DANIELA ZAPPAROLI

DANIELA ZAPPAROLI

Daniela nasce a Como, e proprio in questa terra sospesa tra il riflesso del lago e l’eco di storie dimenticate, prende forma la visione artistica di Daniela Z. Artista autodidatta, Daniela coltiva da sempre un’intima connessione con il disegno, affinata nel tempo con dedizione silenziosa e sguardo attento ai dettagli. Dopo aver frequentato il liceo artistico, si diploma come maestra d’arte nella sezione “Arte del tessuto”, un percorso che le insegna a leggere le trame non solo dei materiali, ma anche delle emozioni. Il suo tratto prediletto è la grafite e il bianco e nero, mezzo attraverso cui esplora volti, silenzi e atmosfere sospese. Il contrasto tra luce e ombra diventa linguaggio, mentre le sfumature restituiscono delicatezza e profondità. Ogni tanto, con spirito curioso, si lascia trasportare dal colore, realizzando disegni digitali su iPad che aggiungono nuove dimensioni alla sua poetica visiva. Oltre all’arte visiva, Daniela nutre una profonda passione per la musica, compagna costante durante il processo creativo. I suoni diventano suggestioni, ritmi interiori che si intrecciano al segno. È inoltre affascinata dal mondo del paranormale, dell’esoterismo e dell’estetica gotica, universi simbolici e misteriosi che spesso ispirano il suo immaginario, influenzando i soggetti e le atmosfere delle sue opere. La sua arte nasce da un’esigenza interiore: ció che le parole non raccontano trova rifugio tra le linee.

Cos’è per te l’arte?

L’arte, per me, è un linguaggio primordiale: un modo di comunicare ciò che le parole non possono esprimere. È un atto di ascolto e trasformazione — ascolto dell’interno, del mondo, delle energie sottili — e trasformazione di queste percezioni in segno e forma. È anche un rituale che mi tiene in contatto con la mia parte più viva, vulnerabile e autentica.

Cosa ti attira del bianco e nero e in che modo pensi che amplifichi il potere emotivo dei tuoi soggetti?

Il bianco e nero elimina ogni distrazione. Spoglia l’immagine fino alla sua essenza. È come lavorare con l’ombra e la luce dell’inconscio: ogni segno è una scelta, ogni vuoto ha un peso. Questo linguaggio essenziale amplifica il dramma, la quiete o la tensione, lasciando spazio all’immaginazione e alla proiezione emotiva di chi guarda.

In che momento senti che un volto o un’atmosfera “meritano” di essere raccontati con il tuo segno?

Quando sento un’interferenza emotiva. Quando qualcosa o qualcuno mi parla, in silenzio. È un’intuizione, a volte un disagio, un senso di urgenza. Mi attira ciò che è imperfetto, sospeso, in trasformazione. Un volto che nasconde una frattura, un luogo che sembra ricordare qualcosa che io ancora non so.

Come si intrecciano musica e disegno nel tuo processo creativo quotidiano?

La musica è spesso l’innesco. Crea un varco, uno stato interiore. Alcuni suoni evocano immagini, altri diventano ritmo nel gesto. Il disegno, nel flusso, diventa una partitura che si scrive da sola: c’è un tempo, una frequenza, una dinamica. A volte scelgo la musica per sostenere un’emozione; altre volte è la musica a suggerirmi un soggetto, un movimento, una tensione.

In che modo la tua formazione nell’arte del tessuto ha lasciato tracce nel tuo modo di costruire volumi e texture nel disegno?

Il tessuto mi ha insegnato la pazienza del dettaglio e la potenza dei gesti ripetuti. Nei miei disegni costruisco i volumi con una logica materica: penso in termini di trama e ordito, luce e densità, superficie e profondità. Anche le ombre nascono da una sensibilità tattile — non voglio solo descrivere, ma far “sentire” un corpo o un volto attraverso la texture.

Pensi che la tua arte abbia anche una funzione terapeutica o rituale, oltre che espressiva?

Assolutamente. Disegnare mi aiuta a contattare zone interiori che altrimenti resterebbero mute. È una pratica meditativa, ma anche una forma di esorcismo: porto fuori ciò che agita dentro. A volte è un gesto riparativo, altre volte evocativo. In ogni caso è un attraversamento. Non cerco di spiegare, ma di creare uno spazio in cui qualcosa possa manifestarsi.

Quando scegli di usare il colore nei tuoi lavori digitali, cosa ti spinge a rompere il silenzio del bianco e nero?

Il colore è sempre un’eccezione. Lo uso quando sento che il bianco e nero non basta, quando un’emozione ha bisogno di vibrare in modo diverso. A volte è un colore specifico che mi chiama — un rosso, un verde smorzato, un blu profondo. Altre volte, è il desiderio di contaminare la compostezza dell’immagine con qualcosa di viscerale. Il colore rompe il silenzio solo quando ha qualcosa da dire.

L’estetica gotica e il paranormale influenzano spesso il tuo immaginario: cosa rappresentano per te a livello personale?

Sono luoghi dell’altrove. Il gotico è una soglia tra bellezza e inquietudine, tra vita e morte, tra visibile e invisibile. Mi affascinano i margini, le zone liminali. Il paranormale non è solo un tema narrativo, ma un modo di percepire il mondo: un’apertura verso ciò che sfugge alla logica. Disegnare queste presenze è un modo per esplorare la parte più misteriosa e numinosa dell’esperienza umana.

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