ELEONORA CARBONE

ELEONORA CARBONE

Eleonora è un’arpista professionista che ha costruito una carriera ricca e versatile, caratterizzata da una profonda sensibilità musicale e da un’elevata capacità interpretativa. La sua esperienza spazia tra diversi generi e contesti, riuscendo a coniugare con naturalezza l’eleganza della musica classica con le innovazioni della sperimentazione contemporanea. Nel corso degli anni, Eleonora si è esibita in alcune delle più importanti città italiane, tra cui Roma, Milano, Firenze e Venezia, portando la sua arte in teatri, festival e rassegne di grande prestigio. La sua musica ha inoltre raggiunto un pubblico internazionale grazie a tournée e concerti svolti all’estero, con tappe significative a Tel Aviv e Nairobi, dove ha saputo adattarsi e dialogare con culture musicali diverse, ampliando così il proprio orizzonte artistico. Eleonora è riconosciuta non solo per la padronanza tecnica dello strumento, ma soprattutto per la capacità di trasmettere emozioni profonde attraverso il suono dell’arpa, creando atmosfere coinvolgenti e suggestive. Nel suo percorso artistico, ha saputo sperimentare sonorità nuove e collaborare con musicisti di differenti background, confermando una spiccata attitudine all’innovazione senza mai perdere il rispetto per la tradizione. La sua interpretazione intensa e personale continua a conquistare pubblico e critica, rendendola una figura di riferimento nel panorama contemporaneo dell’arpistica.

Cosa rappresentano per te l’arpa e la musica?

L’arpa è il mio strumento, la mia firma. La musica è il linguaggio che uso per esprimere quello che non direi in altri modi. È uno spazio in cui posso essere precisa, ambigua, essenziale.

Qual è stato il momento in cui hai capito che l’arpa sarebbe diventata la tua strada professionale?

Non è stata una folgorazione, ma un accumulo di conferme. Ogni scelta, ogni direzione, tornava lì. A un certo punto ho capito che non era più solo un’attività, ma la struttura stessa del mio percorso.

Come riesci a bilanciare l’eleganza della musica classica con la sperimentazione contemporanea nelle tue performance?

Cerco un equilibrio che non sia forzato. Lavoro su repertori e sonorità che mi permettano di muovermi tra i due mondi senza tradire né l’uno né l’altro. L’eleganza per me non è una forma rigida, ma un’attitudine.

Quali sono le sfide più grandi che hai incontrato suonando in contesti così diversi, come Tel Aviv e Nairobi?

La sfida è adattarsi restando riconoscibili. Ogni contesto ha codici culturali e aspettative diverse. Bisogna ascoltare, osservare, e poi decidere come inserirsi senza snaturarsi.

C’è un compositore o un brano che senti particolarmente vicino e che ami interpretare con l’arpa?

Mi riconosco in certe scritture: quelle ipnotiche di Philip Glass, la fragilità di Tiersen, la densità emotiva di Chopin. Non sono scritti per arpa, ma riesco a tradurli nel mio linguaggio.

Come ti prepari mentalmente e tecnicamente prima di un concerto importante?

Con studio e concentrazione, ma anche con isolamento e introspezione. Ho bisogno di creare una distanza dal resto, focalizzarmi, entrare in una dimensione di ascolto e controllo.

Hai mai collaborato con artisti di altri generi musicali o discipline artistiche? Come è stata quell’esperienza?

Sì, e sono esperienze che mi interessano molto. Lavorare con altri linguaggi — danza, poesia, elettronica, arti visive — mi costringe a ripensare il mio ruolo. Non si tratta di adattarsi, ma di trovare punti di contatto veri.

In che modo il pubblico risponde alla tua musica nei diversi paesi in cui ti esibisci? Hai notato differenze significative?

Sì, e non solo nel modo di reagire, ma anche nell’energia della sala, nell’attenzione, nel silenzio. Alcuni pubblici sono più coinvolti, altri più contenuti ma non meno presenti. Ogni luogo ti costringe a ricalibrare qualcosa.

Quali sono i tuoi progetti futuri e le aspirazioni artistiche a medio e lungo termine?

Sto lavorando su un progetto che unisce arpa ed elettronica, e su una serie di performance costruite in relazione a spazi non convenzionali. A lungo termine, mi interessa creare qualcosa che superi il formato del concerto tradizionale.

Come descriveresti il rapporto che hai con il tuo strumento e il ruolo che l’arpa ha nella tua vita?

È un rapporto complesso, come tutti quelli che durano. C’è disciplina, abitudine, ma anche spazio per cambiamenti. L’arpa è una presenza costante, che definisce i ritmi della mia quotidianità.

Che consiglio daresti a chi si avvicina per la prima volta all’arpa o alla musica in generale?

Non cercare risultati immediati. Osserva, ascolta, studia. Costruire richiede tempo. E soprattutto: non imitare, esplora.

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