Luisa, nata a Rivoli nel 1980, è una ritrattista che ha intrapreso il suo percorso artistico partendo dal Liceo Artistico Renato Cottini di Torino, per poi proseguire con una ricerca autonoma e profonda. Nei suoi dipinti si percepisce una tensione continua tra passione e ossessione per la pittura, un respiro emotivo che si traduce in atmosfere sensuali e velate, capaci di sedurre senza mai esibire. Lontana da logiche puramente accademiche, ha partecipato a mostre in gallerie, musei e spazi pubblici, ricevendo diversi riconoscimenti, anche se considera come premio più autentico l’emozione sincera del pubblico. Negli ultimi anni, isolandosi nel proprio studio-soffitta, ha intrapreso un viaggio introspettivo che l’ha condotta a una profonda riscoperta di sé. Attraverso il pennello, Luisa esplora e condivide i propri sogni, desideri e segreti più intimi, affidandosi a un linguaggio pittorico fatto di codici visivi personali, lasciando però libera interpretazione allo spettatore. La sua arte si muove tra identità, relazione, desiderio e passione, offrendo un’esperienza emotiva intensa e stratificata.
Cos’è per te l’arte?
È un processo creativo in cui mi lascio guidare dalle emozioni. Un modo per condividere i pensieri più intimi. È un’esplorazione in continuo mutamento, un linguaggio per rappresentare concetti e idee.
Cosa significa dipingere un volto? È più un incontro o un atto di svelamento?
Quando realizzo un ritratto su commissione, creo una connessione emotiva con il soggetto, anche se spesso non lo conosco. Osservo i segni del viso, gli occhi, e immagino il vissuto. Cerco di cogliere la luce di quel momento, racchiusa nella loro espressione.
Nei tuoi quadri parli di passione e ossessione. Come convivono queste due forze nel processo creativo?
La passione è la forza trainante delle mie opere, alimenta l’intensità emotiva. È il mio fuoco creativo. L’ossessione è la mia fissazione per certi temi e soggetti, che mi porta a esplorarli in profondità. Insieme danno forma al mio riflesso immaginario.
Lavorare in solitudine nella tua soffitta è stato un modo per ritrovarti o per perderti dentro le immagini?
Bella domanda… La solitudine mi aiuta a concentrarmi su me stessa, a perdermi nei pensieri e a ritrovare dettagli da osservare e vivere con intensità.
I codici visivi che nascondi nelle tue opere sono messaggi segreti o protezioni intime?
Sono messaggi intimi, nascosti in bella vista. Possono avere molte letture, ma si rivelano solo a chi sa osservare nel profondo. Amo costruire questa complessità velata, fatta di mistero.
Che ruolo ha lo spettatore nella contemplazione delle tue opere? Ti interessa di più la sua emozione o la sua interpretazione?
Mi interessa tutto dello spettatore: emozione, interpretazione, riflessione. Sapere di stimolare altre menti mi dà una profonda soddisfazione.
Quanto c’è di autobiografico nei temi di desiderio, identità e relazione che affronti?
Tutto. Ogni mio quadro è autobiografico. Dipingo me stessa e il mio mondo.
Hai mai avuto paura di mostrare troppo di te attraverso la pittura?
No, mai. Anzi, “dipingermi” è il modo più libero e autentico che ho per raccontarmi.
Come definiresti oggi il tuo “pensare” artistico, dopo il percorso di autoesplorazione degli ultimi anni?
Dopo dieci anni di distanza dalla pittura, questi ultimi tre anni di ripresa hanno cambiato tutto. Oggi il mio pensiero artistico è uno stupore continuo. Un viaggio nell’inconscio, un’espressione autentica, onesta, senza filtri né inibizioni.
Descriviti in tre colori.
Nero, rosso e bianco. Sono anche i tre colori del mio progetto “Tavolette Rosse”, che sto realizzando nel tempo e che svelerò prossimamente.








