Cristina è un’artista torinese nata nel 1969, che vive e lavora a Rivoli. Laureata in architettura al Politecnico di Torino nel 1994, ha maturato esperienze nell’ambito urbanistico e come libera professionista prima di approdare all’insegnamento dell’arte nella scuola secondaria. Dopo anni dedicati alla famiglia e alla crescita dei suoi quattro figli, ha riscoperto la pittura come necessità interiore e spazio creativo. Le sue opere rivelano una personalità complessa, immaginifica, capace di fondere il rigore dell’architettura con l’emotività della natura. Utilizzando prevalentemente pittura acrilica su tavola, Cristina mette in scena una visione poetica e surreale dell’amore per la vita, raccontando un dialogo armonico tra paesaggio antropico e mondo naturale, spesso carico di sottile ironia. La sua produzione artistica è influenzata da tre movimenti che considera fondamentali: il Romanticismo, per il senso del Sublime; Der Blaue Reiter, per il legame fiabesco con la natura; e il Surrealismo, per la dimensione onirica e simbolica che attraversa molte delle sue opere. L’architettura e la scenografia prospettica, radici della sua formazione, si fondono con la vitalità della natura, che diventa espressione dell’emozione e dello stupore. Cristina ha iniziato a esporre solo recentemente, ma ha già partecipato a mostre fisiche in città come Roma, Ferrara, Palermo, Milano e Genova, e digitali in contesti internazionali come Zurigo, Palma di Maiorca, Granada e Berlino. I suoi dipinti invitano a entrare in un mondo in bilico tra inquietudine e rassicurazione, dove, alla fine, è sempre la quiete a prevalere.
Cos’è per te l’arte?
Io vedo l’arte come un luogo privilegiato in cui non fa paura perdersi.
Come hai vissuto il ritorno alla pittura dopo un lungo periodo dedicato alla famiglia e all’insegnamento?
Più che un ritorno è stato un inizio; un momento intenso che aspettavo da tanto per riscoprire e ritrovare una parte di me che non aveva ancora avuto la possibilità di esprimersi.
In che modo la tua formazione in architettura influenza le composizioni e la prospettiva delle tue opere?
L’architettura per me è stata la radice, il punto di partenza, per questo ha un ruolo di primo ordine nei miei dipinti. Un tempo esisteva il quadraturista che era specializzato nella realizzazione di prospettive che ampliassero lo spazio. Io vorrei riprendere questo genere per dare profondità fisica e simbolica ai miei dipinti.
Cosa rappresenta per te il connubio tra mondo naturale e costruito, che ricorre spesso nei tuoi dipinti?
Rappresenta l’unione tra uomo e natura in armonia perfetta. Del resto, secondo me, l’architettura è bella se ripropone in qualche maniera le regole armoniche della natura.
Perché hai scelto l’acrilico su tavola come tecnica privilegiata e cosa di permettere di esprimere?
Il legno è stato un caso per residui di pannelli scenografici che mi erano rimasti d’avanzo da lavori precedenti; l’acrilico è più che altro un materiale pratico ma comunque molto espressivo.
Quali emozioni cerchi di trasmettere attraverso quella “velata ilarità” che compare nelle tue opere?
Cerco di trasmettere che a volte è necessario non prendersi troppo sul serio per non far prevalere un lato più oscuro di noi che, a volte, rischia di schiacciarci; una sorta di sdramatizzazione per sorridere un pò.
In che misura i movimenti che ami – Romanticismo, Der Blaue Reiter, Surrealismo – guidano le tue opere visive?
Questi tre movimenti artistici sono stati quelli che studiando la Storia dell’Arte mi hanno colpita di più. Del Romanticismo apprezzo il senso del Sublime e cioè quel sentirsi sopraffatti dalla natura nel riconoscerne la grandezza. Del Blaue Reiter mi affascina la rappresentazione degli animali visti come natura incontaminata lontana dalle ipocrisie e dalla cattiveria umana. Il Surrealismo è invece per me la possibilità di attingere all’inconscio tipico degli stati onirici.
Come definiresti il tuo stile: più vicino alla pittura narrativa, simbolica o visionaria?
Più visionario ma con visioni che spesso acquisiscono valore simbolico. Ad esempio il leone e la gladiatrice nel mio dipinto Verso l’Arena, possono essere una scena visionaria all’interno dell’anfiteatro, ma anche simbolicamente rappresentare la complicità tra forza e dolcezza.
Qual è stata l’esperienza più significativa tra le mostre a cui hai partecipato finora?
La partecipazione alla Biennale della Creatività di Ferrara del novembre scorso è stata la mia esperienza più significativa perché mi ha dato la possibilità di conoscere tanti altri artisti con cui ho instaurato relazioni di qualità.
Quale reazione del pubblico ti colpisce di più quando osserva i tuoi quadri?
Mi ha colpito, in alcune occasioni, lo stupore dei bambini accompagnati dai genitori che forse non percepiscono quanto loro, la nota fiabesca che i miei dipinti narrano.
Cosa vorresti che restasse allo spettatore dopo aver visto una tua opera?
Vorrei che restasse un senso di gratitudine verso il creato perché viviamo in un mondo meraviglioso, nonostante tutte le brutture umane quali la brutalità delle guerre.
Descriviti in tre colori.
L’ottanio perché fonde l’azzurro di cielo e mare con il verde della vegetazione terrestre, il rosso simbolo di passione e vita e il nero che, per me, rappresenta le profondità dell’animo.




