CHIARA SANTORO

CHIARA SANTORO


Chiara è una self-made artist italiana, nata nel 1989 a Torino, Italia. All’inizio del suo percorso artistico sperimenta ogni forma espressiva per riuscire a trovare quella in cui potersi sentire maggiormente realizzata, la grafica digitale. Dal 2013 si afferma come digital artist attraverso lo sviluppo di un nuovo, personale e non convenzionale metodo creativo che include immagini fatte solamente di pixel e molta immaginazione. Come strumento creativo Chiara Santoro utilizza solamente il suo tablet per potersi sentire libera di iniziare nuovi progetti in ogni momento e in ogni luogo. Lavora strutturando nello schermo le proprie personali visioni del mondo, sperimentando sempre nuovi stili ma mantenendo in ogni lavoro un filo conduttore. La ricerca artistica di Chiara si basa essenzialmente sull’armonia di forme e colori, sull’immanenza che si cela dietro ad ogni progetto. Il significato di ogni opera è intrinseco ma comunque interpretabile in base agli occhi di chi guarda. Sono le esperienze di ogni individuo che creano la sinergia con ciò che è rappresentato, è lo spettatore stesso che ricollega gli elementi posti all’interno dell’opera perchè, afferma Chiara “Esistono sempre due artisti: chi produce che chi percepisce.

Cos’è l’arte per te e come definiresti la tua?

L’arte è la massima espressione della creatività umana che si dispiega e assume concreta forma nel preciso momento della sua realizzazione per manifestare idee, emozioni, esperienze e visioni del mondo attraverso diversi strumenti come la pittura, la scultura, la musica, la danza, il cinema e altro ancora, prendendo vita grazie al pensiero dell’artista attraverso il mezzo che utilizza. L’arte ci circonda quindi nella quotidianità, rapendo la nostra attenzione per suscitare emozioni, stimolando in noi la riflessione grazie ai messaggi che riesce a trasmetterci. La mia arte, poi, è il mezzo che mi consente di concretizzare l’energia dei miei pensieri: un periodo della mia vita, un momento importante, una riflessione sulla società, sui costumi o, più semplicemente, il modo in cui vedo o vorrei vedere il mondo. I miei collage digitali sono anche la visione che ho dell’essere umano: “ritagli” di emozioni e di vissuto che si mescolano e si congiungono a noi, fornendoci l’immagine di chi siamo. Mi sforzo sempre di creare una rappresentazione che sia di forte impatto visivo per consentire a chiunque di soffermarsi, affinché vengano successivamente colti i più piccoli particolari dell’opera che costituiscono una parte non trascurabile di ciò che intendo esprimere. Talvolta creo con un metodo simile al flusso di coscienza della narrativa, ed è per questo che in alcuni dei miei lavori spesso coesistono una pluralità di elementi. Il minimalismo, dal quale provo ad iniziare, di rado mi riesce di mantenere sino al termine, poiché giudico la mia tecnica una miscellanea di stili e di ispirazione che si intersecano e grazie ai quali riesco a rendere concreti i miei pensieri.

Come sei arrivata a scegliere la grafica digitale come tuo mezzo espressivo principale? C’è stato un momento o un’opera in particolare che ha segnato questa decisione?

Esprimermi attraverso l’utilizzo di qualsiasi mezzo è sempre stata per me un’esigenza che si è manifestata sin dalla tenera età, principalmente per la scoperta di me stessa. Questa necessità è andata man mano crescendo con l’età, portandomi a sperimentare nuove forme artistiche come il decoupage, la fotografia, la musica o il teatro. Ciò nonostante, comprendevo che quello che stavo facendo non risultava sufficientemente appagante per ciò che in realtà intendevo estrinsecare. Agli inizi del nuovo millennio, grazie all’avanzare della tecnologia, ho iniziato a sperimentare una forma di grafica digitale ancorché solo embrionale, che traeva origine dallo scatto di alcune fotografie, nelle quali inserivo elementi di diversa natura, allo scopo di creare un mondo forse presente solo nella mia immaginazione, ma che ben rappresentava i diversi stati d’animo che provavo nell’esatto momento in cui lo realizzavo. Solo successivamente ho iniziato a creare unicamente con elementi digitali, poiché avevo chiaramente compreso che questo tipo di arte altro non era se non un’evoluzione del mio percorso artistico. Oggi questa forma di comunicazione mi consente di esplorare nuovi profili espressivi, sperimentare con colori, texture, dinamiche che sarebbero impossibili da realizzare con le tecniche tradizionali. L’immediatezza e la versatilità degli strumenti digitali mi permettono di dare vita alle mie idee in modo rapido e intuitivo. L’arte digitale mi offre, poi, la possibilità di interagire con il pubblico in modo nuovo, attraverso installazioni interattive, performance multimediali o esperienze immersive. Il mio obiettivo è quello di creare opere che stimolino la riflessione, l’emozione e la partecipazione di chi le guarda. Naturalmente, il mio percorso artistico è in continua evoluzione. Sperimento costantemente nuove tecnologie digitali per trovare il mio linguaggio artistico unico.

