Camilla è una drammaturga, regista teatrale, sceneggiatrice, pittrice, cantautrice, attrice e pianista italiana. Nata a Crotone, si trasferisce a Roma all’età di diciotto anni per proseguire la sua formazione artistica, e attualmente vive tra la capitale e Manduria, in Puglia. Artista poliedrica e autrice dalla sensibilità intensa, si distingue per l’impegno civile e la capacità di fondere linguaggi espressivi diversi in una visione coerente e originale. Nel corso della sua carriera è stata insignita del Premio Landieri alla Regia, ricevendo il riconoscimento come una delle drammaturghe più interessanti della scena contemporanea italiana. Il suo percorso si caratterizza per un’intensa attività pedagogica e una profonda attenzione al teatro per bambini e ragazzi, campo in cui è considerata una figura di riferimento, capace di unire scrittura autoriale e finalità educative in opere che toccano temi cruciali con rigore e delicatezza. Dal 2000 Camilla porta avanti una personale ricerca artistica attraverso la creazione del cineteatro, un linguaggio innovativo che attraversa tutte le fasi della messa in scena, dalla scrittura alla regia, contaminando il teatro con atmosfere e strutture proprie del linguaggio cinematografico. Tra i progetti più rappresentativi del suo lavoro si colloca lo studio pittorico-teatrale dedicato ai Peccati Capitali, un’indagine estetica e concettuale che rivela la sua capacità di trasformare la scena in uno spazio di riflessione simbolica e visiva. La sua arte si nutre di molteplici forme e strumenti, ma è guidata da una coerenza profonda: quella di esplorare la complessità dell’animo umano e della società contemporanea attraverso l’arte, con uno sguardo critico, poetico e impegnato.
Cos’è per te l’arte?
Per prima cosa grazie per questa bella oppurtunità, Roberto. L’arte, per me, è l’unico diario segreto universale sul quale degli esseri umani, in forme differenti, hanno raccontato e continuano a raccontarela storia dell’umanità. Il più delle volte inconsapevolmente, credo. Ogni giorno qualcuno trova quel diario e…
Come nasce il tuo linguaggio personale del cineteatro e quali esigenze artistiche ti ha permesso di soddisfare?
Premessa imprescindibile. Io sono cresciuta in Calabria, in un paese senza cinema e senza teatro. Prima di iniziare le scuole elementari ho iniziato gli studi pianistici e sin da piccolissima ho sempre letto tanto. Ho scritto i miei primi piccoli racconti intorno agli otto anni. Alle scuole medie scrivevo dei veri romanzi, che conservo gelosamente perché mi riconnettono con ciò che sono sempre stata. Anche l’amore per la pittura è nato nell’infanzia. Ho assistito al primo spettacolo teatrale intorno agli 8 anni, ed è stato folgorante: un unico luogo che conteneva tutta l’arte. Quel giorno ho deciso che il teatro sarebbe diventato la mia vita. Non conoscevo ancora il grande Cinema, però. In quegli anni i programmi per bambini e ragazzi si limitavano a pochissimi cartoni animati o film e da adolescente, dovendo studiare sia per il liceo che per il conservatorio, il tempo da dedicare alla tv o agli amici non l’ho avuto. Quell’amore è nato a Roma. Mentre continuavo a frequentare il conservatorio e i corsi di recitazione, facevo scorpacciate di film. Noleggiavo videocassette o, addirittura, i film dei registi che mi interessavano, li compravo e li guardavo più e più volte, li vivisezionavo da tutti i punti di vista: scrittura, regia, recitazione. Ero (sono) maniacale. E quindi, restando il teatro il mio amore ma avendo un amante, il Cinema, così seducente, mi domandavo: come posso unire entrambe le arti in qualcosa che sia mio? “I piedi sul palco e gli occhi alla camera”, mi dicevo. La scrittura, il mio Cineteatro, appunto, è stata la risposta.
In che modo riesci a coniugare il tuo lavoro di drammaturga con quello di pittrice, cantautrice e attrice?
