ANNA D’AMBROSIO

ANNA D’AMBROSIO

Anna è project manager di Amy d Arte Spazio, galleria di ricerca milanese con un’impronta di autentica impresa sociale. Situata nel cuore del Brera District, a pochi passi dall’Accademia di Belle Arti e dal distretto finanziario, la galleria nasce nel 2010 con una visione fortemente interdisciplinare, grazie alla piattaforma economArt, che intreccia arte contemporanea, scienza, design, moda, tecnologia ed economia. Con alle spalle una formazione in ambito clinico e una passione per la ricerca e il collezionismo, Anna ha sviluppato un approccio ibrido e progettuale che distingue la galleria dal più tradizionale sistema dell’arte. L’esordio è emblematico: la mostra Titoli – arte tra finanza e mercato propone un’inedita rilettura visiva dei loghi di società quotate in borsa, generando plusvalore ( nel senso finanziario) e critico. L’originalità del progetto attira subito l’attenzione di importanti aziende e testate come The Economist e Il Sole 24 Ore. Dal 2013, Amy d Arte Spazio si dedica alla sperimentazione con smart materials e materiali green di ultima generazione, in collaborazione con istituti di ricerca come l’UNISA di Salerno, Tor Vergata, il Politecnico di Milano e l’IIT di Genova. L’obiettivo è indagare la soglia tra visibile e invisibile per creare nuove estetiche. Tra i risultati più significativi, la prima opera d’arte contemporanea in aerogel di grafene, Peso Piuma, firmata dall’artista Mattia Novello. La selezione degli artisti si orienta verso figure con capacità artigianali, sperimentatori curiosi e disposti a mettersi in gioco. A oggi, la galleria ha introdotto oltre 20 materiali innovativi – tra cui bioplastiche, pitture termiche, cementi nanotech e micelio – diventando un riferimento per l’arte sostenibile e ad alto contenuto tecnologico. Amy d Arte Spazio partecipa regolarmente a progetti dal respiro internazionale, rappresentando artisti come il fotografo sudcoreano Daesung Lee, noto per i suoi lavori sui cambiamenti climatici. Tutte le attività della galleria, tra progetti e mostre ibride che spaziano dal design alla moda, dalla tecnologia all’economia, sono documentate sul sito ufficiale nella sezione Project ed Events & Exhibitions. Amy d Arte Spazio www.amyd.it

Cos’è per te l’arte?

L’arte per me è un linguaggio che si relaziona profondamente con l’estetica del reale, implicando un’attività di sublimazione.

Cosa ti ha spinta a fondere linguaggi apparentemente lontani come arte, economia e tecnologia in un’unica piattaforma progettuale?

Una tensione legata alla mia identità. Dopo un liceo a indirizzo scientifico, desideravo studiare fisica, ma eventi personali mi hanno indirizzata verso studi clinici, culminati in una tesi sperimentale su un innovativo approccio psicoterapeutico basato sulla seconda legge della termodinamica. Gli anni universitari a Padova sono stati fondamentali per una maggiore consapevolezza delle tematiche socio-economiche che mi appassionano da sempre. L’utilizzo della tecnologia, invece, è stato il veicolo che ha accelerato alcuni processi di sintesi orientati al risultato. Nel post-laurea ho messo a frutto studi e competenze in ambiti apparentemente distanti tra loro: ho gestito programmi di Fondazioni sul nucleare, mi sono occupata di selezione del personale per Olivetti Synthesis (design), ho creato tour operator per un turismo più etico e sostenibile. A 26 anni ho acquisito un pacchetto azionario di un’agenzia viaggi nel cuore di Brera e ho iniziato a occuparmi di economia e borsa, frequentando nel frattempo gallerie d’arte della zona — alcune mie clienti — barattando viaggi con opere d’arte. Ho sempre visto connessioni e sinapsi tra le varie discipline, che solo una visione specialistica e riduttiva tende a separare.

In che modo la tua formazione in psicologia ha influenzato la tua visione curatoriale e il dialogo con gli artisti?

Sono di formazione junghiana e lacaniana: con gli artisti procedo con una sorta di anamnesi. I primi incontri in galleria sono densi e spesso determinanti per capire se una collaborazione può proseguire, culminando poi negli studio visit. In quel contesto mi piace scoprire opere a cui l’artista stesso attribuisce poca importanza. Cerco sempre di distinguere l’opera (il manufatto) dall’artista (la persona): solo in rarissimi casi ho trovato un tutt’uno tra i due — e quando accade, è una rivelazione. Spesso, invece, si tratta semplicemente di mestiere.

Qual è stato il momento in cui hai percepito che l’arte poteva diventare un veicolo per esplorare materiali del futuro come il grafene o l’aerogel?

