DENISE RECCHI

DENISE RECCHI

Denise, nata nel 1992 a Civitanova Marche, sulla costa adriatica, ha scelto di lasciare il lavoro d’ufficio per dedicarsi completamente al disegno e alla pittura, passioni che l’accompagnano fin dall’infanzia. Nel 2018 si trasferisce a Firenze per frequentare la scuola d’arte “La Bottega dell’Arcimboldo”, dove inizia la sua carriera artistica lavorando prevalentemente con la grafite. Successivamente si forma per un periodo alla scuola internazionale “Idea Academy” di Roma, approfondendo il disegno digitale, pur mantenendo una forte predilezione per le tecniche tradizionali. Nel corso della sua ricerca, che continua a nutrire attraverso workshop internazionali e studi universitari in Beni Culturali, amplia il proprio linguaggio sperimentando con pastelli e olio, orientandosi verso un approccio al ritratto più morbido e meno legato alla perfezione del dettaglio. Accanto alla produzione figurativa, che comprende anche nature morte e soggetti diversi, sviluppa un percorso parallelo nell’astrattismo geometrico, interpretato in chiave filosofica e alchemica. Ha esposto i suoi lavori presso “La Bottega dell’Arcimboldo” nel 2020, partecipato al “Premio Nocivelli” e a diverse edizioni del “Luxembourg Art Prize” organizzato dalla Pinacoteca Museo di Lussemburgo. Le esposizioni previste per il 2020 e il 2021, tra cui una mostra a Firenze, sono state annullate a causa della pandemia, ma negli anni seguenti ha aperto il suo studio di Civitanova Marche al pubblico, organizzando mostre personali in uno spazio dedicato. Un nuovo evento è previsto per il 2026.

Cos’è per te l’arte?

L’arte è meditazione. È una connessione con la realtà del soprasensibile (come la definiva Platone) che permea la nostra esistenza. Siamo delle antenne. Una volta sintonizzati alla giusta frequenza, possiamo essere il tramite per la traduzione grafica, attraverso gli strumenti che ognuno padroneggia, dei segnali che ci arrivano dal mondo delle idee.

Cosa ti ha spinta a lasciare il lavoro d’ufficio per dedicarti interamente all’arte?

Nel cammino della mia ricerca interiore ho appreso molto lentamente ad ascoltare. E ad ascoltarmi. Ascoltare cosa il mondo esterno tentava di dirmi cogliendo i piccoli segni quotidiani. Per molto tempo li ho respinti, per paura di lasciare un percorso già segnato e scritto di fronte ad una realtà ignota. Poi un bel giorno, quando anche il mio corpo aveva iniziato ad ammalarsi, ho sentito il coraggio bussare alla mia porta e (con tutte le responsabilità del caso) sono riuscita a tuffarmi verso quello che mi è sempre piaciuto fare di più di tutto nella vita: tenere in mano colori e matite.

In che modo il trasferimento a Firenze ha influenzato la tua crescita artistica?

Il trasferimento a Firenze è stata la tappa fondamentale e iniziatica della mia avventura, che prima di questo era praticata in maniera completamente da autodidatta. Quello che conoscevo non mi bastava, sentivo la necessità di avere più confidenza con gli strumenti da lavoro che utilizzavo. È stato il motore principale, soprattutto prendendo in considerazione anche la grande sensibilità interiore del mio maestro, il quale anche nei momenti più bui e difficili del cammino, quelli per cui avrei voluto mollare tutto, ha sempre fatto ritornare la fiducia in me stessa.

Qual è stata l’esperienza più significativa tra i workshop internazionali che hai frequentato?

In realtà l’esperienza più significativa tra le avventure all’estero non si colloca tra i classici workshop prestabiliti dal pacchetto (che dal primo all’ultimo sono stati meravigliosi e dai quali ho appreso tantissimo, soprattutto quelli frequentati all’atelier nadaï in aquitania) ma si colloca nelle sedute libere di nudo che ho frequentato in solitaria all’académie de la grande chaumiere a Parigi.

Cosa ti affascina maggiormente nel passaggio dalla grafite alle tecniche a pastello e olio?

In sostanza il fascino sta tutto nella colorazione. Con la grafite si lavora su tutta la scala dei grigi dal bianco al nero mentre con il pastello e l’olio, nonostante la diversità tra le due tecniche, il fascino è proprio quello di giocare all’infinito con le tonalità di milioni di colori.

Come si intrecciano il tuo percorso figurativo e quello astratto nella tua ricerca?

Credo che si intreccino nel concetto di ricerca della perfezione, che non è altro che la ricerca della conoscenza. Nel percorso figurativo c’è una continua ricerca del dettaglio (anche se ultimamente sto sperimentando anche soluzioni un po’ più morbide) volto a rendere i soggetti realistici e quindi simil perfetti nella somiglianza con l’originale, mentre nel percorso astratto gioco, comunque, con una serie di figure geometriche che rappresentano, anche nel mondo filosofico della geometria, il concetto di perfezione assoluta.

Quali significati filosofici e alchemici cerchi di trasmettere attraverso l’astrattismo geometrico?

 il significato è proprio come ho anticipato sopra. Gli alchimisti erano alla costante ricerca della formula per la creazione della pietra filosofale, nei loro esperimenti, volta al dono dell’immortalità. In realtà quello che scrivevano era un’allegoria del percorso da intraprendere per l’illuminazione. E così tanto nell’alchimia quanto nella filosofia, il fine ultimo è sempre lo stesso: quello della ricerca della verità.

Cosa provi nell’aprire il tuo studio al pubblico e trasformarlo in uno spazio espositivo?

Le sensazioni sono state differenti ed altalenanti nelle diverse fasi della mia vita. Fino a qualche tempo fa, ospitare visitatori era più piacevole. Ero contenta di aprire il mio studio al pubblico perché pensavo fosse un bel gesto regalare all’esterno e agli altri le mie emozioni attraverso i lavori che portavo a compimento. Ora sono in una fase di introspezione nella quale percepisco l’esterno come un’invasione, una violazione della mia sfera intima e per questo apro le porte solamente alle persone “giuste”.

Che aspettative e desideri hai per il tuo prossimo evento previsto nel 2026?

In generale non mi creo mai delle aspettative per qualcosa che dovrò fare. E questo modo di pensare mi ha sempre regalato delle piacevoli sorprese inaspettate. Do l’opportunità a qualsiasi cosa di stupirmi. Quando hai aspettative su qualcuno o qualcosa in qualche modo blocchi le energie che invece dovrebbero fluire, perché stai dicendo di volere una cosa piuttosto che un’altra e quindi se accade diversamente non sei mai pienamente contento. Io sono felice anche solamente di avere l’opportunità di farle le cose, poi come vanno. E sono sempre andate bene per me, anche nel male.

Descriviti in tre colori.

Blu, bianco e nero.

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