MARIA CARPINO

MARIA CARPINO

Marilù, nome d’arte di Maria Carpino, nasce a Roma nel 1974. Psicoterapeuta e gruppo-analista, ha dedicato gran parte della sua vita alla cura di persone affette da patologie mentali gravi, con passione e competenza. Proprio all’interno del suo lavoro clinico, nel 2006, inizia un percorso di sperimentazione artistica che affonda le radici nell’incontro tra arte e psiche. Nel 2015, il contatto con la cultura africana e i suoi paesaggi accende una nuova scintilla creativa: nascono così i suoi primi disegni realizzati con la tecnica dello scarabocchio. È l’inizio di un cammino che, partendo da un gesto primordiale, si fa via d’accesso all’arte intesa come espressione profonda dell’essere. Nel 2023 incontra il maestro Gerardo Lo Russo, già Direttore dell’Accademia delle Belle Arti, con cui avvia un lavoro intenso di ricerca sul segno e sull’origine del gesto artistico. Il fulcro di questa indagine è il “Das Ding”, la “Cosa”, intesa come presenza essenziale, come energia primigenia e respiro dell’esistenza. È qui che l’arte di Marilù prende forma: segno dopo segno, in una tensione continua tra istinto e consapevolezza. Il suo “Doodle Flow” riprende e rielabora la tecnica dello scarabocchio, trasformandola in uno strumento di esplorazione del sé. Le sue opere diventano così terreno fertile per una ricerca interiore, in cui la creatività si intreccia alla consapevolezza e al desiderio di dare forma a un volto mai completamente definito. Marilù ha esposto in contesti internazionali tra Roma e Venezia, e presto porterà il suo lavoro anche a Madrid e Parigi, confermando la forza di un linguaggio che unisce arte, psiche e origine in un dialogo universale.

Cos’è per te l’arte?

L’arte è per me energia vitale che viene espressa tramite i colori e tale “energia” può divenire arte e non un sintomo di un malessere per tutti noi! E’ qui che nasce ciò che io chiamo doodleflow, il flusso e la ricerca di segni e tratti identitari e primordiali, è l’istante in cui il pensiero si organizza tra una scenografia interiore e l’altra, prima ancora di dare una forma, in quella libertà propria dell’Arte, dove solo il foglio è il limite!

Cosa ti ha spinta a iniziare a disegnare proprio nell’ambito clinico?

 La mia è una storia strana, anche se fin da bambina ho sempre disegnato e amato i colori, ma in realtà io sono una psicologa e gruppoanalista e nel mio lavoro, svolgo sia la pratica clinica privata, sia lavoro in una clinica psichiatrica occupandomi di persone affette da patologie gravi come la schizofrenia, e proprio con loro da molti anni faccio un gruppo di arteterapia cercando di integrare le mie due passioni. Mi ricordo oramai 19 anni fa il mio primo giorno di lavoro in clinica in cui mi avevano detto di occuparmi della riabilitazione psicosociale, e io presi il mio stereo i miei cd i miei colori e iniziò l’avventura! E da allora ogni settimana disegnamo sempre insieme! Un’altra cosa divertente, successa recentemente, ha dato l’assist a tutta la mia storia! Ho smesso di fumare, era una vita che fumavo e tanto! E per magia al posto della sigaretta ho messo una penna in mano, io la chiamo la mia “sigaretta-Penna” e sempre con la penna in mano ho iniziato a disegnare ovunque, anche sui tovaglioli dei bar!

In che modo la tua esperienza di psicoterapeuta influenza il tuo processo creativo?

Sono le mie due parti ben integrate, l’una alimenta l’altra, Ombra e Luce e, come dico sempre ai miei ragazzi specializzandi in gruppoanalisi, quanto ai miei pazienti,  l’Ombra esiste perché esiste la Luce.

Cosa rappresenta per te il gesto dello scarabocchio nella sua dimensione più profonda?

