LA GUERRA DI CESARE – SERGIO SCAVIO

LA GUERRA DI CESARE – SERGIO SCAVIO

La guerra di Cesare con Fabrizio Ferracane, Alessandro Gazale, Luciano Curreli e Francesca Ventiglia, di Sergio Scavio è un film che scava nel silenzio, restituendo voce e corpo a una figura marginale ma simbolica: Cesare, ex militante politico, oggi uomo ai margini, ex detenuto, memoria vivente di un’Italia che ha preferito dimenticare. Scavio firma un’opera prima matura, rigorosa e profondamente umana, che non si appoggia a facili scorciatoie narrative, ma costruisce un racconto sobrio, fatto di gesti minimi e verità taciute. La trama segue Cesare nella sua quotidianità apparentemente banale: vive in un piccolo paese della Sardegna, condivide la casa con l’anziana madre e conduce una vita fatta di abitudini semplici. Ma sotto questa superficie si muove un’intera stratificazione storica, emotiva e politica. Il film non esplicita mai tutto, non spiega, non giudica. Al contrario, affida allo spettatore il compito di leggere i silenzi, di interpretare le pause, di sentire la densità delle assenze. La regia accompagna con pudore e rispetto il protagonista, incarnato con forza e misura da Peppino Mazzotta, che restituisce a Cesare tutta la dignità e il peso di un passato difficile da raccontare. Non c’è retorica nella sua interpretazione, solo una profonda adesione a un personaggio che ha scelto il silenzio come difesa, come forma estrema di coerenza. Scavio costruisce il film come una lunga meditazione sull’identità, la memoria e la responsabilità. Cesare è un uomo che ha creduto nella lotta, ha pagato un prezzo, e oggi è rimasto solo con i suoi ricordi e le sue ferite. La guerra che dà il titolo al film non è quella del passato, ma quella interiore, quotidiana, che Cesare combatte con il tempo, con lo sguardo degli altri, con il proprio senso di colpa o forse di coerenza. La Sardegna che lo circonda è fotografata con asciuttezza e poesia: spazi aperti, case silenziose, paesi svuotati, ma anche scorci pieni di luce e risonanze. La terra diventa personaggio anch’essa, silente e complice, custode di una storia che sembra essersi fermata. Il paesaggio accompagna il ritmo lento della narrazione, che però non risulta mai noiosa: ogni inquadratura ha una sua necessità, ogni scelta registica appare pensata, meditata, in piena armonia con il senso del racconto. La scrittura è sobria, essenziale, quasi pudica. Non ci sono dialoghi ridondanti, non c’è bisogno di spiegare ogni cosa. È il cinema dell’accumulazione sottotraccia, dove a parlare sono i dettagli: una lettera non letta, uno sguardo fugace, una camminata solitaria. Il tempo si dilata, la tensione si costruisce per sottrazione. E quando arriva, verso la fine, una svolta narrativa più esplicita, questa non rompe l’equilibrio, ma lo completa, restituendo profondità e senso all’intera costruzione. La guerra di Cesare è un film sulla memoria individuale e collettiva, su chi resta e su chi sceglie di non parlare più. È anche una riflessione sul nostro presente, su quanto poco spazio venga concesso alla complessità, su quanto la società sia pronta a rimuovere piuttosto che a comprendere. Ma soprattutto è un film sull’integrità: quella di un uomo che ha attraversato la Storia e ne è uscito con la sola forza della propria coerenza, anche quando tutto intorno sembrava invitarlo al compromesso. Scavio, con uno stile rigoroso e una profonda consapevolezza del mezzo cinematografico, firma un’opera che lascia il segno. Un film che non urla, ma si fa sentire con forza. Un ritratto sobrio e potente, che restituisce alla figura del protagonista la sua complessità, e a noi spettatori una domanda inevitabile: cosa resta, oggi, del coraggio di credere?

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