità.
Guardando al futuro, c’è un sogno artistico che ti piacerebbe realizzare, una mostra o un progetto che immagini da tempo?
Mi piacerebbe portare le mie opere in luoghi insoliti: antichi bagni termali, ex arsenali navali, spazi abbandonati restituiti alla comunità. E poi c’è un sogno: creare una grande installazione immersiva dedicata al mare, in cui scultura, suono e luce si fondano in un’esperienza sensoriale totale.








