Marcello, nato a Lecce nel 1982, è considerato una delle voci più riconoscibili della Pop Art italiana contemporanea. Sin dalla giovinezza si è avvicinato all’arte, sviluppando un linguaggio visivo originale, frutto di un’intensa contaminazione di stili e suggestioni. Nelle sue opere convivono l’energia gestuale del dripping di Pollock, la cultura di massa di Warhol, la forza visiva dei de-collage di Rotella e l’impatto urbano della street art internazionale. Quarta gioca con i simboli del glamour e della società dei consumi, utilizzando frammenti di giornali, riviste e loghi di alta moda per costruire racconti visivi in cui icone del passato e personaggi della contemporaneità dialogano su fondali carichi di ritmo e colore. Le sue tele si trasformano in collage dinamici, composizioni stratificate in cui la realtà viene smontata e ricostruita attraverso un processo di fusione e rielaborazione. Il risultato è un universo vibrante in cui ogni opera diventa una narrazione personale, uno sguardo critico e al contempo ludico sul mondo che ci circonda. L’estetica pop incontra il gusto per la sperimentazione, in un continuo gioco di riferimenti e connessioni visive che rendono lo stile di Quarta immediatamente riconoscibile.
Cos’è per te la musica?
Energia visiva in forma sonora. È colore che si muove nell’aria.
Cosa ti ha spinto inizialmente verso la Pop Art e cosa continua ad affascinarti di questo linguaggio?
La sua forza diretta, il modo in cui trasforma il quotidiano in icona. È un’arte che parla chiaro.
In che modo scegli gli elementi da inserire nei tuoi collage visivi?
Seguo l’istinto: immagini che mi colpiscono, oggetti carichi di memoria collettiva.
Quanto conta l’improvvisazione nel tuo processo creativo?
Tantissimo. L’errore è spesso l’inizio di qualcosa di potente.
C’è un messaggio o una riflessione sociale dietro l’uso ricorrente di icone e brand nelle tue opere?
Assolutamente sì. Smonto e ricompongo i simboli del consumo per raccontare chi siamo davvero.
Che ruolo ha il glamour nelle tue tele: è un omaggio, una critica o entrambi?
Entrambi. Il glamour è una maschera: io lo espongo e lo sovverto.
Come convivono nella tua ricerca artistica l’estetica della strada e quella dell’arte da galleria?
Si mescolano come in un collage: l’una dà verità, l’altra riconoscimento. Servono entrambe.
Ti capita mai di lavorare partendo da un’immagine mentale precisa o lasci che sia la materia a guidarti?
Spesso è la materia che comanda. Le idee arrivano dopo, mentre creo.
Qual è stata finora l’opera che più ha rappresentato il tuo stile?
Una tela dedicata a Jesus, mixata con il Joker. Pop, iconica.
C’è un artista contemporaneo con cui ti piacerebbe collaborare?
Banksy, per rompere insieme qualche regola.
Come vedi l’evoluzione della tua arte nei prossimi anni?
Più contaminazioni, più matericità, forse ancora più provocazione. L’arte deve spingersi oltre.
Hai mai pensato di estendere il tuo linguaggio anche ad altri supporti, come l’installazione o il digitale?
Sì, sto già esplorando. L’arte non ha più confini.
Che tipo di relazione ti interessa creare tra spettatore e opera?
Empatia e sorpresa. Voglio che si senta parte del gioco visivo.
Descriviti in due canzoni.
L’italiano di Toto Cutugno, Around the World dei Daft Punk.





