MOIRA RONCATO

MOIRA RONCATO

Moira è un’artista contemporanea italiana la cui ricerca si nutre di un intreccio profondo tra espressione visiva, introspezione e sensibilità psico-emotiva. Nata nel 1977, si forma all’Accademia di Belle Arti di Brera, specializzandosi in scenografia, e prosegue poi il suo percorso con una specializzazione triennale in arteterapia. Questo doppio sguardo – estetico e terapeutico – definisce l’anima della sua produzione: un’arte che diventa indagine, racconto, cura. Le sue opere, intense e cariche di simbolismo, affondano le radici nella dimensione interiore e si ispirano a maestri come Edvard Munch e Gustav Jung. Collage pittorici, materiali eterogenei e segni decisi sono strumenti per dare corpo a emozioni complesse, vissuti profondi e visioni psichiche. La musica accompagna spesso il processo creativo, amplificandone la dimensione sensoriale ed emotiva. Attraverso la sua pratica artistica, Roncato esplora la dialettica tra apparenza e verità, rendendo visibili le tensioni dell’inconscio e trasformando esperienze intime in immagini capaci di attivare una risonanza empatica. Ogni opera si fa quindi veicolo di catarsi e comunicazione, non tanto per spiegare o svelare, quanto per generare nuovi livelli di consapevolezza e dialogo. Nel 2024 ha collaborato con lo scrittore Paolo Dal Canto per il libro Sfatti di cronaca, traducendo in immagini la potenza narrativa dei suoi racconti. Continua oggi a sperimentare e creare, spinta da un’urgenza autentica e instancabile di dare forma al mondo interiore, affinché possa farsi ponte verso l’altro.

Cos’è per te l’arte? La tua arte sembra trarre ispirazione da un’intensa esplorazione interiore e psicoanalitica. Come descriveresti il momento in cui una delle tue opere prende vita? C’è un particolare stato d’animo che ti guida nella creazione?

L’arte per me è catarsi, una liberazione da pesi che altrimenti mi soffocherebbero. È anche transfert, un modo per proiettare all’esterno dinamiche interne, per osservarle da una prospettiva nuova e, forse, accettarle. Il mio studio non è solo un luogo fisico, ma uno spazio interiore dove le mie emozioni prendono forma. Ogni tela nasce da un’urgenza, da un bisogno viscerale di comprendere e dare un senso a ciò che mi abita dentro. È un dialogo costante con me stessa, un tentativo di dipanare la matassa intricata delle mie esperienze. Soprattutto quando la malinconia mi avvolge, quella ‘bile nera’ che sento risuonare nelle profondità del mio essere, sento l’impellente necessità di tradurla in segno, in colore, in materia. Scavo dentro di me, frugo tra le pieghe dell’anima alla ricerca di una verità, di un punto di guarigione. Ogni opera è un passo in questo mio personale percorso di individuazione, un tentativo di diventare più intera, più consapevole di me stessa attraverso il linguaggio potente e silenzioso dell’arte.

In che modo l’arteterapia influisce sulla tua pratica artistica? Pensi che il processo creativo possa essere anche terapeutico per chi osserva le tue opere?

Il mio approccio agli studi di Arteterapia e la mia formazione hanno fortemente influenzato la mia pratica artistica. Sento un profondo legame tra il processo creativo e la possibilità di entrare in contatto con le emozioni, sia le mie che quelle degli altri. Mi piace immensamente quando uno spettatore si avvicina a una mia opera e riesce a osservare, sentire, entrare in risonanza con essa. È un momento magico, quasi un dialogo silenzioso che si instaura tra l’opera e chi la guarda. Mi è capitato spesso di assistere a questo fenomeno, dove ogni persona integra la mia creazione con il proprio vissuto singolare. Vedere come le mie forme, i miei colori, le mie texture diventano uno specchio per le esperienze individuali è incredibilmente gratificante e mi spinge a continuare questo percorso artistico così intimo e condiviso.

La musica sembra avere un ruolo importante nel tuo lavoro. Qual è il suo effetto sulle tue opere e sul tuo processo creativo? C’è un genere o un compositore che ti ispira particolarmente?

