Nata in Portogallo, ha vissuto per undici anni a Rio de Janeiro, in Brasile, per poi tornare in Portogallo, dove attualmente risiede. Laureata in Psicologia Clinica, ha maturato formazione ed esperienza professionale nell’ambito della Psicologia Clinica e Forense e delle Scienze Sociali. Cláudia Ferro è un’artista che trasforma l’emozione in immagine, creando opere caratterizzate dall’intensità e dalla ricerca dell’autenticità. La sua arte rivela strati del femminile: dalla fragilità alla forza, sempre guidata da un’estetica sensibile, espressiva e intuitiva. Le sue creazioni ci invitano a un viaggio interiore e a un dialogo silenzioso tra materia ed essenza. L’universo ricreato può essere uniforme e piacevole, ma anche irregolare e caotico. La donna nella maggior parte delle opere è parzialmente immersa in questo universo indefinito, non ha una forma precisa, è traslucida, lascia passare la luce e l’oscurità che la compongono, si interroga, cerca l’essenza di fronte a ciò che appare sulla superficie delle cose, alla profusione di colori e texture. Il tuo sguardo può essere dolce, sensuale, ma anche sereno e forte, mantenendo i tuoi limiti e i tuoi contorni per non crollare e perdersi in questo sfondo caotico, indefinito e corrosivo. Continua la ricerca della sua forma più autentica, non necessariamente quella più lineare e concreta. Cerca momenti di intensità, bellezza, pienezza, piacere, leggerezza e superamento, l’effimero del bello e del tragico. Con il suo lavoro si propone di raggiungere un grado di poesia visiva, ricreata dall’osservatore.
Cos’è per te l’arte?
L’arte è un intervento nella realtà, è una trasformazione creativa e proiettiva. È un universo infinito di forme, movimenti, suoni, texture, colori, materiali, intenzioni e significati a cui l’artista accede in modo del tutto personale, che maneggia e sente il bisogno di “mettere in atto” e presentare agli altri, svelando, anche se inconsciamente, la sua visione della realtà (fisica, mentale o emotiva) e i suoi significati, senza timore di vulnerabilità agli occhi e all’apprezzamento di chi contempla l’opera, sia essa più effimera o più perenne.
In che modo la tua formazione in psicologia clinica e forense influenza il tuo processo creativo e la costruzione delle immagini?
La formazione e la pratica della psicologia clinica e forense aprono numerose porte in termini di sensibilità, ascolto delle emozioni, dei sentimenti e delle cognizioni. Ci colloca dentro e fuori noi stessi, favorisce la conoscenza di sé e degli altri. Il “peso” emotivo che deriva dal riconoscere in sé e negli altri il lato oscuro, vulnerabile, disforico, a volte brutto e crudele, mi ha spinto a cercare di rappresentare una “realtà alternativa”, più onirica, più pacifica, più edonistica, più colorata, senza sottovalutare il ruolo che il dolore, la delusione e l’angoscia hanno nella forza e nella bellezza che costituiscono la figura e l’essere umano.
Qual è il ruolo della donna nelle tue opere: simbolo universale, riflesso autobiografico o figura archetipica?
La donna rappresentata nelle mie opere mira ad una visione poliedrica e libera da parte dell’osservatore. Ha una carica proiettiva, ma non intende limitarsi a un approccio autobiografico, vuole rappresentare il femminile, interconnettendo modelli simbolici e culturali presenti nell’inconscio collettivo, ma anche il vissuto personale di chi osserva, indipendentemente dal genere.
Come vivi il contrasto tra l’esigenza di autenticità e la presenza dell’effimero nella tua ricerca estetica?
Penso che l’effimero sia più presente nelle arti performative. Nel mio lavoro artistico cerco soprattutto di trovare nuove strade per stabilire un legame di comunicazione soggettiva tra l’opera e l’altra persona che la osserva, affinché possa suscitare emozioni, ricordi ed esperienze. Come disse Vinícius de Moraes nel suo sonetto sulla fedeltà: “Posso dire a me stesso dell’amore (che ho provato), Che non è immortale, perché è una fiamma, Ma che è infinito finché dura”. Pertanto, anche se l’opera non è immortale, può rappresentare intensità, bellezza e introspezione mentre permane negli occhi di chi la contempla.
