AMELIA MASTRODONATO

AMELIA MASTRODONATO

Amelia, in arte Ameliart, è nata in Puglia, terra di luce e profumi intensi, e oggi vive in Germania, dove la sua arte ha trovato una nuova dimensione. Il disegno l’accompagna da sempre, parte integrante di sé sin dall’infanzia, quando affondava le mani nei colori come in una seconda pelle. La vita, però, l’ha portata altrove, nel mondo rigoroso del diritto, dove per anni ha esercitato come avvocato, mettendo temporaneamente da parte la propria dimensione creativa. È stato un lutto profondo a riportarla al disegno, che da allora è diventato la sua forma più autentica di espressione. Predilige il bianco e nero, linguaggio essenziale in cui convivono luce e ombra, silenzio e intensità. I suoi strumenti sono semplici, ma l’intento è profondo: cercare emozione, carattere, anima. Ispirata da ciò che la circonda, dagli sguardi, dai contrasti del reale e dai grandi fotografi, Amelia sente che non è lei a scegliere i soggetti da ritrarre, ma che sono loro a scegliere lei. Negli ultimi anni ha ottenuto importanti riscontri, tra cui due pubblicazioni internazionali per il progetto Linking World, che riunisce artisti da ogni parte del mondo, e una crescente attenzione sui social media.

Cos’è per te l’arte?

L’arte per me è una forma di respiro interiore. È il luogo dove posso essere vera, vulnerabile e forte al tempo stesso. È il linguaggio che mi permette di dire ciò che con le parole non riuscirei.

Hai vissuto un ritorno all’arte dopo un periodo nel mondo del diritto. Come ha influito questa esperienza sulla tua sensibilità artistica?

Il diritto mi ha insegnato il rigore, l’attenzione al dettaglio, la disciplina, ma mi ha anche mostrato il peso del silenzio, dell’assenza di ascolto emotivo. Quando sono tornata all’arte, ho sentito che quelle competenze, unite al bisogno urgente di esprimermi, hanno dato una forza nuova alla mia mano. Era come se ogni tratto fosse più consapevole, più denso di significato.

Quali emozioni hai ritrovato nel disegno dopo il lutto che ti ha spinto a riprendere a creare?

Ho ritrovato il silenzio, quello fertile, quello che gioca con il groviglio di pensieri. Ho ritrovato la presenza di un punto di forza che purtroppo non c’era più, come se ogni linea fosse un filo che ci univa ancora. Ho sentito la vulnerabilità, ma anche la possibilità di trasformarla in bellezza, in memoria, in carezza. Il disegno è diventato un modo per rimanere viva e connessa, anche nel dolore.

Cosa significa per te “essere scelta” dai soggetti che ritrarrai? Potresti raccontarci un esempio concreto in cui l’hai percepito chiaramente?

Essere scelta significa che un volto, uno sguardo, una postura mi cattura. Ed è anche il motivo per il quale non amo prendere commissioni di ritratti. Se non vengo ispirata, purtroppo non riesco a caricarlo di emotività. Non lo cerco io: lo sento. Una volta ho trovato una fotografia di una donna, l’ho guardata e ho sentito che non avevo scelta: dovevo disegnarla. Come se fosse lei a chiedermi di darle voce attraverso la mia matita.

Perché hai scelto di lavorare principalmente in bianco e nero? Cosa ti permette di esprimere che il colore non riesce?

Il bianco e nero è per me essenza. Mi permette di togliere il superfluo, di andare dritta all’anima. Elimina le distrazioni e lascia parlare la luce, l’ombra, la tensione. È un linguaggio più intimo, più universale. Paradossalmente, sento che attraverso l’assenza di colore riesco a raccontare emozioni ancora più profonde.

I tuoi strumenti sono semplici, ma parli di un’intenzione profonda: ci spieghi qual è il tuo processo creativo, dall’idea all’opera finita?

Tutto inizia da una sensazione: uno sguardo che mi colpisce, una fotografia che mi parla. Osservo molto prima di toccare la carta. Poi inizio con tratti leggeri, quasi esplorativi. Tante volte mi piace mostrare nelle storie questo primo momento, quando vengono fuori i primi tratti. Lascio che il disegno cresca lentamente. Lavoro per stratificazioni, con grafite e sfumature delicate. Mi fermo spesso, osservo, ascolto cosa vuole diventare l’opera. Non impongo, accompagno. A volte strappo, anzi spesso, se non mi colpisce ciò che ho fatto.

Quanto contano per te i dettagli in un volto o in uno sguardo? Da cosa capisci quando un ritratto è “compiuto”?

I dettagli sono tutto. Ma non devono essere freddamente realistici: devono trasmettere. Lo sguardo è il punto più importante, il cuore. Quando mi accorgo che lo sguardo mi guarda indietro, allora capisco che il ritratto è finito. Non serve aggiungere altro. È lì, vivo.

Hai citato i grandi fotografi come fonte d’ispirazione: ce n’è uno in particolare che senti vicino alla tua visione?

Sento molto vicina la poetica di Peter Lindbergh. Il suo bianco e nero, la sua capacità di catturare la bellezza imperfetta, autentica, vulnerabile. I suoi ritratti sono intimi, mai costruiti, e mi ispirano a cercare la stessa verità nei miei disegni. Amò Henri Cartier Bresson, che fu anche pittore. Mi piacciono anche fotografi non famosi, ma che a me trasmettono tanto.

In che modo la tua terra d’origine, la Puglia, e la tua nuova casa in Germania influenzano la tua arte?

Ehhh la Puglia è luce, vento, memoria. È terra arida in estate, ma tanto rigogliosa. È gioia e dolore. Mi ha dato il senso della bellezza naturale, della semplicità che emoziona. La Germania mi ha dato silenzio, introspezione. Nella mia arte così come nella vita, convivono entrambe: la forza solare del Sud e la profondità dell’ombra del Nord.

Come vivi il rapporto con i social media? Li senti come un ponte autentico con il pubblico o come una vetrina da gestire?

Cerco di viverli come un ponte, anche se a volte la sensazione di non essere capita. Francamente non do molta importanza ai like, ma devo dire che  quando una persona mi scrive dicendo che un mio disegno l’ha emozionata, tutto prende senso. In quel momento non è più vetrina, è connessione.

Hai già in mente un prossimo progetto o un’evoluzione stilistica che vorresti esplorare nei tuoi lavori futuri?

Vorrei esplorare il disegno su formati più grandi. E sto anche valutando di sperimentare il carboncino in modo più libero, più gestuale, più accademico che realistico. Voglio lasciare che la mia mano segua percorsi nuovi, senza forzature.

Descriviti in tre colori.

Nero, per la profondità. Viola come spazio interiore. Ocra, per la luce calda della mia terra.

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