È il mio tratto identitario, ognuno di noi ha il suo, va ricercato e trovato, io nell’atto dello scarabocchiare nel fluire del doodleflow mi connetto a parti di me profonde ed ancestrali è l’energia che fluisce non esiste giudizio e li avviene il riconoscersi nel proprio tratto nel proprio gesto

Come vivi la relazione tra istinto e consapevolezza nelle tue opere?

È questa è bella! Tra Maria e Marilù! Te la dico così: avviene che Marilù disegna con tutta la sua energia e fa un doodleflow che capisce solo lei e poi Maria lo guarda e lo comprende nelle sue profondità in una dimensione maggiormente cosapevole! e si nella consapevolezza di me non ho una forma in mente quando disegno ma alla fine escono sempre volti e questo per me ha un senso dall’ inconsapevole, al consapevole! Io direi che c’ è un tempo per l’istinto e un tempo per la consapevolezza!

Il “Das Ding” è un concetto complesso: come lo traduci in immagini e segni?

Das Ding è stato il punto di arrivo per me della ricerca sul mio segno, dopo di questo non sono più riuscita a fare altri segni, dopo averlo disegnato, ho sentito, la Cosa, l’inafferrabile e l’informe, di non potere afferrare altro, di non sentire e non potere guardare altre parti di me, di desiderare l’irraggiungibile.

Qual è il confine tra arte e terapia nel tuo lavoro?

Il confine c’è eccome! Nell’arte e nei contesti in cui mi esibisco ho la libertà di esprimere maggiormente la mia personalità, ovviamente come psicoterapeuta nei contesti di cura devo tenere un confine tra me e i pazienti che mi permetta di avere una relazione terapeutica con loro, anche se ti dico la mia personalità certamente anche i miei pazienti la conoscono! Più che confine parlerei di un assetto! e sai però credo che sia nell’arte che nella terapia ci sia libertà! La libertà di sentirti come davvero sei!

Come si è trasformato il tuo segno artistico nel tempo, dalla scoperta della cultura africana all’incontro con il maestro Lo Russo?

L’Africa per me è stata un punto importante per la mia esplorazione artistica in quel viaggio ho aperto la strada ad orizzonti nuovi e paesaggi sconfinati, è stato come mettere un semino che solo anni dopo è germogliato quando ho conosciuto Gerardo, nel suo atelier ho potuto sperimentarmi nella ricerca del segno ed è emersa tutta la mia parte creativa, il mio segno ad oggi sta divenendo maggiormente consapevole nel riuscire a definirlo e tracciarlo.

Che ruolo ha il corpo, il movimento fisico, nel tuo modo di disegnare?

Il corpo è sempre importante dobbiamo sentirci, dobbiamo sentire anche il nostro respiro, fermiamoci un attimo e respiriamo! Quando faccio i doodleflow il mio corpo e i movimenti della mia mano sono un tutto con quel tratto che disegno perché l’energia per fluire emerge dalla corporeità da dentro a fuori di noi attraverso il corpo fino alla punta delle nostre dita ad arrivare alla penna, ai colori!

Nelle tue opere emerge spesso la ricerca di un volto: che significato ha per te questo volto mai completamente delineato?

Ti accennavo che quando disegno un doodleflow non ho mai una forma in testa ma alla fine vengo sempre volti disegnati, io non saprei che significato possa avere, mi sono data una mia spiegazione da brava psicologa! È un volto contornato ma mai connotato, è un desiderio, a proposito di Lacan, di riconoscersi, un volto materno, un volto che parla di me! Ti dico però che qualche volta è successo che mentre facevo un doodleflow con dei miei amici o collegi davanti loro si sono riconosciuti nei disegni, hanno riconosciuto il loro volti!

Cosa speri che chi osserva i tuoi lavori possa sentire o riscoprire?

Mi piacerebbe potessero guardarsi in parti di loro attraverso parti di me! Sentirsi in quel divenire proprio del fluire della mia penna a sfera dei miei scarabocchi e nei colori degli acrilici, il sentire quell’energia vitale, come detto all’inizio, che possiamo esprimere toccare vivere tramite l’Arte!

Descriviti in tre colori.

Rosso, Pinky, Azzurro.

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