ELISABETTA GUIDO

ELISABETTA GUIDO

Elisabetta è una cantante jazz e autrice apprezzata a livello nazionale e internazionale, con una carriera che l’ha portata a esibirsi in tutta Italia e in Europa. È riconosciuta dalla critica come esponente del “neoimpressionismo” jazzistico e si distingue anche come didatta esperta nelle principali tecniche del canto moderno. Ha conseguito il Master Universitario in Vocologia Artistica sotto la direzione del dott. Franco Fussi, con cui collabora anche al prestigioso convegno “La Voce Artistica”, dove interverrà con una relazione sullo Spiritual e Gospel. È fondatrice e direttrice dell’Accademia “Art of Singing” e dell’omonima community online di cantanti italiani, seguitissima su Instagram e TikTok. Parallelamente alla carriera jazz, ha maturato un’intensa attività nel repertorio soul e gospel, dirigendo anche cori e partecipando a eventi di rilievo come le esibizioni per tre Pontefici, l’ultima delle quali per Papa Francesco. Diplomata in pianoforte e canto lirico, laureata in giurisprudenza, è anche autrice, arrangiatrice e direttrice di coro. È stata inserita nel Dizionario delle jazziste europee “Donne in Musica” ed ha collaborato con artisti del calibro di Renzo Arbore, Tullio De Piscopo, Paolo Belli, Fabrizio Bosso, Cheryl Porter e le Orchestre Filarmoniche di Budapest, Praga e della Rai Terra d’Otranto. Dal 2003 lavora come vocalist e direttrice corale per importanti produzioni Rai. Attualmente sotto contratto con Alfa Music di Roma, una delle etichette jazz più storiche d’Italia, ha ricevuto numerosi riconoscimenti, tra cui il Premio Art Festival (Rai1), il Premio Vigna d’Argento, il Premio Il Sallentino per la Musica e il Premio Vittoria Alata per il Jazz.

Cos’è per te la musica?

È emozione allo stato puro. È compagna nei momenti felici, conforto in quelli difficili. È catarsi, gioco, sfida.

In che modo la tua formazione classica in pianoforte e canto lirico influenza oggi il tuo approccio alla vocalità jazz e soul?

Mi ha forgiata come musicista, abituandomi allo studio, al sacrificio e alla cura del dettaglio. Il pianoforte, in particolare, mi ha donato una solida intonazione del sistema tonale, che si rivela utilissima durante l’improvvisazione jazz.

Come riesci a conciliare la dimensione artistica con quella didattica? E cosa ti restituisce l’insegnamento a livello creativo?

Chi insegna per molto tempo teme spesso di affaticare troppo la voce e non essere poi in grado di performare al meglio. Ma la tecnica vocale è una scienza esatta: se applicata anche al parlato, non ti stanchi mai. A livello creativo, l’insegnamento mi tiene in allenamento e mi espone a una varietà di problematiche tecniche sempre nuove, a seconda degli allievi. Inoltre, le storie personali di molti di loro — come quelle del mio coro gospel — sono spesso toccanti e diventano materiale prezioso per i testi delle mie canzoni.

Qual è il valore della spiritualità nella tua musica, soprattutto quando affronti repertori come gospel e spiritual?
È fondamentale. Sono profondamente credente e praticante, e questo si riflette naturalmente nella mia interpretazione di questi repertori.

Come vivi la presenza sui social in rapporto alla tua identità artistica? Ti senti rappresentata anche in quel contesto?

I social, se usati bene, sono un ottimo mezzo per farsi conoscere e apprezzare, anche senza dover scendere a compromessi con la musica commerciale. Permettono di veicolare ciò che ami, con poca spesa e tanta libertà. Ho creato su Instagram la community @Art_of_Singing_ita durante la pandemia, per dare spazio ai miei allievi e farli esibire almeno online. Oggi ha superato i 10.000 follower da tutto il mondo, e attraverso di essa promuovo anche musica internazionale che amo. Molti lavori mi arrivano proprio da lì.

C’è un momento della tua carriera — un’esibizione o una collaborazione — che consideri una svolta interiore, più che professionale?

Ogni esperienza musicale mi ha arricchita interiormente e regalato forti emozioni. Non partecipo mai a un progetto che non mi emozioni profondamente. Ovviamente, ogni volta che ho suonato con grandi musicisti è stata una svolta: il loro esempio è sempre fondamentale.

Cosa cerchi nelle collaborazioni artistiche? Cosa ti spinge a scegliere un progetto piuttosto che un altro?

Cerco la condivisione, il vivere insieme un’esperienza autentica. Mi piacciono la qualità e la competenza, ma anche la simpatia delle persone con cui lavoro. Scelgo un progetto se mi regala un’emozione vera.

Come immagini il futuro del jazz in Italia, anche rispetto al ruolo delle donne in questo ambito?

Non saprei con certezza. Sento tante persone talentuose in giro, ma a volte noto un eccesso di tecnicismo. Dovremmo suonare con lo spirito degli americani: divertirci, pur mantenendo il massimo della qualità. In generale, in Italia i generi musicali meno “pop” fanno fatica, a causa della scarsa cultura diffusa. Quanto alle donne, credo che ci sarebbe bisogno di più spazio per loro. Personalmente, grazie a Dio, non ho motivo di lamentarmi.

Descriviti in tre pezzi jazz.

The Dry Cleaner from Des Moines (Mingus/Mitchell), A Wish (Hersh), Crystal Silence (Chick Corea).

ph. Roberto Cifarelli

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