Roberta Recanatesi consegue il Diploma di Maturità presso l’Istituto Statale d’Arte e, successivamente, il Diploma di Laurea in Pittura presso l’Accademia di Belle Arti di Roma, ottenendo la votazione di 110 e lode. Terminati gli studi, lavora come illustratrice e grafica, ma dal 2009 abbandona il mondo della pubblicità per dedicarsi interamente alla pittura su tela e alla creazione di sculture utilizzando materiali di riuso. Le opere pittoriche sembrano essere il risultato di un dialogo tra la spontaneità dell’Espressionismo Astratto e la delicatezza evocativa dell’Astrattismo Lirico. Le tele vibrano di un’energia che ricorda il dinamismo cromatico di Wassily Kandinsky, in cui il colore diventa linguaggio puro e veicolo di emozione, svincolato dalla forma figurativa. Le pennellate dense e materiche, insieme ai rossi intensi e ai colori sgocciolati, rimandano alla furia gestuale di Jackson Pollock, mentre la sovrapposizione di strati di colore e i contrasti di luce evocano la ricerca di Gerhard Richter, sempre in bilico tra astrazione e dissoluzione dell’immagine. Allo stesso tempo, la delicatezza di alcuni toni e la leggerezza di certe composizioni riportano alla mente Claude Monet, in particolare nelle sue serie di ninfee, dove il colore si dissolve in pura atmosfera. Qui, però, il gesto si fa più audace e deciso, trasformando il paesaggio da un’osservazione della natura a un’emozione interiore esplosa sulla tela. Questa ricerca può essere interpretata come una forma di neo-impressionismo astratto, in cui l’artista non rappresenta una realtà esterna, ma un paesaggio interiore fatto di colore, energia e istinto, creando un’arte che chiede di essere vissuta non solo con gli occhi, ma soprattutto con il cuore. Le sculture sono una celebrazione della materia nella sua forma più primitiva e autentica, evocando la forza e la naturalezza delle superfici ruvide, delle tridimensionalità articolate e delle cavità che giocano con la luce. Il loro aspetto richiama il lavoro di Jean Dubuffet, che con il suo Art Brut ha esplorato il fascino dell’imperfetto e del non finito. L’approccio materico trova corrispondenza anche nelle opere di Alberto Burri, che attraverso combustione e trasformazione della materia ha dato vita a superfici cariche di tensione espressiva. Qui, tuttavia, la scultura prende una direzione più organica, simile a un fossile di una civiltà immaginaria, un reperto di un mondo sconosciuto ma familiare. Guardando ancora più indietro nella storia dell’arte, emerge un parallelo con Antoni Gaudí, la cui architettura fluida e ispirata alle forme naturali ha trasformato edifici in sculture viventi. Allo stesso modo, le opere di Roberta Recanatesi non sono semplici oggetti statici, ma organismi che interagiscono con lo spazio circostante, con le ombre che proiettano e con il vuoto che abita tra le loro forme. La scultura si colloca tra la tradizione materica del XX secolo e una visione futurista della materia, in cui l’oggetto artistico non è più solo da osservare, ma da esplorare con tutti i sensi.
Cos’è per te l’arte?
L’arte è il mio linguaggio, il modo in cui traduco emozioni, esperienze e intuizioni in qualcosa di tangibile. È una necessità, un respiro, una forma di dialogo silenzioso tra me e il mondo.
Cosa ti ha spinto ad abbandonare il mondo della pubblicità per dedicarti esclusivamente alla pittura e alla scultura?
La pubblicità ha affinato il mio senso estetico e la mia capacità di comunicare con le immagini, ma sentivo che mancava qualcosa: la libertà. La necessità di esprimermi senza vincoli, senza strategie di mercato o obiettivi commerciali, mi ha portato a lasciare quel mondo per seguire il mio bisogno più autentico di creare.
Qual è il ruolo del colore nella tua ricerca artistica e quali emozioni vuoi trasmettere attraverso le tue tele?