Il tuo metodo creativo si basa su immagini fatte di pixel. Cosa ti affascina di questa tecnica e in che modo pensi che influenzi il messaggio delle tue opere?

Del metodo che utilizzo mi affascina la circostanza che un’opera, in ipotesi, potrebbe essere pronta per la sua divulgazione nel giro di poco tempo, se solo si hanno le idee chiare in relazione al messaggio che si intende trasmettere. In realtà, assai di rado mi riesce di essere così tempestiva poiché durante il mio lavoro, apporto costanti modifiche all’opera sino al suo termine, grazie alla possibilità offertami dalla tecnica utilizzata. Con ciò, evidentemente, viene meno qualsiasi pregiudizio per la parte già creata e il risultato finale risulterà così totalmente in linea con quanto intendo comunicare. Le immagini aspettano solo di trovare una collocazione sullo schermo, per rimanere immutate, essere tagliate o sovrapposte. L’arte digitale, poi, si adatta molto bene a diverse forme di stampa su materiali e formati più disparati, sicché diviene non solo arte espositiva, ma ben può essere utilizzata, ad esempio, per il print on demand, o essere trasformata in un videotape. Come detto, per quanto mi concerne, il messaggio che voglio trasmettere non può essere costituito da creazioni fast, perché le mie opere sono il modo con cui concilio il processo di creazione: se qualcosa non mi convince, lo modifico più e più volte. Nei miei lavori il messaggio non è mai limitato, perché posso dare pienezza a moti e ragionamenti mirati, creare delle forme animate, introdurre la musica o altri effetti quale supporto emotivo per la completa enfatizzazione del concetto che voglio esprimere. Oggi l’arte digitale, che è diventata una componente artistica parte della quotidianità, dà modo di sperimentare creazioni sempre più appaganti grazie alla costante ma graduale introduzione di nuovi mezzi e tecnologie. Marshall McLuhan diceva “il medium è il messaggio” e ancora oggi, le sue parole sono molto attuali.

Lavori esclusivamente con il tablet per mantenere libertà e flessibilità. Quanto influisce questa scelta sul tuo approccio alla creatività quotidiana?

Direi che l’utilizzo del tablet ha sicuramente un’influenza notevole, proprio perché mi consente di far coesistere i ritmi della quotidianità alla mia passione. La routine rischia sempre di divorarci, e il tempo è una fiera. Quando si dà avvio ad un lavoro nuovo, occorre sentirsi ispirati da qualcuno o da qualcosa. Non si sceglie di accendere lo schermo e iniziare. Il tablet mi offre la possibilità di essere flessibile, lontana da impegni e con tutto il tempo che ho deciso di dedicare a me stessa, per poi spegnere e slittare di nuovo nella vita vera. Esiste un dettagliato lavoro di ricerca e di ispirazione che arriva quando coesistono più elementi e varia a ondate. Non a caso, infatti, per mesi non riesco a produrre nulla, altre volte lascio le mie opere in una sorta di limbo, prima di concluderle. La creatività fa parte dell’essere umano, tutti ne siamo dotati, alcuni non la sviluppano, altri se ne cibano. Provo a cercare continuamente stimoli da quello che mi circonda, senza che poi si traducano in qualcosa di concreto nell’immediato, rimanendo latenti, in attesa di trovare il momento opportuno per essere trasferiti sulla tavoletta.

Hai parlato di sperimentare nuovi stili mantenendo un filo conduttore. Come definiresti questo filo conduttore nelle tue opere?

All’inizio non pensavo di avere un filo conduttore. Creavo e continuavo a farlo in base al mio gusto, senza pensare a null’altro. Vedendo le mie opere, sono stati altri che mi hanno fatto osservare che in esse vi era qualcosa di ricorrente (nonostante continuassi a sperimentare per diversificare il mio stile), qualcosa che definirei “come un marchio di fabbrica” che, in mezzo ad altri lavori, consentiva di individuare i miei. Il filo conduttore della mia arte ritengo sia la ricerca dell’armonia tra forme e colori. Ogni composizione è un dialogo tra equilibrio e movimento, tra struttura e spontaneità, con l’obiettivo di emozionare e guidare lo sguardo in una esperienza visiva coinvolgente. Cerco di esplorare infinite possibilità per dare un linguaggio universale che parli direttamente alla sensibilità dello spettatore.

La tua ricerca si concentra sull’armonia di forme e colori. C’è un’opera specifica che consideri la più rappresentativa di questa tua ricerca?

No, non esiste in realtà un’opera precisa. Credo sia una ricerca spontanea che provo a mettere in ogni mio lavoro. Le forme devono essere tra loro in armonia cromatica e la cromia deve essere coerente con l’immagine. Esistono diversi studi sui colori e su cosa essi trasmettano inconsciamente. Inoltre, è interessante sapere che ciascuno di noi è sensibile, seppur diversamente, anche al più piccolo stimolo che la nostra mente riesce a percepire. Nei miei lavori, un esempio è rappresentato da “Floating Point”: una città di grattacieli dove il mondo è al contrario e la sabbia diventa il cielo, ma il cielo si sfuma e diventa mare. Il giallo, mischiato all’azzurro e le forme dei pesci che nuotano in modo sinuoso conferisce un senso di pace e calma, nonostante sia in contrasto con il grigiore degli edifici squadrati, ancorché sia un grigio debole e non contrastante con il senso dell’opera, perché la parte vibrante emerge con estrema dolcezza. In “Novaturient” invece, emergono i colori della quiete. Un prato con alcune donne ritratte di schiena su uno sfondo di guerra. Le forme non si toccano, le spettatrici e gli attori sono in scena sullo sfondo. Le dimensioni della “casa” con il trambusto della storia. Tra di loro le immagini sono staccate ma lo sfondo non contrasta perché quasi sbiadito, una memoria o un evento lontano da chi guarda. Per le immagini che sono presenti, ci si aspetterebbero colori e forme forti, ma tutto, a prima vista, sembra un’unica rappresentazione.

Hai affermato che il significato delle tue opere è interpretabile in base agli occhi di chi guarda. Ti capita mai di essere sorpresa dalle interpretazioni degli spettatori?

Assolutamente sì. Creando io ho un pensiero e un’idea precisa, ma ciò non significa che possa essere identica per tutti. Il pubblico che ne fruisce è talmente variegato e spesso sorprendente. Mi capita anche che un’opera che io giudico per la sua rappresentazione “di punta”, passi in secondo piano rispetto ad altre e viceversa. Molti lavori da me proposti innescano ragionamenti negli spettatori che danno nuovi e assai interessanti spunti interpretativi. Ma proprio in questo è insito il bello delle mie rappresentazioni: esiste, infatti, la mia interpretazione che è il leitmotiv che le crea, ma mille altre coesistono, tutte interessanti e degne di attenzione. Credo che tutto questo sia comune a buona parte dell’arte contemporanea, ed ormai il concetto del soggettivo percepito genera sempre maggiori coinvolgimenti da parte del pubblico. In fondo è anche questo il mio scopo, ovvero attirare sempre più visitatori affinché si interroghino sulla reale portata di questo genere di arte, anche al fine di riuscire a diffonderla sempre più capillarmente.

Nel tuo lavoro, quanto contano le esperienze personali? Ci sono temi ricorrenti ispirati dalla tua vita o dal tuo percorso?

Il mio vissuto, come il mio presente è parte integrante delle mie opere. Ogni emozione, luogo o incontro significativo che ho vissuto si trasforma in un elemento. Ad esempio, un viaggio in un luogo esotico può ispirare una serie di immagini dai colori vivaci, mentre una riflessione interiore può portare alla creazione di opere più astratte e contemplative. I temi ricorrenti nella mia arte sono anche legati alle connessioni con l’essere umano. Inoltre, la bellezza dei paesaggi, la forza degli elementi naturali e la fragilità degli ecosistemi sono per me fonte di ispirazione costante. Cerco di comunicare attraverso le mie opere l’importanza di preservare l’ambiente e di vivere in armonia con la natura. Non solo. Giudico la mia arte digitale un crocevia di influenze diverse, dove le esperienze personali si intrecciano con la cultura pop, la storia, gli artisti del passato o la fantascienza, luogo in cui i mondi immaginari prendono vita e diventano possibili. Nelle mie opere, spesso elementi ispirati a queste narrazioni si fondono con le mie riflessioni, che subiscono la ciclicità di ciò che in quel momento mi influenza. Ad esempio, un paesaggio alieno può diventare lo sfondo di una storia personale, oppure un personaggio di un videogioco può simboleggiare una parte di me o di una persona che ho incontrato. La cultura pop, con la sua immediatezza e capacità di comunicare emozioni universali, è un’altra fonte di ispirazione fondamentale. Cerco di reinterpretare questi elementi culturali in chiave personale, aggiungendo il mio tocco creativo e il mio sguardo unico sul mondo.

