Irene, nata a Roma nel 1993, scopre la sua vocazione per la recitazione già da bambina, quando a soli quattro anni si impose con determinazione per partecipare a un musical durante una vacanza in villaggio. Da quel momento il teatro diventa la sua strada e, dopo anni di studio, si laurea nel 2019 presso l’Accademia Internazionale di Teatro. Continua a perfezionarsi frequentando workshop e masterclass, tra cui quelle presso il laboratorio di arti sceniche di Massimiliano Bruno. Nel corso della sua carriera prende parte a numerosi spettacoli teatrali, tournée, cortometraggi e a un film dal titolo Succede in una notte, di prossima uscita, mentre è in preparazione un nuovo progetto cinematografico. Accanto all’attività di attrice, insegna recitazione presso il Nino Manfredi di Ostia con la compagnia Readarto e ha fondato l’associazione Officina Dioniso, con la quale promuove spettacoli, laboratori ed eventi. Con il motto “ogni luogo è un palco e ogni sorriso è uno spettacolo”, porta avanti la sua idea di un teatro vivo, accessibile e capace di raggiungere le persone ovunque.
Cos’è per te la recitazione?
È rivelare allo spettatore quella parte di sé che non conosceva e che non immaginava ne avesse bisogno.
Qual è stato il momento in cui hai capito che il teatro non sarebbe stato solo una passione ma una professione?
È stato molto strano: avevo fatto dei piccoli spettacoli alle scuole elementari e medie, poi, dopo alcuni anni, tornando a casa da scuola ho trovato per terra un volantino di una scuola di teatro con gli stessi insegnanti delle elementari. A quel punto l’ho portato a casa e ho detto: “Voglio fare l’attrice”. E così è stato.
Come descriveresti le emozioni che provi ogni volta che sali sul palco?
Oltre all’adrenalina – che è normale, giusto e bello che ci sia – sento che si crea una vera comunicazione, uno scambio, in cui il pubblico ha bisogno di ricevere emozioni e ti ricambia con un’energia impagabile.
Quali sono state le esperienze più formative tra workshop e masterclass che hanno arricchito il tuo percorso artistico?
Ho fatto un workshop di tre mesi con Augusto Fornari presso il Laboratorio di Arti Sceniche di Massimiliano Bruno, che ha cambiato completamente il mio approccio alla recitazione. Tutti mi avevano detto che sarebbe stato super formativo ed effettivamente non ha deluso le aspettative. Augusto ti fa lavorare “sul qui e ora” e toglie ogni artifizio. È stato illuminante.
C’è un ruolo che sogni di interpretare e che ancora non hai avuto occasione di portare in scena?
Mi piacerebbe molto interpretare la Lady del dramma scozzese, che per scaramanzia non si può nominare (nel teatro ci sono tantissime regole non scritte basate sulla superstizione). Trovo che questo personaggio sia davvero complesso, pieno di sottotesti e di una profondità e complessità tale che confrontarmici sarebbe un’esperienza formativa straordinaria.
In che modo il cinema e il teatro ti restituiscono emozioni diverse come interprete?
La differenza principale sta nel pubblico. A teatro hai un confronto diretto e immediato, uno scambio che avviene al momento. Nel cinema lo scambio avviene a posteriori, quando anche tu diventi spettatrice di te stessa. A teatro, spesso, è il pubblico a darti la giusta energia per proseguire nella direzione del personaggio. Nel cinema, invece, l’unica comunicazione che hai è con la camera: è altrettanto emozionante, ma sicuramente più intimo.
Che significato ha per te l’insegnamento della recitazione e cosa ti colpisce di più nei tuoi allievi?
Nella mia carriera ho scelto anche di insegnare perché credo che non ci sia cosa più bella che riuscire a trasmettere la propria passione. Vedere negli occhi dei miei allievi quella stessa scintilla che sono riuscita a passare loro mi riempie di gioia e orgoglio. Mi danno soddisfazioni immense, dai più piccoli ai più grandi: li vedi arrivare in un modo e, a fine percorso, cambiare completamente, crescere, maturare. Allievi che non riuscivano a parlare riescono a sostenere intere scene da soli; altri, pieni di energia e voglia di fare, trovano una guida per incanalare tutto e trasformarlo in forza scenica incredibile. Tutto questo però è possibile solo se si crea fiducia reciproca. È un mestiere bellissimo!
Con Officina Dioniso porti il teatro in luoghi insoliti: qual è stata l’esperienza più sorprendente o commovente che hai vissuto?
Parafrasando una frase di Peter Brook: per fare teatro bastano attori e pubblico; non importa dove, il teatro avverrà comunque. Noi abbiamo rielaborato questo concetto portando il teatro ovunque ci sia un pubblico disposto ad ascoltare. Una volta eravamo in uno spiazzale per una festa: alla fine di uno spettacolo comico uscivo di scena fingendo di essermi fatta male. Al termine, una bambina si è avvicinata a me preoccupata perché pensava mi fossi fatta male davvero e voleva “curare la mia bua” con dei bacini. Non sono riuscita a trattenere la commozione.
Come vedi l’evoluzione del teatro nei prossimi anni e che contributo pensi di poter dare con il tuo lavoro?
Il teatro c’è sempre stato e sempre ci sarà. Nelle guerre, nelle dittature: il mondo ha sempre avuto bisogno dell’arte per evadere, per esprimersi e raccontarsi. E così sarà ancora. Ancor più oggi, in un momento in cui sembra che stiamo tornando indietro, c’è bisogno di parlare e raccontare.
Non voglio parlare di censura, perché la vera censura c’è stata in altri tempi. Ma dico che in tante idee e scelte dei governi non mi rispecchio, e come me tanti miei coetanei e non solo. La missione del teatro è dare voce a chi ha bisogno di esprimersi e raccontare anche altro: io non posso e non voglio esimermi da questo compito.
Sogno nel cassetto?
Il mio sogno è riuscire a conciliare lavoro e famiglia: fare l’attrice, continuare a insegnare recitazione e costruire una famiglia felice.
Descriviti in tre parole.
Solare, testarda e metodica…ma ho anche dei difetti!








