MICHELE DI ERRE

MICHELE DI ERRE

Michele è un illustratore e narratore visivo torinese, classe 1979, che trasforma ogni disegno in una soglia verso l’immaginario. Con una formazione classica e un approccio multidisciplinare, unisce l’inchiostrazione rigorosa alla libertà della pittura stratificata, attraversando con naturalezza illustrazione, pittura e narrazione. Le sue opere, realizzate su carta, tela, masonite e materiali di recupero, sono caratterizzate da una drammaturgia visiva fatta di frammenti, simboli e figure parziali che lasciano spazio allo spettatore per completare il racconto. Nei suoi mondi si mescolano ironia urbana, rigore classico ed espressionismo fiabesco, in un equilibrio tra estetica artigianale e sperimentazione narrativa. Ideatore di corsi e workshop sul disegno narrativo, Michele affianca alla produzione artistica progetti editoriali originali come Kiwiland – The Holiday Park e Bestial Tarot, che si configurano come vere e proprie esplorazioni visive tra gioco e critica. Il suo tratto si offre come gesto di resistenza poetica, invitando chi osserva a rallentare, leggere tra le pieghe e lasciarsi trasportare in territori dove l’immagine non descrive, ma evoca.

Cos’è per te l’arte?

Un metodo d’indagine e disorientamento. Un modo per aprire crepe nella superficie delle cose, per attraversarle e riformularle. L’arte per me e’ alchimia!

Cosa ti guida nella scelta del soggetto quando inizi un nuovo lavoro?

Spesso non lo scelgo: mi arriva, mi insegue. È un frammento visivo, una frase fuori posto, una figura che mi guarda da un sogno (a volte sogni lucidi una pratica che consiglierei a tutti!) o magari nati da sketches urbani. Il soggetto è solo il pretesto per iniziare un viaggio di sola andata verso l’ignota visione artistica.

Che ruolo ha il “frammento” nella tua narrazione visiva?

Il frammento è la materia prima: ogni mia immagine è costruita come un reperto. Nessuna totalità mi interessa davvero. Solo resti, scarti, rivelazioni parziali. La nostra mente lavora per frammenti che poi riunisce in linguaggi o in qualcosa che noi chiamiamo senso. Ma prova a chiudere gli occhi e a pensare a un luogo, un volto di una persona cara, un libro… tutto cio’ che ti arriva sono frammenti e mai qualcosa di intero! Frammento come parte del tutto ma pur sempre frammento.

Come convivono, nel tuo processo creativo, la precisione dell’inchiostro e la libertà del colore?

Sono in tensione continua, come due voci in una stessa stanza: l’inchiostro disegna confini, il colore li disobbedisce. È un dialogo che non cerca mai accordo definitivo. E non chiedo trovarlo! Adoro questa danza infinita!

I tuoi lavori sembrano costruire mondi: da dove nasce questa vocazione narrativa?

Forse da una forma di malinconia. O dalla necessità di raccontare l’assurdo del mondo usando altri mondi. Ogni serie è un atlante immaginario, una deriva. Sono un disegna-storie e un canta-illusioni!

In che modo la tua formazione classica influenza il tuo linguaggio contemporaneo?

Mi ha insegnato a diffidare delle mode e a studiare le strutture. La retorica antica, il mito, il frammento epigrafico: tutto ritorna, trasformato in forme visive. Cerco di creare oggetti con una memoria lunga. Lavoro molto sulla composizione e cerco prima cosa di sorprendermi per sorprendere. Almeno ci provo.

Qual è il rapporto tra il gesto manuale e la riflessione critica nel tuo fare arte?

Sono inseparabili. Il gesto è già pensiero. Disegnare è come scrivere un saggio con le mani, un saggio che sbaglia, che dubita, che cancella. Come la gomma che non uso mai!

Che cosa cerchi di trasmettere nei tuoi workshop dedicati al disegno narrativo?

Una consapevolezza: il disegno non è solo rappresentazione, ma anche riflessione, costruzione di senso. Cerco di far emergere visioni personali, non “stili”. A volte mi sembra piu’ di essere un motivatore esistenziale!

I tuoi progetti editoriali sono spesso a cavallo tra gioco e critica: che valore ha per te questa ambiguità?

È il cuore del mio lavoro. Credo nell’ambiguità come strumento critico. Giocare è un atto profondamente politico, (indaghiamo bene i messaggi segreti che ci ha lasciato il Collodi nel Pinocchio per far un esempio) e il paradosso una forma di resistenza.

C’è un’opera a cui sei particolarmente legato, o che senti più vicina al tuo modo di vedere il mondo oggi?

Il Pin-occhio, che vi ho allegato, questa riflette la mia visone del mondo, tuttavia anche Kiwiland – The Holiday Park, la mia graphic novel sulla nuova zelanda dove ho vissuto, perché è un atlante finto ma vero. O il Bestial Tarot, dove simbolo e illustrazione si fondono per raccontare archetipi alternativi attraverso animali antropomorfi. Sono tutti tentativi di trasformare l’assurdo in narrazione.

Quanto conta per te il rapporto diretto con il pubblico e la sua interpretazione delle tue opere?

Conta moltissimo, ma non nel senso canonico. Mi interessa l’interpretazione laterale, la lettura che non avevo previsto. L’opera vive in quell’errore creativo tra me e l’altro. Mi riscopro negli occhi altrui

Descriviti in tre colori.

Bianco, Nero, ocra e rosso. Come vedi non amo molto le regole e le limitazioni!

Comments

No comments yet. Why don’t you start the discussion?

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *