CLAIRE JULLET

CLAIRE JULLET

Claire, pittrice francese di 26 anni, concentra la sua ricerca sui ritratti femminili in primo piano, dove l’intimità nasce dalla vicinanza fisica e dalla profondità emotiva. Le sue figure, dal carattere iconico e dalle composizioni essenziali, richiamano spesso le carte dei tarocchi, come messaggi in attesa di essere svelati. Pur non essendo autoritratti, talvolta incarnano versioni della donna che aspira a diventare: un riflesso idealizzato di sé stessa, ancorato al presente e al tempo stesso sospeso in spazi senza tempo. La sua pittura, pur profondamente personale, riesce a toccare corde universali, offrendo conforto a chi attraversa momenti di dubbio, malinconia o nostalgia. L’approccio al colore e alla tela è relativamente recente: circa quattro anni fa ha iniziato a sperimentare con gli acrilici, dopo un periodo dedicato principalmente a illustrazioni realizzate con pennarelli neri, quasi come tatuaggi. In quel desiderio di una pratica più intima e personale ha trovato nella pittura un processo terapeutico, capace di tradurre pensieri ed emozioni direttamente sulla superficie del quadro. Le sue opere nascono raramente da progetti prestabiliti, ma emergono in modo spontaneo, come riflesso immediato del suo stato interiore.

Che cos’è per te l’arte?

L’arte è il frutto dell’esistenza, radicata nella nostra esperienza umana. Rivela nuove prospettive su ciò che già esiste e apre porte verso altre dimensioni. Nasce dalle esperienze uniche dell’artista e viene ricevuta attraverso le sensibilità altrettanto uniche dello spettatore. Per questo l’arte appare allo stesso tempo universale e profondamente personale, perché plasmata dall’individualità di entrambi.

Cosa ti spinge a scegliere i volti femminili come soggetto principale della tua ricerca?

La scelta dei volti femminili come soggetto principale è profondamente personale: sono una donna e, dipingendo altre donne, esploro ed esprimo le mie stesse emozioni ed esperienze. Spesso rappresenta una parte di me, anche se non del tutto, non è un vero autoritratto. Il volto femminile, come un primo piano cinematografico, diventa uno spazio in cui leggere e proiettare emozioni, un personaggio che cerchiamo di comprendere. Spesso è la stessa donna, una bruna, che ritroviamo di tela in tela, in ambienti diversi, in continua evoluzione. Il suo volto impenetrabile può risultare inquietante, quasi indecifrabile, donandole un’aura di mistero che riflette la complessità del sentire umano.

In che modo il riferimento alle carte dei tarocchi influisce sulla costruzione delle tue composizioni?

Non uso i tarocchi come riferimento diretto, ma qualcuno una volta mi ha fatto notare una somiglianza che mi ha colpito molto. Sono attratta dal potere della semplicità nei tarocchi: ogni carta racconta una storia profonda con pochi elementi accuratamente scelti. Questa filosofia del “less is more” influenza direttamente il mio lavoro. Elimino il superfluo, lasciando che pochi elementi chiave assumano più peso e significato, conferendo ai miei dipinti un carattere universale e senza tempo. Per questo le mie composizioni risultano spesso semplici, con elementi simbolici e una palette cromatica unitaria che ne amplifica l’impatto emotivo.

Che relazione esiste tra la donna che dipingi e la tua identità?

La relazione tra le donne che dipingo e le mie esperienze è insieme emotiva e intellettuale. Da un lato, lei diventa un tramite dei miei sentimenti, riflettendo ciò che sto vivendo in un determinato momento — gioia, solitudine o gratitudine. Dall’altro, l’atto stesso del dipingere mi permette di esplorare ed esprimere i miei pensieri. Le scene e gli oggetti che la circondano sono profondamente personali, legati ai miei ricordi e alle storie che mi hanno formata. Alla fine, lei rappresenta un’espressione completa del mio mondo interiore.

Come vivi la dimensione terapeutica della pittura nel tuo processo creativo quotidiano?