Per onestà intellettuale chiarisco immediatamente che non mi reputo né attrice né cantautrice, benché io abbia recitato e cantato e continui, sporadicamente, a farlo. Detto questo, nella mia mente ogni forma d’arte esiste contemporaneamente. Non mi alzo la mattina pensando: oggi sarò drammaturga, domani sarò pittrice o cantautrice… sai, mentre scrivo un romanzo io ascolto il suono delle parole, dilato spazi quando i personaggi respirano. Una pagina è un vero e proprio disegno emozionale fatto di vocali, sillabe e spazi bianchi. Quando muovo gli attori in scena sto molto attenta alla bellezza, dei gesti ma anche di ogni singola parola, del “come”. La scena è un dipinto. E una tela o una canzone, cos’altro sono se non una storia in colori o musica? E anche mentre suono un Notturno di Chopin sto rivivendo una storia emozionale o ne sto raccontando una nuova. Ecco, io non so esattamente, quando la drammaturgia diventa dipinto o un racconto, una canzone, diventano drammaturgia.
Cosa rappresenta per te l’impegno civile nel teatro per bambini e ragazzi?
Le fondamenta! Io ho un profondo senso etico e, anche quando scrivo per i piccoli, cerco di piantare piccoli semi mentre mi impongo, in modo categorico, di non fare “la morale”. Non mi interessano i predicozzi. Piuttosto mi pongo e pongo domande. Io ascolto molto i miei allievi. Loro sono gli occhi aperti sui nostri errori del passato e del presente che, quasi sempre, fatichiamo a riconoscere. Scrivere delle storie per loro significa raccontare a loro il nostro passato e, contemporaneamente, cercare di fare espiazione sui nostri errori; allo stesso modo raccontare loro, riscattarli e riscattare la parte buona di questo paese, di questa umanità. Con questo non sto dicendo che le generazioni passate non abbiano fatto qualcosa di buono, anzi. Diciamo che a me interessa altro.
Quali sono i temi ricorrenti che senti più urgenti da affrontare attraverso il tuo teatro?
Direi la guerra, quella che la singola persona vive nel quotidiano, in ambito familiare, lavorativo e, soprattutto, nella sua mente. Le guerre che molti politici, giornalisti, magistrati e rappresentanti delle forze dell’ordine hanno subito cercando di contrastare le mafie e ogni tipo di criminalità. E poi, chiaramente, le guerre tra i popoli perché calpestano i diritti dell’essere umano. L’altro tema che mi interessa è l’attesa, la Madre che genera e degenera sentimenti, emozioni. In ultimo ci sono i Peccati Capitali, che hanno sempre la Madre come fulcro della storia.
Come si articola il tuo studio sui Peccati Capitali e quale significato assume nella tua ricerca estetica e drammaturgica?
E’ un discorso lungo ma, sintetizzando, posso dirti che ho avuto un’educazione cattolica. Tutto era legato al peccato: se fai questo è peccato, se fai quello vai all’inferno. Quando feci la prima confessione, a nove anni, la prima domanda del sacerdote fu: hai mai commesso atti impuri? Risposi no perché non sapevo proprio di cosa stesse parlando. Da grande capii che quello fu un modo subdolo per insinuarsi… il bigottismo religioso si insinua e ti annebbia la mente, può manipolarti e allontanarti dalla vera spiritualità. L’antico testamento non parla di peccati capitali e non ne parla il primo, vero rivoluzionario della storia dell’uomo, Cesù Cristo, che tra l’altro si fece lavare i piedi da un’adultera e a lei apparì per prima, subito dopo la resurrezione. Non credo nel peccato perché non credo nel libero arbritrio. Noi non scegliamo dove nascere, in quale anno, in quale famiglia. Questi tre fattori sono determinanti nella vita di una persona. Io stessa, di cosa posso vantarmi? I miei talenti li ho avuti in dono alla nascita. Certo, ho studiato. Ma se fossi nata senza alcun talento artistico? Se fossi nata in Afghanistan, artista o no, oggi non saremmmo qui a parlarne. Se fossi nata in una famiglia di criminali, probabilmente avrei ucciso qualcuno o qualcuno avrebbe ucciso me. Il libero arbritrio arriva dopo le determinazioni di quello che chimiamo Fato. Dunque, l’uomo che pecca, che storia ha? Questo mi interessa. E questa ricerca delle storie da raccontare, dipingere, legate ai peccati, ogni volta mi porta sulla strada della compassione, sulla quale ritrovo sempre la bellezza dell’umanità che emerge. Allora tolgo l’etichetta di peccatore all’uomo e ne accetto il fallimento, la fragilità, ogni anello che ha composto la sua esistenza. E’ lì il senso della mia arte. E, credo, il senso della vita.
