Rosalba vive e lavora a Bari, sua città natale. Fin da sempre l’arte pittorica rappresenta per lei un linguaggio naturale, un ponte istintivo tra il mondo interiore e la realtà esterna. Dopo studi classici e il percorso accademico presso l’Accademia di Belle Arti, ha intrapreso un cammino artistico profondo e costante, padroneggiando tecniche diverse, dagli oli agli acrilici, dai pigmenti agli smalti fino agli sbalzi su rame, trovando nella pittura materica il suo canale espressivo più autentico. Il 2024 segna per lei una rinascita creativa, un ritorno impetuoso della forza interiore che anima le sue opere. Oggi la sua pittura è astratta, ricca di colori, simboli e numeri, popolata da presenze luminose che si rivelano gradualmente allo sguardo attento: bagliori, forme sospese, esseri guizzanti che sembrano emergere dal profondo del colore. In questa ambiguità visiva, ogni osservatore è invitato a lasciarsi guidare dalla propria immaginazione, costruendo un racconto personale. La sua visione pittorica si configura come resistenza al conformismo e al brutto, un’affermazione della bellezza come espressione della verità interiore. Per Ronzulli, la pittura astratta diventa pensiero senza parole, una forma visiva di “logos” che comunica ciò che non può essere detto. Dal 2024 è tra gli artisti permanenti presso Santa Teresa dei Maschi, chiesa barocca del XVII secolo nel cuore antico di Bari, sede del Museo dei Pigmenti Naturali Colorati e del BiBart – Biennale Internazionale d’Arte di Bari, diretta dal Maestro Miguel Gomez. Qui ha preso parte a numerosi eventi, contribuendo a una visione dell’arte come esperienza collettiva, sensibile e trasformativa.
Che cos’è per te l’arte?
L’arte, per me, è un viaggio interiore. L’arte astratta in particolare non è una riproduzione, come diceva Mark Rothko, ma una rivelazione. Rivela ciò che di me ancora non conosco, portando alla luce quelle parti più profonde e misteriose che non affiorano nel quotidiano.
Cosa ha riacceso il “fiume creativo” nel 2024, dopo un periodo di stasi?
La mia rinascita artistica è iniziata dopo una visita al Museo dei Pigmenti, ospitato nella chiesa di Santa Teresa dei Maschi a Bari. Davanti a quei colori dal blu oltremare al rosso cinabro, fino al giallo orpimento ho sentito risvegliarsi un desiderio irrefrenabile di tornare a dipingere. È stato come se quei pigmenti vibrassero in me, riportandomi in contatto con la mia dimensione più autentica.
In che modo la pittura materica ti permette di esprimere emozioni che le parole non riescono a comunicare?
Amo la pittura materica perché coinvolge non solo la vista, ma anche il tatto, e quindi l’emotività in modo più profondo. Utilizzo sabbia, pasta acrilica, vetro, materiali che restituiscono texture, rilievi, ostacoli. Mi piace immaginare lo spettatore che esplora l’opera non solo con gli occhi, ma anche con le mani, come se potesse entrare fisicamente nel mio mondo emotivo. Un’esperienza sensoriale che parla direttamente al cuore.
Qual è il ruolo del colore nelle tue opere astratte e come scegli le tue palette cromatiche?
Il colore, nelle mie opere, è il vero protagonista. Ogni tonalità, ogni sfumatura, è capace di esprimere stati d’animo, emozioni, ricordi. È come se i miei colori suonassero la mia musica interiore. La mia palette è ricca, vibrante, fatta di contrasti forti: voglio che parli direttamente allo spettatore, che lo conduca in un viaggio emotivo dove il gioco e la meraviglia convivono con la riflessione. Per me l’arte è, in fondo, una relazione: tra chi crea e chi osserva. Il primo (l’artista) abita un tempo altro, il secondo vive nel presente, ma insieme si incontrano in un momento fuori dal tempo.
Cosa rappresentano per te le presenze luminose e le forme sospese che emergono nei tuoi lavori?
Le presenze luminose, spesso realizzate con inserti in oro, e le forme sospese, sono entità che abitano un mondo invisibile ma presente. Sono spiriti della natura, gnomi, occhi che fluttuano nei mari e nei cieli. Spesso hanno forme pesciformi, perché i pesci mi affascinano da sempre: creature silenziose e misteriose, simboli antichi di conoscenza e intuizione, come suggeriva anche Paul Klee.
