CHIARA NAPOLITANO

CHIARA NAPOLITANO

Chiara, nata a Carpi nel 1986, mostra sin da bambina una spiccata inclinazione per il disegno. Dopo il diploma presso l’Istituto d’Arte A. Venturi di Modena, inizia a farsi conoscere nei mercatini di arte e ingegno proponendo copie pop art, per poi intraprendere un percorso di ricerca che la conduce a uno stile personale e autentico. Le sue opere sono caratterizzate da donne dagli sguardi malinconici, dalle colature di colore e dai ritagli di carta che si increspano, creando un effetto volutamente imperfetto. Attraverso questi elementi distintivi, Chiara dà forma ai propri stati d’animo, trasformando ogni volto e ogni gesto in una storia unica, capace di sollevare in superficie le trame più intime e complesse dell’anima. Il suo linguaggio artistico, diretto e introspettivo, ha trovato spazio in numerose mostre collettive e personali, conquistando collezionisti in tutto il mondo. Le sue opere fanno oggi parte di raccolte private negli Stati Uniti, in Belgio, Olanda, Germania, Paesi Bassi, Francia, Spagna e Polonia, a testimonianza di una sensibilità che sa parlare a culture e sensibilità diverse.

Cos’è per te l’arte?

L’arte per me è un’urgenza. È ciò che non riesco a dire a parole ma che prende forma tra le mani, tra i colori, tra le crepe del silenzio. È rifugio, sfida, intuizione. È il mio modo di stare al mondo, di osservarlo, di trasformarlo. Non creo solo per mostrare, ma per ascoltarmi. L’arte è il mio respiro visibile.

Quali emozioni cerchi di trasmettere attraverso gli sguardi malinconici delle tue figure femminili?

Attraverso quegli sguardi malinconici cerco di trasmettere fragilità e forza insieme. Voglio che parlino di attese silenziose, di emozioni non dette, di battaglie interiori. Sono sguardi che raccontano il peso di ciò che è stato e il coraggio di restare sensibili. Non sono solo tristi, sono profondi: custodiscono storie, dolori, rinascita. Con quegli occhi, le mie figure femminili chiedono allo spettatore di fermarsi, sentire, riconoscersi.

Come sei arrivata a definire il tuo stile personale, fatto di colature di colore e ritagli di carta imperfetti?

Sono arrivata al mio stile personale seguendo l’istinto più che un progetto. Avevo bisogno di lasciare spazio all’imperfezione, all’imprevisto, a ciò che non si controlla. Le colature di colore sono diventate il mio modo di far scivolare fuori le emozioni più viscerale, mentre i ritagli di carta imperfetti parlano delle parti di noi che si rompono, si ricompongono, cambiano forma. Non cerco la perfezione, cerco la verità di un gesto, di una traccia, di un frammento. Il mio stile è nato così: da una necessità emotiva, da un’urgenza espressiva. E continua a evolversi insieme a me.

C’è un’opera che senti più rappresentativa del tuo percorso artistico?

Non c’è un’opera sola che sento come ‘la mia’. Il mio percorso artistico è fatto di fasi, come la vita. In ogni momento c’è stato un lavoro in cui mi sono riconosciuta più di altri, ma poi sono cambiata, mi sono evoluta, e quel dipinto ha smesso di rappresentare. La mia arte è movimento, è trasformazione continua. Non mi leggo a un’unica immagine, ma al flusso emotivo che le attraversa tutte. Ogni opera è stata una tappa: un frammento di ciò che ero, e un ponte verso ciò che sarei diventata dopo.

In che modo i tuoi stati d’animo influenzano il processo creativo?

I miei stati d’animo sono il motore di tutto. Non dipingo mai a mente fredda: creo quando qualcosa dentro si muove, quando le emozioni chiedono spazio. La malinconia, la fragilità, la dolcezza, la rabbia… entrano nei colori, nei gesti, nelle colature. Il mio processo creativo è profondamente emotivo: spesso non so cosa sto cercando finché non lo vedo apparire sulla tela. Ogni segno è un tentativo di ascoltarmi, di dare forma a qualcosa che sento ma non so spiegare. Per questo ogni opera è diversa: segue l’onda di ciò che vivo, non una regola. Dipingo per capirmi, per liberarmi, per restare in contatto con la parte più vera di me.

Quali sono le principali fonti di ispirazione nella tua ricerca artistica?

Le mie principali fonti di ispirazione sono le emozioni umane, soprattutto quelle più intime e sottili. Mi lascio guidare dagli sguardi, dai silenzi, da tutto ciò che si muove dentro e spesso resta invisibile. Mi ispirano i volti femminili che portano storie non dette, i frammenti di vissuto, la bellezza imperfetta. Anche la materia mi ispira: la carta strappata, le colature, le texture. Sono attratta da ciò che è irregolare, che ha un passato, che racconta qualcosa attraverso i segni del tempo.

Come vivi il rapporto con il pubblico durante le mostre?

Durante le mostre vivo un doppio sentimento: da un lato l’emozione di condividere qualcosa di profondamente mio, dall’altro una certa vulnerabilità, perché ogni opera è una parte di me che si espone. Quando qualcuno si riconosce in uno sguardo, in un dettaglio, in un’emozione, sento che il mio lavoro ha fatto il suo percorso: ha toccato qualcosa, ha parlato. È in quei momenti che l’arte smette di essere solo mia, e diventa anche di chi la guarda.

Ti senti più vicina al mondo della pittura tradizionale o a quello della sperimentazione materica?

Mi sento più vicina al mondo della sperimentazione materica, perché è lì che riesco a esprimere davvero ciò che sento. La pittura tradizionale ha certamente influenzato il mio percorso, ma è attraverso la materia, le colature, le stratificazioni, la carta imperfetta, che trovo la mia voce più autentica. Mi affascina ciò che è irregolare, ciò che emerge dal gesto spontaneo, dall’errore, dal caso. Ogni materiale che uso diventa parte del racconto: non solo colore, ma pelle, memoria, frammento emotivo.

Quanto conta per te l’imperfezione come linguaggio estetico?

Per me l’imperfezione è tutto. Non la vedo come un difetto, ma come una forma di verità. È lì che si nasconde l’emozione più autentica, quella che non si lascia ingabbiare in forme perfette o controllate. L’imperfezione è il segno del vissuto, del gesto sincero, della fragilità che non ha paura di mostrarsi. Voglio che ogni opera respiri, che porti con sé le tracce del processo, dell’errore, del cambiamento. L’imperfezione è il mio modo di restare vera.

Quali progetti futuri ti piacerebbe realizzare per continuare ad evolvere il tuo linguaggio artistico?

Mi piacerebbe tornare presto a esporre il mio lavoro. È da un po’ che non faccio mostre, ma sono aperta a ciò che verrà: ogni fase ha il suo momento.

Descriviti in tre colori.

Nero, come la profondità dei pensieri che non sempre trovano voce, come il silenzio che custodisce emozioni antiche e misteriose. Bianco, come lo spazio vuoto da cui tutto può nascere, la luce che accoglie, la pausa tra un gesto e l’altro. Rosso, come il battito del cuore che pulsa nella materia, come la passione, la vulnerabilità e il coraggio di sentire fino in fondo. Sono questi tre colori a raccontarmi: essenziali, contrastanti, vivi.

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