C’è un momento della tua carriera che consideri particolarmente trasformativo o decisivo?
Ce ne sono tre. Lo spettacolo “Crash in heaven ”, il primo scritto secondo la mia visione CineTeatrale. “La Trilogia delle Sedie”, che va in scena dal 2011 e con la quale affronto il tema dell’uomo e di Dio partendo dalla creazione dell’Universo fino ad arrivare ai social media; tre spettacoli che comportano un grande lavoro fisico ed emotivo. Lo spettacolo “Uccidete le Madri – I Sette Peccati Capitali – Superbia”, la storia di un ragazzo che perde un fratello per un motivo che non voglio svelare e che, in seguito, diventa padre ma che dovrà fare i conti con la superbia della madre; un unico attore in scena che per un’ora accoglie i ruoli di madre, figlio, sorella, boss, ancora il figlio… una giostra emotiva che è una grande prova d’attore.
Come vivi il rapporto tra parola scritta, immagine scenica e suono all’interno delle tue creazioni?
Come ho già anticipato, per me la parola scritta è già suono, immagine; e l’immagine in scena è un dipinto, un’opera tridimensionale che si avvale anche della parola suono, del corpo che si fa racconto e musica in parole o canti; la musica è il conduttore emozionale tra la scena e il pubblico. Parola, immagine e suono coesistono sin dalla scrittura.
In che misura le tue radici calabresi e il tuo vivere tra Roma e Manduria influenzano la tua visione artistica?
Io sono nata nella Calabria degli anni 70, in una realtà non semplice nella quale la ndrangheta influenzava le vite di tutti in maniera terribile. Certe brutture abbrutiscono nonostante la bellezza del paesaggio tolga il respiro. Torniamo al libero arbitrio, vedi? Quando sono partita mi sono portata nella mente e nel corpo la bellezza e il male; il senso di colpa e la malinconia, che non mi abbandonano mai. La Calabria mi ha regalato l’istinto, la resilienza, la spiritualità, le radici, è la terra nella quale la mia arte è nata. Roma è la mia seconda casa. Roma mi ha insegnato ad essere libera, a tirare fuori tutto il mio potenziale. Manduria la sto vivendo come un ritorno a casa. Dopo anni di ritmo frenetico, la lentezza di questa terra mi sta riconnettendo con la mia parte ancestrale. Influenzerà la mia arte? Certamente sì ma in un modo che non conosco ancora. Sono in ascolto…
Quali artisti o maestri hanno maggiormente influenzato il tuo percorso e la tua metodologia?
Mischio un po’ le carte e ti nominerò solo quelli che mi vengono in mente subito, partendo dalla scrittura, chiaramente: McEwan e MacCarthy, Zola, Hemingway, Orwell, Fitzgerald, Roy, Darwish, Pamuk, Allende. Teatro: Shakespeare, seguito da De Filippo. Cinema: Kieslowski in modo potente. Altmam, Welles, Pasolini, Coppola, Leone, von Trier, Bergnan, Truffaut, Scott, Kusturica, Scorsese, Eastwood, Howard. Pittura: Leonardo, Michelamgelo, Raffaello, Schiele, Munch. Per quanto riguarda il metodo: sono una Stanislawskijana con una formazione in classi di bioenergetica e tanto altro ma… una volta, una grande insegnante di canto disse: diventiamo insegnanti quando non abbiamo più bisogno di citare nessuno mentre insegniamo. Credo sia verissimo e non per ingratitudine ma perchè, ad un certo punto del percorso, acquisisci talmente tante informazioni che devi trovare una tua strada. Ogni maestro, ogni film, ogni buon libro, ogni mostra, spettacolo, concerto, ti lascia un tassello. Spetta a noi comporre un nuovo puzzle…
Cosa sogni di realizzare nei prossimi anni, a livello creativo e umano?
Intanto spero che i corsi di alta formazione possano proseguire in diverse parti d’Italia, perché amo insegnare e conoscere nuove realtà. Per quanto riguarda la pittura sto preparando una nuova documostra dal titolo #DONTSTOPTALKINABOUT, sul genocidio dei palestinesi e non solo. In teatro ho in programma due nuovi debutti e la ripresa di alcuni spettacoli gia andati in scena. Al cinema ho due progetti aperti e spero davvero che quest’anno riescano a partire.
Descriviti in tre parole.
Mite. Visionaria. Determinata.