Come ti ha influenzata il tuo percorso all’Accademia di Belle Arti nella definizione del tuo stile attuale?
Il percorso accademico mi ha fornito una base solida, una conoscenza profonda della storia dell’arte e dei suoi maestri, da Giotto ai contemporanei. Li amo tutti, ognuno per la propria unicità. Ho iniziato con il figurativo, per poi approdare all’astratto: per me è stata una liberazione. L’astrazione mi permette di esprimermi in modo autentico, seguendo una ricerca personale che tiene sempre conto dei grandi artisti del passato e del presente.
Quali sono i tuoi riferimenti artistici o spirituali più forti nella tua produzione contemporanea?
Sono tanti i riferimenti che mi ispirano. Paul Klee, con la sua idea che l’arte debba rivelare ciò che non è visibile. Kandinskij, che ha aperto le porte all’astrattismo, anche se oggi si rivalutano figure straordinarie come Hilma af Klint o Giacomo Balla. Amo profondamente Anselm Kiefer:un artista contemporaneo di straordinaria intensità, capace di usare materiali inconsueti come piombo, carbone, gommalacca, emulsioni… Le sue opere hanno una forza materica e simbolica immensa. Una sua frase mi accompagna spesso: “L’arte sfugge alla comprensione, eppure l’uomo è incapace di vivere senza arte.”
In che modo lo spazio della Chiesa di Santa Teresa dei Maschi ha influenzato la tua visione artistica?
Santa Teresa dei Maschi, nel cuore del borgo antico di Bari, è una chiesa barocca del Seicento, con la cupola più alta della città. È un luogo che emana sacralità, silenzio, rispetto. Esporre lì le mie opere insieme a quelle di altri artisti contemporanei ha creato un contrasto affascinante tra passato e presente. Un dialogo tra la spiritualità dell’architettura storica e la libertà dell’arte astratta. Ne nasce una sinfonia armonica di differenze, che trovo straordinariamente potente.
Come vivi il dialogo tra il visibile e l’invisibile nella tua arte?
Per me, il confine tra visibile e invisibile è sottile, quasi trasparente. Mi piace rappresentare elementi che sembrano reali mari, cieli, fiumi, ali, frammenti ma che lasciano spazio all’ignoto, all’inconscio, al simbolico. Sono opere che suggeriscono mondi misteriosi, e invitano l’osservatore a perdersi e ritrovarsi, a leggere ciò che non è scritto, a vedere oltre ciò che appare.
Cosa cerchi di comunicare al pubblico attraverso le tue narrazioni aperte e simboliche?
Attraverso i miei lavori cerco di comunicare il mio mondo interiore: memorie, emozioni, simboli. Ma lo faccio lasciando spazio all’altro, affinché possa rivedersi, riconoscersi, o anche solo lasciarsi attraversare da una sensazione. È un dialogo muto ma potente: se un mio dipinto “risuona” in chi lo guarda, anche solo per un istante, allora l’opera ha compiuto il suo viaggio.
Per te, l’arte è più un atto di introspezione personale o un messaggio verso il mondo esterno?
L’arte è entrambe le cose. È un atto intimo, profondamente personale, ma è anche una forma di racconto. Un logos, una narrazione che attraversa me e arriva all’altro. Mi piace pensare che l’opera sia come uno specchio: riflette me, ma può restituire a chi guarda una realtà e un pensiero del tutto propri, forse inattesi.
Descriviti in tre colori.
Ci sono colori che tornano spesso nelle mie opere, come presenze familiari: il viola, il rosso, il blu oltremare. Ma amo anche l’arancio, il verde ftalo, il giallo saturno. E poi c’è l’oro: non può mancare. Non è solo luce e preziosità, ma anche simbolo di trasformazione. Mi fa pensare alla tecnica giapponese del kintsugi, dove le crepe delle ceramiche rotte vengono riparate con oro, rendendo le fratture parte della bellezza. È questa l’idea che più mi rappresenta: custodire le cicatrici e farle brillare.








