SIMONA MATARAZZO

SIMONA MATARAZZO

Simona è nata a Milano nel 1972. Vive da molti anni a Vicenza. Da sempre appassionata di fotografia e folclore, è una creator digitale. Divoratrice di libri e curatrice di pagine social, ha collaborato come ricercatrice per alcuni siti web. Ama viaggiare, meravigliarsi e non si separa mai dalla sua macchina fotografica. Con Amazon ha pubblicato: Racconto GoticoAlla ricerca di AgataAl tempo dei Lupi e Il destino di Alice. Con la casa editrice Capponi ha da poco pubblicato Ada.

Cosa significa per te raccontare una storia attraverso l’obiettivo fotografico rispetto a farlo con le parole?

La fotografia è il mio primo amore. Quando fotografo penso a ciò che voglio trasmettere, all’emozione che desidero lasciare. Oggi ci nutriamo di immagini, ma fotografare significa saper cogliere l’istante, la luce giusta, il rumore e il silenzio. Salgado diceva che la fotografia è uno stile di vita, è la tua etica. All’inizio ritraevo le città, ora mi affascinano le venature degli alberi, i cappelli dei funghi, la rugiada del mattino. Fotografare è anche saper attendere: per immortalare un grillo serve pazienza, per cogliere un picchio verde devi conoscere le sue abitudini. Scrivere, invece, mi permette di creare personaggi e situazioni lontani dalla realtà. Scatto per fermare l’attimo; scrivo per dare forma alle storie che affollano la mia testa. La fotografia e la scrittura si nutrono di immaginazione.

Il tuo amore per il folclore come si riflette nei tuoi scatti o nei tuoi romanzi?

Le tradizioni popolari mi hanno insegnato l’amore e il rispetto per la natura. I miei scatti raccontano questa passione. Dopo aver letto testi su erbe, fiori e insetti, ho iniziato a comprendere meglio il mondo che mi circonda. Fotografo il mutare delle stagioni. Non puoi immortalare qualcosa che non conosci o che non ti emoziona. Ho attinto a piene mani dal folclore e dalle leggende britanniche e italiane per creare qualcosa di nuovo. In Al tempo dei lupi, per esempio, ho introdotto la mitologia dei Faoladh. Le mie storie sono abitate da creature misteriose, erbe curative, fiabe. Mi piace stuzzicare la curiosità del lettore.

Qual è il momento esatto in cui capisci che una fotografia “funziona”?

Un tempo, quando postavo su Flickr o DeviantArt, lo capivo dal riscontro. Oggi fotografo soprattutto per me stessa. Le foto che amo di più sono quelle “imperfette”: l’insetto che atterra in modo maldestro su un fiore, un nido vuoto, un uovo schiuso. Lo scatto perfetto è quello che ho immaginato prima di premere l’otturatore e che prende vita proprio in quell’attimo.

Nelle tue opere letterarie c’è spesso una vena gotica o misteriosa: da dove nasce questa attrazione?

La vita non è solo luce o solo buio, ma un intreccio affascinante di entrambi. La letteratura gotica riflette questo intreccio. Castelli, dimore abbandonate, foreste e luoghi impervi sembrano custodire antichi segreti.Evocano emozioni profonde: paura, incertezza, inquietudine. Le mie protagoniste sono donne comuni che affrontano situazioni straordinarie. Il mistero mi attrae perché la vita stessa è un mistero.

Ti senti più vicina al ruolo di narratrice, fotografa o osservatrice del mondo?

Bella domanda! Direi che il ruolo di osservatrice del mondo mi calza a pennello.

Quanto conta l’ambientazione nei tuoi romanzi? Parte da un luogo reale o da uno stato d’animo?

Amo viaggiare e porto nei miei libri i luoghi, i cibi, i costumi e i palazzi che incontro. Alcune ambientazioni e nomi si ispirano a luoghi reali, spesso montani. I miei romanzi si svolgono quasi sempre in inverno. Le protagoniste compiono viaggi – reali o simbolici – e la neve diventa il tappeto sul quale si muovono, tra perdita, coraggio e metamorfosi. L’inverno è una stagione di gestazione: è lì che le mie eroine rinascono.

Come convivono in te la precisione della ricerca storica e l’istinto narrativo?

Per Al tempo dei lupi ho svolto molte ricerche: sebbene ambientato in un luogo immaginario dell’Irlanda, ho studiato i collegi del XIX secolo e ho riletto testi come Jane Eyre. Per descrivere un corpetto ho consultato libri e riviste di moda Vittoriana. Lo stesso vale per Ada: ho studiato l’epoca Vittoriana di fine ‘800, le abitudini, l’arredamento, le città inglesi. L’istinto narrativo mi spinge a mescolare storia, folclore e leggende metropolitane, per creare mondi immaginari e credibili.

Cosa ti spinge a non separarti mai dalla macchina fotografica?

La macchina fotografica è la mia memoria.

Vicenza ti ha cambiata come autrice e fotografa rispetto a Milano?

In realtà Milano non fa parte della mia vita. Ci vado solo per amici o parenti. Sono cresciuta a Vicenza. Se abitassi a Milano, forse, sarei una persona diversa.


Cosa ti fa dire: “questa storia vale la pena di essere raccontata”?


Scrivo senza scaletta. Sono i personaggi a guidarmi. Ad esempio, i licantropi di Al tempo dei lupi hanno una loro mitologia e un loro vissuto. Quando una storia prende il sopravvento, quando creo qualcosa di nuovo, allora sento che vale la pena raccontarla.

C’è un filo conduttore che unisce i tuoi libri, anche se diversi tra loro?

I miei libri si svolgono soprattutto in inverno e in ogni capitolo accade qualcosa. Insomma, le mie eroine non hanno pace.

Sei più attratta dalle storie che parlano di destino, o da quelle che esaltano l’imprevedibilità delle scelte?

Mi affascina l’imprevedibile, anche se Alice – protagonista di Racconto gotico e Il destino di Alice (un’altra versione di Racconto Gotico)  – si muove dentro a qualcosa di già scritto.

Ti è mai capitato di costruire un romanzo a partire da una singola immagine fotografica?

Sì. Ada è nata per caso dopo una visita nel Montello (colle nel trevigiano). L’idea di costruirci una storia è sbocciata da uno scatto che ho fatto a una casa diroccata. Dopo il primo capitolo non mi sono più fermata.

Qual è il tuo rapporto con il tempo nei tuoi lavori? Lo insegui, lo racconti, lo sfidi?

Questa domanda mi coglie di sorpresa. Il tempo, fatalità, ha un ruolo chiave nei miei primi romanzi. In Racconto gotico e Alla ricerca di Agata, le protagoniste fanno un viaggio nel tempo, seppur in modo differente, per ritrovare se stesse. Sto scrivendo un romanzo, 12, che attraversa i secoli: nella mia mente doveva essere l’ultimo tassello della “trilogia del tempo”, insieme agli altri due. Ad ogni modo, rispondendo alla domanda, non ho un buon rapporto col tempo. Sono una persona eclettica nel corpo di un bradipo.

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