L’arte dovrebbe indagare il sotteso e l’invisibile. Nel 2013, in un momento di sconforto per ciò che vedevo in fiere e gallerie, mi sono chiesta cosa potesse davvero spingere i giovani artisti a creare opere autenticamente contemporanee, senza ricalcare stili e idee degli anni ’70 e ’80. La risposta era lì: il materiale. Un nuovo materiale performante, con identità estetica e valenza green.
Per circa un anno ho frequentato corsi al Politecnico; grazie al prof. G. Guerra dell’Università di Salerno e al prof. M. Galimberti del Politecnico di Milano, ho scoperto il grafene: un atomo di carbonio, resistente 300 volte più dell’acciaio, flessibile, leggero, conduttivo, con proprietà magnetiche e termiche. Dopo molti rifiuti da parte di istituti di ricerca che non comprendevano l’interesse artistico, ho deciso di acquistarlo direttamente da USA e Giappone. L’esito? Test, laboratori gratuiti per artisti, esposizioni, donazioni: non solo la forza di un progetto, ma l’espressione di una visione olistica e sistemica. Nel maggio 2014 è nato The Transparent Dream, progetto economArt, in cui per la prima volta in Italia è stata presentata un’opera in aerogel di grafene: Peso piuma di Mattia Novello. Le curatele sono state supportate da scienziati come il prof. Galimberti del Dipartimento di Chimica del Politecnico.

Quando inizi una nuova collaborazione con ricercatori o istituzioni scientifiche, quale aspetto ritieni indispensabile per far nascere un vero progetto artistico?

La curiosità, unita alla competenza. Ho capito che istituzioni come l’IIT di Genova si aprono solo se ti percepiscono come un interlocutore. Hanno capacità di sintesi decisionale proprie del loro metodo. Alcuni ricercatori sono illuminati: vedere stupore o lacrime davanti a una realizzazione artistica è impagabile. I legami che si creano sono duraturi, basati su rispetto e reciprocità. Naturalmente, ci sono anche aspetti economico-commerciali.

Cosa cerchi in un artista quando decidi di coinvolgerlo in un progetto con smart materials?

Cerco artisti con un forte approccio materico, artigiani con grande manualità (homo faber) e apertura all’errore, che per noi è un valore aggiunto. Gli smart materials hanno proprietà nascoste da estrarre e rendere visibili o udibili. Concetti come tensione, leggerezza, sospensione, propensione diventano medium dinamici legati al tempo, inteso come spazio in divenire.

Ti capita di vedere un’opera trasformarsi proprio grazie a un imprevisto legato al materiale?

Sì, ed è meraviglioso, perché significa che l’opera è viva. C’è un saggio di Dino Formaggio (L’idea di artisticità, 1961) che descrive bene la dialettica tra materia e creazione: è una lotta fatta di tentativi ed errori, dove l’arte, diventando opera, vince sul materiale e lo trasforma. Questo è sublimare.

In un’epoca in cui la sostenibilità è centrale, quanto conta per te l’impatto etico e ambientale del processo creativo?

Amy-d Arte Spazio è una galleria che presenta arte, design, moda, beauty, tecnologia, economia — tutti settori ad alto impatto. Dal 2010 ci poniamo il problema del recupero e del riuso. Con il Dipartimento Smart Materials dell’IIT di Genova abbiamo introdotto bioplastiche da rifiuti organici, presentando una maxi installazione all’Acquario e alla Borsa di Genova nel 2015 durante il Festival della Scienza. Nel 2022, per la Design Week milanese, abbiamo presentato un progetto con Paneco, leader giapponese nel riciclo degli scarti, restituendo loro nuova vita.

Pensi che le gallerie del futuro debbano essere anche spazi di ricerca e formazione?

Assolutamente sì. Alcune iniziano ora, ma vedo grande fermento tra artisti che trasformano i propri atelier in laboratori alchemici.

Il tuo approccio ibrido ti ha mai imposto scelte radicali rispetto al mercato tradizionale dell’arte?

Quasi sempre. È il prezzo da pagare, ma non voglio e non posso snaturare me stessa. In un panorama globalizzato e appiattito, la nostra è una voce fuori campo, ma è una voce. Un esempio è Arcangelo Sassolino, artista che seguo e stimo da anni. Le sue prime opere non erano vendibili: trattavano processi in corso, con materiali impegnativi. Ha perseverato, sostenuto da gallerie coraggiose, arrivando alla Biennale di Venezia per il Padiglione Malta, e a un’esposizione negli Emirati. Pochi giorni fa ha venduto Everyday Life, opera site-specific in vetro, granito e acciaio: metafora potente della tensione tra fragilità e resistenza.

Cosa immagini possa ancora sorprenderti nel tuo percorso tra arte e scienza?

Le nuove sperimentazioni sul micelio mi stanno sorprendendo positivamente. Stiamo applicando la criogenia ai processi evolutivi di questa sostanza, che è alla base della decomposizione della materia organica. L’obiettivo è stabilizzarne le funzioni, proiettandole nel futuro.

Descriviti in tre parole.

Curiosa, sognatrice, pragmatica. Con la capacità di commuovermi per un fiore.

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