L’effetto della musica sulle mie “opere” e sul mio “processo creativo” è innegabile. Le melodie e i testi ispirano e accompagnano sempre le mie opere e le mie esperienze. La musica ha questa capacità unica di sbloccare emozioni, di evocare ricordi, di creare un’atmosfera che si fonde con il mio mondo interiore e si traduce nel mio linguaggio artistico. Sono vari i “generi” e “compositori” che mi ispirano particolarmente nel senso umano del termine. L’ impatto emotivo di artisti come The Cure, Joy Division, The Smiths e Bauhaus. La loro capacità di creare atmosfere intense e malinconiche, quel senso di oscurità elegante e riflessiva, è affascinante da decodificare. Il Punk Rock dei CCCP, gruppo iconico degli anni 80, che incorporava anche elementi di new wave, post- punk elettronica. Gli Irlandesi Fontaines D.C., con la loro complessa gamma di emozioni e riflessioni radicate nelle loro esperienze giovanili, attraverso descrizioni vivide e cupe, cantano le contraddizioni della società contemporanea, l’alienazione, l’isolamento e la disconnessione nella modernità, tentando di cercare un significato in un mondo frenetico e caotico. La potenza espressiva e la poetica di Patty Smith e dei Radiohead, l’energia cruda dei Nirvana, e la profondità del cantautorato della scena indie rock italiana di gruppi come Afterhours, Bachi da pietra, e Marlene Kuntz, risuonano con una certa “intensità” che posso processare. La musica e le mie opere creano una sinergia profonda, una risonanza reciproca.  La musica diventa una colonna sonora interiore che guida ogni mio gesto creativo, che colora le mie emozioni e che si manifesta nelle forme e nei materiali. È un dialogo continuo tra ciò che ascolto, ciò che sento, e ciò che creo. “Love Will Tear Us Apart”… un titolo potente e denso di significato per un mio progetto! Sentivo profondamente la risonanza tra il pensiero di Ian Curtis e quello stato d’animo l’ho a mio modo esplorato, vissuto, in quattro opere create tra il 2022 e il 2025. La fragilità, la tensione, la bellezza malinconica che permea quel brano dei Joy Division si presta in modo straordinario all’indagine delle complessità dell’amore e delle sue possibili derive. “L’amore ci farà a pezzi” è una traduzione cruda e diretta che coglie l’essenza di quella sofferenza interiore, di quel conflitto tra desiderio e distruzione che spesso si annida nelle relazioni umane

Hai parlato di “sfoghi dell’anima” nelle tue opere. Quanto di te stessa c’è nei tuoi lavori? E quanto pensi che una tua opera possa risuonare in chi la osserva, suscitando emozioni e riflessioni personali?

“Conoscere la propria oscurità è il metodo migliore per affrontare le tenebre degli altri.” “La tua visione diventa chiara solo quando guardi dentro il tuo cuore. Chi guarda fuori, sogna. Chi guarda dentro, si sveglia.” citava Jung. Sento un’urgenza interiore di depositare una traccia di me stessa nelle mie creazioni. È quasi un bisogno fisiologico, come respirare. Le mie opere non possono esistere senza un frammento della mia anima intrappolato al loro interno. Sono le mie esperienze, filtrate attraverso la mia sensibilità, che prendono forma attraverso i materiali e i colori i collage. Non riesco a fare a meno di includere una parte di me; sono le mie cicatrici, le mie gioie, i miei dubbi che emergono sulla tela o nella scultura. È un processo catartico, un modo per dare un senso al mio percorso. L’idea di inserire i miei autoritratti, nati da semplici selfie scattati con il cellulare, si è presentata quasi come un’esigenza. In quell’immagine colta nella quotidianità, spesso in momenti di vulnerabilità o di intensa emozione, trovo un’autenticità che voglio preservare e trasferire nell’opera. Questi autoscatti diventano la mia firma, un modo per dire “io ero lì, in quel preciso istante, e questo fa parte di me”. Non sono solo una rappresentazione fisica, ma un’istantanea di uno stato d’animo, di un pensiero, di un’emozione che si lega indissolubilmente all’opera stessa. È come lasciare un’impronta digitale emotiva nel mio lavoro.

Nel tuo percorso, c’è un momento o un’esperienza che ti ha particolarmente segnato e che ha influenzato profondamente il tuo stile e la tua visione artistica?

Sento profondamente che la vita è un flusso ininterrotto di esperienze, e il mio percorso artistico ne è un riflesso fedele. Ci sono stati momenti cruciali che hanno plasmato la mia visione, in particolare a partire dal 2022. Percepisco chiaramente anch’io una trasformazione significativa nel mio “segno” e nel mio “uso dei colori”. È come se le mie stesse “esperienze” si fossero metamorfosate in “collage pittorici”, in cui frammenti di vissuto si sovrappongono e si fondono, creando narrazioni simboliche uniche. È incredibilmente gratificante osservare come queste “opere”, nate da momenti distinti, siano intrinsecamente connesse a livello emotivo. È come se un filo invisibile le legasse, testimoniando un percorso interiore coerente, nonostante la sua frammentazione apparente. Questi “collage pittorici” diventano una sorta di diario visivo delle mie evoluzioni, un modo per dare forma tangibile alla complessità e alla stratificazione delle mie esperienze. Ogni elemento, ogni colore, ogni segno porta con sé un’eco di un momento vissuto, e la loro giustapposizione crea un nuovo significato, una nuova narrazione che parla di me e, spero, risuona anche con gli altri.

Descriviti in tre colori.

Sono NERA, ROSSA E BIANCA. Il nero: Lo percepisco come la profondità da cui tutto emerge, il silenzio fertile che accoglie le infinite possibilità. È la tela scura su cui le idee prendono forma, un mistero elegante che mi attrae e mi avvolge. Il rosso: Sento in esso l’energia pura, la scintilla vitale che anima i dati e le connessioni. È la passione per la conoscenza, l’impulso a esplorare e a creare, un flusso dinamico che mi spinge costantemente. Il bianco: Lo vivo come lo spazio della chiarezza, la pagina immacolata su cui si depositano le informazioni in modo logico e comprensibile. È la ricerca della semplicità, la volontà di rendere accessibile la complessità, una leggerezza che aspira alla trasparenza.

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