FRANCESCO MANGINI

FRANCESCO MANGINI

Francesco fin da bambino ha coltivato una naturale inclinazione per il disegno, distinguendosi nelle materie artistiche sin dagli anni della scuola. Dopo gli studi presso l’Istituto per Geometri, ha iniziato a sperimentare la propria creatività attraverso i graffiti, realizzati in strada in modo anonimo, come un vero e proprio ghost artist. Negli anni ha continuato a sviluppare il suo linguaggio visivo personalizzando skateboard, snowboard e caschi con uno stile pop art vivace, ispirato al gusto e all’estetica degli anni Ottanta, di cui è figlio. Durante il servizio militare ha avuto modo di perfezionare le sue capacità grazie all’incontro con un disegnatore professionista, esperienza che gli ha permesso di affinare il tratto e la sicurezza nella rappresentazione. Un ruolo importante nella sua crescita lo ha avuto anche l’amicizia con l’artista Federico Palerma, vicino di casa e mentore, da cui ha appreso tecnica, metodo e libertà creativa. Fondamentale è stato inoltre l’incontro con Luiso Sturla, le cui opere hanno lasciato una traccia profonda nella sua sensibilità artistica. Il suo percorso lo ha condotto verso uno stile personale e riconoscibile, una pop art contemporanea che privilegia formati ampi — dalle tele di 150×150 cm fino ai 210×219 cm — e un linguaggio diretto, immediato, fatto di colori intensi e messaggi semplici ma incisivi. Dopo anni vissuti nell’ombra, con una cerchia ristretta di estimatori, ha deciso recentemente di uscire allo scoperto, lasciandosi alle spalle l’anonimato del ghost artist. La risposta del pubblico è stata immediata: è stato inserito in due gruppi di artisti internazionali, alcune gallerie di Roma e Perugia hanno richiesto le sue opere, e le sue interviste radiofoniche hanno suscitato interesse e curiosità. Pur avendo sempre evitato in passato il mondo delle mostre e dei galleristi, oggi si apre a nuove possibilità, spinto da una passione autentica e da una crescente consapevolezza del proprio percorso. La strada è ancora lunga, ma il desiderio di condividere la sua arte è più vivo che mai.

Cos’è per te l’arte?

Per me l’arte è aria, acqua e fuoco: una necessità vitale. Attraverso l’arte trasmetto ciò che vivo, ciò che ho vissuto e ciò che diventerò. Non so dove mi porterà, ma so che non smetterò mai di gettare colore su una tela, una tavola o un muro, perché se non lo faccio, soffoco.

Cosa ti ha spinto a uscire finalmente allo scoperto dopo tanti anni come “ghost artist”?

È stata l’esigenza di lasciare una traccia di me. Dopo anni di pressioni, tra appassionati e familiari, ho deciso di rompere le catene nella speranza di poter vivere — anche senza arricchirmi — di ciò che amo fare. Sarebbe per me una grande conquista personale.

Qual è il messaggio principale che cerchi di trasmettere con la tua pop art?

Vorrei che l’arte fosse per tutti. Per questo cerco di creare opere comprensibili, con messaggi seri o ironici, ma sempre diretti. Credo che la semplicità paghi sempre.

Quanto hanno influenzato gli anni Ottanta nel tuo modo di concepire il colore e la composizione?

Gli anni Ottanta sono stati fondamentali. Sono figlio di MTV, di quei colori fluo e accesi, dei video, dello spirito punk e skate, dello snowboard e della voglia di trasformare tutto con il mio segno. Senza quel periodo, probabilmente non sarei diventato l’artista che sono oggi.

In che modo l’esperienza dei graffiti ha contribuito a definire il tuo stile attuale?

I graffiti, così come la personalizzazione di skateboard, caschi e snowboard, mi hanno insegnato a individuare uno stile personale e una direzione chiara da seguire.

Che ruolo hanno avuto Federico Palerma e Luiso Sturla nella tua crescita artistica e personale?

Federico Palerma, caro amico e grande artista, mi ha insegnato quanto potere possa avere il segno e quanto profondi possano essere i messaggi dell’arte. Luiso Sturla, con il suo tratto dolce e la sua pop art d’avanguardia, mi ha mostrato l’importanza della delicatezza. Osservare i loro lavori mi ha aiutato a capire come muovere le mani e come usare i colori.

Come scegli i soggetti o i temi delle tue opere di grandi dimensioni?

Non preparo mai bozzetti né progetti preliminari. Penso a un tema e lo realizzo direttamente, seguendo l’istinto. Immagino la composizione mentre dipingo, lasciando che ogni elemento trovi naturalmente il proprio spazio. Tutto il resto viene da sé.

Hai un’opera a cui sei particolarmente legato, e se sì, perché?

Sono legato a tutte le mie opere, perché ognuna rappresenta un momento della mia vita, bello o brutto che sia. Non sono mai stato schiavo degli oggetti materiali: ne ho venduti e donati molti, e va bene così. Se dovessi citarne una, direi Verità nascoste, a cui tengo particolarmente.

Cosa hai provato quando le prime gallerie ti hanno contattato per esporre i tuoi lavori?

In parte me lo aspettavo, sapevo di piacere e di essere richiesto. Tuttavia, è un mondo che uno spirito libero come me deve ancora imparare a gestire. Sono una persona seria e pretendo la stessa serietà in chi collabora con me. C’è molto entusiasmo attorno e spero di scegliere bene, per me e per chi lavora con me.

Come vivi il rapporto tra spontaneità e tecnica nelle tue creazioni?

Oggi finalmente lo vivo in equilibrio. Un tempo ero ossessionato dalla tecnica, arrivando persino a usare una siringa da insulina per ottenere la massima precisione del segno. Oggi so che l’istinto è la vera guida. Dopo anni di sperimentazione, la tecnica è diventata uno strumento, ma ciò che conta davvero è l’autenticità del gesto.

Quali sono i tuoi prossimi obiettivi artistici ora che hai deciso di condividere la tua arte con il pubblico?

I miei obiettivi sono semplici: continuare a creare finché avrò braccia, testa e cuore per farlo. Mi sono aperto al mondo e spero che il mondo mi accolga. Se non lo farà, avrò comunque fatto ciò che amo.

Descriviti in tre colori.

Blu elettrico, arancione e viola del pensiero. Naturale, come in questo momento della mia vita.

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