Per me il potere terapeutico della pittura è immenso. È il mio modo di parlare quando le parole non bastano. Il mio processo creativo nasce da un flusso spontaneo, ma non sempre è facile: la mia impazienza e il desiderio di controllare il significato finale spesso mi ostacolano. Tuttavia, imparare a lasciar andare e a fidarmi del processo è il vero esercizio terapeutico. È un atto di fiducia, in cui scelgo di concentrarmi sull’atto creativo e non sul risultato. La terapia continua anche a opera finita: spesso appoggio il quadro sul cavalletto, ci vivo accanto e lo lascio parlarmi, anche mentre sto per addormentarmi. In quello stato di quiete esploro l’inconscio, un processo che amo svolgere anche annotando i miei sogni e riflettendo su di essi. Infine, condividere il mio lavoro è l’ultimo passo: un atto coraggioso di espressione che diventa potentissimo quando le mie opere risuonano con gli altri. Sapere che qualcuno trova conforto o connessione nei miei dipinti è una sensazione unica.

Quali emozioni o riflessioni speri che lo spettatore provi guardando le tue opere?

Più di ogni altra cosa, desidero che i miei dipinti offrano agli spettatori uno spazio di introspezione, incoraggiandoli a fermarsi e riflettere sulla propria vita e sulle proprie relazioni. Le donne nei miei quadri sono messaggere: portano con sé una saggezza silenziosa, che allude a una realtà più grande del quotidiano. Pur restando fedele alle sfumature della vita — che non è tutta felice né tutta triste — vedo le mie opere come portafortuna, capaci di trasmettere speranza e conforto.

C’è stato un momento preciso in cui hai capito che la pittura sarebbe diventata il tuo linguaggio principale?

Non c’è stato un momento preciso in cui ho deciso che la pittura sarebbe diventata il mio linguaggio principale; è stata piuttosto una convinzione crescente, nata dal mio lavoro su piccoli formati, fogli sciolti e quaderni. Quelle illustrazioni erano difficili da esporre e sentivo un intenso bisogno di creare i miei colori mescolandoli, un passaggio che per me era vitale verso una forma più personale di espressione. Il mio viaggio in India non è stato un punto di svolta, dato che dipingevo già prima, ma mi ha spinta a prendere la pittura più seriamente. Lì ho incontrato un artista, ex fotografo, che mi raccontò di essersi ispirato a Dalí al punto da voler diventare pittore. Quelle parole hanno piantato un seme in me: «Perché non io?». I colori esplosivi e la spiritualità che ho vissuto in India mi hanno fatto capire di avere molto da dire. Ci sono voluti alcuni mesi per elaborare quell’esperienza e iniziare a dipingere con una nuova serietà, ma una volta fatto non sono più riuscita a tornare all’illustrazione. Oggi la pittura è il mio mezzo principale, anche se resto aperta a esplorare nuovi supporti oltre la tela.

In che misura la spontaneità influisce sulla forma finale delle tue opere?

Mi piace pensare al mio processo creativo come a una danza tra impulso e intenzione. Amo la spontaneità e sto lavorando per abbandonarmi sempre di più ad essa. Preferisco iniziare un dipinto con un’idea fresca, piuttosto che replicare una composizione già annotata. L’impulso iniziale è spontaneo, ma guidato da un’emozione chiara o da un elemento specifico che voglio rappresentare. La mano si muove sulla tela con una penna, abbozzando e affinando finché la forma non mi convince. Da lì, mi lascio guidare dal flusso dei colori, scegliendoli in modo intuitivo in base al mio stato d’animo. Sto imparando a fidarmi sempre di più di me stessa in questo processo, una fiducia che credo crescerà naturalmente con il tempo e l’esperienza.

Descriviti con tre colori.

I tre colori che meglio mi descrivono sono il blu, il verde e il giallo, ognuno rappresentativo di un aspetto della mia personalità e del mio lavoro. Il mio processo creativo spesso inizia con un blu introspettivo, che riflette il lato sognante e riflessivo in cui idee ed emozioni prendono forma. Poi si trasforma in un verde spirituale e misterioso, che rappresenta la mia connessione con l’invisibile e la curiosità verso ciò che si cela oltre la superficie. Infine c’è il giallo luminoso e fiducioso: è il mio desiderio di condividere il lavoro con il mondo, agendo come una fonte di luce e calore che spero porti positività e gioia agli altri.

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