Francesco è un artista visivo che esplora con sensibilità e profondità le molteplici sfaccettature dell’essere umano contemporaneo. Al centro della sua ricerca si trovano le fragilità emotive, i conflitti interiori e l’identità mutevole dell’uomo moderno, che vengono restituiti al pubblico attraverso una varietà di tecniche espressive come la pittura, il collage, la stampa e il bassorilievo. Ogni serie di opere assume una forma visiva diversa, coerente con il messaggio che intende trasmettere, in un processo artistico che si reinventa continuamente. Diplomato al Liceo Artistico “Tartaglia Olivieri” di Brescia, ha intrapreso nel 2024 gli studi in Pittura all’Accademia di Belle Arti di Verona. Nonostante la giovane età, ha già partecipato a numerose mostre collettive: “Leggerezza” (2022), “Dreams” (2023), “Sport is an Art” a Parigi (2024) e il Premio d’Arte a Sarezzo (2025). In quest’ultima occasione, la sua opera L’esperienza umana è stata selezionata tra le segnalate del progetto “Giovane Arte Bresciana” promosso dalla Fondazione Dolci di Brescia. Vive e lavora a Brescia, dove prosegue la sua ricerca artistica ed è attualmente disponibile per nuove collaborazioni.
Cos’è per te l’arte?
L’arte per me è un mezzo per indagare l’essere umano nella sua dimensione più fragile e complessa. È un linguaggio espressivo che mi permette di mettere in discussione ciò che vedo e sento nel presente, cercando un dialogo tra la mia interiorità e le dinamiche della società contemporanea. È una manifestazione autentica di ciò che siamo, a patto che le opere nascano da impulsi creativi genuini, liberi dalle preoccupazioni legate alla competizione, al riconoscimento e alla promozione sociale.
Cosa ti spinge ogni volta a iniziare una nuova opera? Qual è l’urgenza interiore che senti?
Inizio una nuova opera quando qualcosa mi colpisce a livello viscerale: può essere un’immagine, un gesto, un’esperienza personale o collettiva. Avverto l’urgenza di dare forma a queste sensazioni, di elaborarle attraverso un processo visivo che le renda condivisibili, quasi per esorcizzarle o comprenderle meglio.
Come scegli la tecnica o il linguaggio visivo per ciascuna serie?
Scelgo la tecnica in base a ciò che desidero comunicare. A volte è la materia stessa a guidarmi: la pittura, se ho bisogno di immersione e stratificazione; la scultura o il cartone, se voglio evocare il corpo e le sue trasformazioni, come nel progetto sulla ludopatia. Ogni linguaggio ha una forza simbolica che utilizzo per amplificare il contenuto. In tutti i miei lavori la tematica centrale è l’essere umano, non tanto nella sua fisicità, quanto nei processi cognitivi che lo spingono ad agire. Ogni opera cerca di esplorarne un aspetto diverso.
C’è stato un momento, un’opera o un’esperienza che ha segnato una svolta nella tua ricerca artistica?
Non ricordo un momento preciso. È stata piuttosto una consapevolezza maturata nel tempo: analizzando i miei lavori, ho riconosciuto un filo conduttore che li unisce. Come uno psicologo, ho osservato la mia produzione e individuato un nucleo tematico ricorrente.
Quanto influiscono le tue emozioni personali nel processo creativo?
Le emozioni sono fondamentali. Non sempre sono evidenti nell’opera finita, ma costituiscono l’impulso iniziale. Spesso si trasformano durante il processo, si filtrano e si stratificano. Non cerco di rappresentarle in modo letterale, ma di tradurle in immagini che possano parlare anche agli altri.
Che rapporto hai con la materia fisica delle tue opere, come pittura o bassorilievo?
Il rapporto è molto diretto, quasi fisico. La materia per me è viva: il colore, la superficie, la tridimensionalità sono strumenti per costruire una presenza, un corpo. Anche il cartone, materiale povero e fragile, mi interessa perché riflette la condizione umana.
Quale tra le mostre a cui hai partecipato ha avuto per te un significato particolare e perché?
“Sport is an Art” a Parigi è stata molto significativa: mi ha permesso di confrontarmi con un contesto internazionale e di riflettere sul corpo in relazione alla performance, alla resistenza, alla disciplina. Anche il “Premio d’Arte” a Sarezzo, con la segnalazione della Fondazione Dolci, ha rappresentato un importante riconoscimento locale della mia ricerca.
In che modo il contesto urbano di Brescia ha influenzato il tuo percorso?
Brescia è una città ricca di contrasti, dove convivono industrializzazione, storia e fragilità sociali. Crescere in questo ambiente mi ha reso sensibile a certe tensioni, all’identità urbana e ai suoi silenzi. Questi elementi ritornano spesso nei miei lavori, anche quando non sono espliciti.
Come vivi la tensione tra identità personale e collettiva nei tuoi lavori?
È una delle tematiche centrali della mia ricerca. Spesso parto da me stessa per arrivare a una dimensione più ampia. Le fragilità personali diventano un filtro per osservare l’altro. La figura umana, nei miei lavori, non è mai solo un autoritratto, ma un corpo simbolico, carico di tensioni collettive.
Hai riferimenti artistici o culturali fondamentali nella tua formazione?
Sicuramente la formazione nelle scuole d’arte ha indirizzato il mio percorso. Non ho riferimenti stilistici precisi, ma condivido molto della filosofia di Jean Dubuffet. Il movimento dell’Art Brut mi ispira profondamente: l’arte libera, incontaminata, quasi primitiva, è per me una delle poche forme di vera novità anche oggi.
Che ruolo gioca l’errore o l’imperfezione nelle tue opere?
Un ruolo essenziale. L’errore è spesso il momento in cui l’opera prende una direzione autonoma. L’imperfezione – come la fragilità del cartone o una superficie grezza – rende visibile la vulnerabilità, che è uno dei temi che cerco di raccontare.
Come immagini evolverà il tuo linguaggio nei prossimi anni?
Intendo continuare a sperimentare tra bidimensione e tridimensione, approfondendo il rapporto tra figura umana e spazio, tra pittura e installazione. Penso che ci sarà un’evoluzione verso forme più ibride e immersive, ma sempre radicate in un’urgenza espressiva e in un forte contenuto umano.
Quale messaggio vorresti che il pubblico portasse con sé dopo aver visto una tua opera?
Vorrei che sentissero qualcosa di autentico, anche solo per un istante. Che si sentissero interrogati. Le mie opere non offrono risposte, ma vogliono aprire domande sull’identità, sul corpo, sulla trasformazione. Una riflessione sul nostro tempo.
Descriviti in tre colori.
Blu, nero e bianco.