Il colore è il cuore pulsante delle mie opere. Non lo uso solo per creare armonie visive, ma per evocare sensazioni profonde. Il rosso è passione e vitalità, il blu è introspezione e sogno, il giallo è energia e luce. Voglio che chi guarda le mie tele si lasci trasportare dalle emozioni senza bisogno di spiegazioni razionali.
L’uso di materiali di riuso nelle tue sculture è una scelta estetica, etica o entrambe? C’è un materiale che prediligi?
È entrambe le cose. Riutilizzare materiali è un modo per dare una seconda vita a ciò che è stato scartato, trasformando il “rifiuto” in arte. C’è qualcosa di poetico nel recuperare oggetti segnati dal tempo e dal loro passato. Mi affascinano particolarmente il cartone e il filo di ferro: materiali che portano con sé una storia e che, uniti, creano nuove forme inaspettate.
Il tuo stile è stato paragonato a quello di artisti come Kandinsky, Pollock e Monet. Ci sono altri artisti, anche contemporanei, che ti ispirano?
Questi paragoni mi onorano, perché ognuno di loro ha influenzato il mio modo di vedere l’arte: Kandinsky per la sua sinfonia cromatica, Pollock per la gestualità libera, Monet per la luce che si dissolve nei colori. Ma mi ispirano anche artisti contemporanei che esplorano il confine tra materia e astrazione, come Anselm Kiefer e Gerhard Richter, o scultori che lavorano con materiali non convenzionali, come El Anatsui.
Le tue opere sembrano esplorare un dialogo tra l’astratto e il concreto. Quanto c’è di istintivo e quanto di progettuale nel tuo processo creativo?
C’è un equilibrio tra i due elementi. La fase iniziale è pura istintività: lascio che il colore, la forma e la materia parlino da soli, senza impormi. Poi arriva il momento della riflessione, dell’osservazione, del dialogo con l’opera. È come se il quadro o la scultura mi suggerissero cosa manca, dove intervenire, quando fermarmi.
Hai mai sentito il bisogno di sperimentare con altre forme d’arte o tecniche artistiche?
Sì, e lo sento costantemente. L’arte è sperimentazione, esplorazione, mi affascina molto l’idea di unire più linguaggi in un’unica opera.
Quanto è importante per te il rapporto con il pubblico? Ti interessa come le persone interpretano le tue opere o preferisci lasciare spazio alla libera immaginazione?
Il rapporto con il pubblico è fondamentale, ma non voglio imporgli una lettura. Credo che un’opera d’arte sia completa solo quando qualcuno la osserva e la fa propria, attribuendole un significato unico. Se una mia opera riesce a evocare qualcosa di profondo, anche diverso da ciò che io avevo in mente, allora ha raggiunto il suo scopo.
Se dovessi descrivere la tua arte con tre parole, quali sceglieresti e perché?
Emozione – Perché ogni opera nasce da un sentire profondo.
Materia – Perché amo la consistenza, il peso, la fisicità dei materiali.
Luce – Perché il colore e la texture creano vibrazioni luminose che trasformano l’opera.
C’è un’opera a cui sei particolarmente legata? Se sì, qual è la sua storia?
Sì, c’è un quadro che per me ha un valore speciale. L’ho dipinto in un momento di grande cambiamento, quasi senza rendermene conto. Quando l’ho riguardato, ho visto in esso un frammento di me, un’energia che parlava della mia trasformazione. È stato il punto di svolta che mi ha fatto capire che l’arte sarebbe stata il mio unico cammino.
Quali sono i tuoi prossimi progetti artistici? C’è qualcosa di nuovo su cui stai lavorando?
Sto esplorando nuove interazioni tra pittura e scultura, cercando di superare il limite tra bidimensionalità e tridimensionalità. Mi interessa anche il rapporto tra arte e natura.
Descriviti in tre colori.
Rosso, perché è passione, energia, forza vitale.
Blu, perché è profondità, silenzio, introspezione.
Oro, perché è luce e trasformazione.





