FUORI – MARIO MARTONE

FUORI – MARIO MARTONE

Fuori, con Valeria Gorino, Matld De Angelis, Elodie, Corrado Fortua è l’ultimo film di Mario Martone, un’opera che indaga con profondità emotiva e rigore narrativo il concetto stesso di libertà, declinato attraverso il racconto intimo e sociale della vita di chi torna a confrontarsi con il mondo dopo anni di detenzione. Senza retorica e senza concessioni al melodramma, il regista napoletano costruisce un racconto misurato e penetrante, capace di dare voce a chi spesso resta ai margini anche nella narrazione cinematografica: gli ex detenuti. Il protagonista, interpretato con straordinaria autenticità da un attore non professionista (scelta che si rivela uno dei punti di forza dell’intero impianto registico), è un uomo che torna “fuori” dopo una lunga reclusione. La cinepresa lo segue fin dai primi istanti della libertà riconquistata, documentando il suo smarrimento, la fatica del reinserimento e la tensione costante tra desiderio di ricominciare e peso del passato. Martone non indulge nella costruzione di una trama convenzionale, ma opta per una narrazione più rarefatta e quasi documentaristica, dove la quotidianità si fa protagonista: un colloquio di lavoro, una visita alla madre, l’inevitabile confronto con chi non è mai uscito davvero dal quartiere. La Napoli che fa da sfondo non è quella cartolina, ma un territorio vissuto e realistico, vivo nei contrasti, lontano da ogni stereotipo. È la città come luogo fisico e mentale dove si incrociano storie di riscatto, occasioni mancate e marginalità. La macchina da presa si muove con rispetto, non invade mai, lascia che siano i silenzi, le pause, gli sguardi a parlare. Il ritmo lento e meditativo accompagna lo spettatore in una sorta di percorso parallelo a quello del protagonista: un’uscita graduale non solo dalla prigione, ma da una condizione esistenziale fatta di barriere invisibili, giudizi sociali e solitudini profonde. Martone continua a dimostrare una sensibilità rara nel raccontare l’umano, la periferia dell’anima prima ancora che quella geografica. La sceneggiatura è asciutta, calibrata, spesso affidata più all’azione che alla parola. Le relazioni che il protagonista intreccia – con vecchi amici, assistenti sociali, familiari – non sono mai didascaliche: mostrano piuttosto la complessità delle dinamiche tra chi torna e chi è rimasto, tra chi ha pagato e chi ancora giudica. Fuori è un film politico nel senso più nobile del termine. Politico perché sceglie di mettere al centro una questione spesso ignorata, quella del reinserimento post-carcerario, e lo fa con un’onestà intellettuale e un rigore stilistico che raramente si vedono nel cinema italiano contemporaneo. È anche un film profondamente umano, che non cerca né assoluzioni né condanne, ma si limita a osservare, con empatia e lucidità. Alla fine della visione, ciò che resta non è tanto una trama compiuta, quanto una riflessione: su cosa significhi davvero essere liberi, su quanto sia difficile ricominciare, su quante prigioni esistano anche “fuori”. Martone non fornisce risposte, ma apre spazi di pensiero e ascolto. E questo, oggi, è forse il gesto più coraggioso che un film possa compiere.

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