Hai mai collaborato con altri artisti o esplorato progetti interdisciplinari che combinano il tuo lavoro digitale con altri media?

Ho avuto modo di collaborare con qualche artista, sia mescolando le tecniche del collage digitale al disegno grafico, ma anche con la fotografia, dove innestavo immagini per ricreare uno scenario nuovo e inserire elementi. Le collaborazioni sono nate passo dopo passo, inizialmente con l’invio di file basici e con l’aggiunta di un tassello nuovo ogni volta, finendo col confronto congiunto per trovare un punto di sintesi delle diverse forme espressive. Il bello dei pixel è anche questo: trovare persone distanti e poter provare a sperimentare, anche se non si è fisicamente presenti, con artisti potenzialmente da tutto il mondo, per il tramite di una semplice connessione e la possibilità di dischiudere un mondo di opportunità. Mi piace poter collaborare con persone che hanno uno stile diverso dal mio, è stimolante provare a far combaciare diverse tecniche espressive, tentando approcci variegati e nuovi.

In un mondo in cui l’arte digitale sta diventando sempre più diffusa, come riesci a differenziare il tuo stile e mantenere una voce autentica?

Credo (spero) di rimanere sempre coerente con il mio stile, con quel filo rosso che sottende e continua a legare tutto. La voce rimane autentica quando si “prende spunto”, senza seguire le mode o il trend artistico del momento. Certo, si viene sempre un po’ influenzati da ciò che di nuovo circola nel campo artistico, ma lo stile con cui si fanno le cose non deve essere emulato. Nessuno può sostituirsi a chi crea, per quanto la tecnica sia buona, poiché è il pensiero che parte da noi che ci rende autentici e sempre unici. Bisogna quindi sperimentare, cambiare anche lo stile, evolvere le tecniche che si utilizzano, ma in fondo noi siamo noi, e torneremo sempre a chi siamo in realtà con il metodo comunicativo che ci contraddistingue. Il resto si spezza da solo. Come nella vita, anche nell’arte, ciò che non è autentico non dura alla lunga.

Quali sono i tuoi progetti futuri? Hai in mente nuovi esperimenti creativi o direzioni artistiche da esplorare?

Ho avuto un periodo relativamente recente della mia vita artistica in cui ho iniziato a credere meno in quello che facevo: le mie opere non mi soddisfacevano più, non sentivo di essere in pieno contatto con quello che avevo sempre fatto e che era sempre stato il mio fuoco greco. Ho però continuato con costanza a creare, non ho mai smesso. Mi incaponivo, facevo e disfacevo pur non riuscendo a essere del tutto convinta del risultato finale. Poi, quasi senza accorgermene, ho ritrovato un appagamento che si era solo sopito e quando spegnevo lo schermo, risultavo soddisfatta e appagata di quanto prodotto. Da quel momento ho ripreso a pieno ritmo e non mi sono più fermata. In fondo credo che l’ispirazione sia come un flusso e un riflusso: l’attività creativa di un artista non è costante, ma piuttosto un’alternanza di periodi di intensa ispirazione e momenti di pausa e difficoltà creativa. Nel mio futuro, che ho già iniziato a costruire passo dopo passo, sto esponendo con maggiore frequenza non solo in Italia e in Europa ma anche oltre Oceano, con lo scopo di testare il riscontro di un pubblico diverso, che ha gusti e cultura artistica lontana da nostra. Nei miei progetti futuri, vorrei provare a declinare l’arte non solo in quadri, ma anche in altri supporti, anche semplici ma di uso quotidiano, per far sì che non sia io ad entrare nel mio mondo personale, ma che sia il mio mondo a entrare a pieno titolo nella realtà di tutti i giorni. Inoltre, mi piacerebbe provare ad animare i soggetti e gli scenari che creo mediante tecniche quali il 2D, il 3D, lo stop motion, o il motion graphics. Sono motivata e dal futuro non voglio aspettarmi nulla di meno di quanto sogno.

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