Qual è il rapporto tra caos e ordine nelle tue composizioni visive?
Il caos delle opere attuali è maggiormente presente sullo sfondo della tela, sarà il contesto in cui apparirà la figura femminile, relativamente più ordinata e definita. Questo caos sarà il contesto esperienziale, reale, sociale, immaginario o affettivo, in cui l’essere femminile si distingue e cerca di definirsi, ricostruirsi o sopravvivere.
In che modo l’osservatore partecipa attivamente alla ricostruzione poetica delle tue opere?
Cerco di far sì che la luce, la sensibilità, la sensualità, la bellezza e la forza delle donne possano essere presenti nelle mie opere e che si riflettano negli occhi di chi le osserva, senza porre limiti in termini di interpretazione. I grandi occhi delle mie figure femminili hanno questo intento: rivelare emozioni, affetti, aspettative, senza sempre essere definiti in precedenza. Gli occhi osservano l’osservatore, comunicano e interrogano chi è fuori, integrandone una parte nel proprio interiore. Dall’altro lato, proiettano e attivano nello spettatore ciò che è dentro di lui, secondo il suo vissuto affettivo ed emotivo, ricreando l’opera con il suo potenziale personalizzato e interpretativo.
Come scegli i materiali e le texture per rappresentare la trasparenza e la complessità dell’essere femminile?
Di solito lavoro con l’acrilico, utilizzando altri materiali come resine, gesso e altri, creando uno sfondo di tela irregolare e strutturato, come se fosse “asfalto” ruvido. Questo è l’universo caotico, irregolare, astratto, a volte caustico in cui appare questa Donna. È in parte immerso in questo universo indefinito, non avendo una forma precisa, è traslucido, lascia passare la luce e l’oscurità che lo compongono. Non sente il bisogno di definirsi a tutti i costi, perché è anche una messa in discussione, è una ricerca dell’essenza di fronte a ciò che appare in superficie, alla profusione di colori e texture. Non è il prototipo della felicità, dell’incrollabile autostima, del benessere soprattutto. Conosci tu stesso il caos, il dolore, il fallimento, la perdita, l’impotenza, l’imprevisto, il tragico. Accetta e integra questo lato oscuro di te stesso, di ciò che ti circonda, di ciò che conosci, anche se il suo colore è chiaro, bianco, azzurro cielo, è anche questa ruvidezza, questa non linearità, è la ruvidezza, gli alti e bassi, l’incertezza. In questo contesto si proietta e traspare l’essere femminile. Il tuo sguardo può essere dolce, sensuale, contemplativo, ma a volte è un grido di disperazione e di allerta e riflette la sensazione che da un momento all’altro i tuoi limiti e i tuoi contorni possano sgretolarsi e perdersi in questo sfondo caotico, indefinito e corrosivo. Luce e oscurità, imperfezioni e inesattezze antirealistiche caratterizzano anche questa Donna, vibrante e cupa allo stesso tempo.
In che modo il tuo vissuto tra Portogallo e Brasile ha influito sulla tua sensibilità artistica?
Penso che la mia esperienza tra Brasile e Portogallo mi abbia dato una maggiore sensibilità alla sensualità femminile, all’importanza del colore e della luce, alla forza di affrontare le avversità e all’apertura verso gli altri, con una maggiore libertà di non giudicare.
Cosa rappresenta per te il “viaggio interiore” evocato nelle tue opere?
Il “viaggio interiore” è in questa libertà che intendo donare a chi osserva l’opera, la sente e la vive secondo la propria personalità, le proprie rappresentazioni e le proprie esperienze. Si tratta di un’esperienza sensoriale maggiormente orientata all’inconscio e all’esperienziale.
Descriviti in tre colori.
Blu, bianco e ocra.



