YUJI MIZUTA

YUJI MIZUTA

Yuji, nato nel 1976 a Shizuoka e attualmente residente a Tokyo, è un artista giapponese che sviluppa la propria ricerca partendo dall’osservazione dei paesaggi intrecciati della vita quotidiana. Le sue opere nascono da immagini interiori generate da eventi sottili e quasi impercettibili, che egli traduce in forme visive attraverso una vasta gamma di tecniche, dal disegno alla pittura, dal collage ai metodi tessili come tessitura, tintura, ricamo e stampa. La sua pratica si estende inoltre a linguaggi multidisciplinari come video, installazione e performance, spesso arricchiti da elementi dialogici e corporei, che ampliano e approfondiscono le sue modalità espressive. I lavori di Mizuta evocano tracce intime di memoria incerta, sensazioni fisiche, oscillazioni emotive e una sottile componente di feticismo, diffondendosi nello spazio con la delicatezza di un profumo. Ogni opera risuona silenziosamente con l’interiorità dello spettatore, riflettendo le vibrazioni effimere del ricordo e del sentire. Al centro della sua poetica vi è una profonda sensibilità verso i paesaggi in continuo mutamento, dove lingue e culture diverse si incontrano e respirano insieme. Attraverso la sua arte, Mizuta risponde alle tracce e alle presenze lasciate da ogni forma di vita e relazione, cristallizzandole in espressioni visive uniche che riflettono il suo paesaggio interiore. Nel corso della sua carriera ha realizzato numerose mostre personali in Giappone e all’estero, esponendo a Tokyo, Copenhagen e Singapore. Le sue attività multidisciplinari includono collaborazioni con aziende come ASICS, Found MUJI, ISETAN MITSUKOSHI, arflex Japan e maruni, oltre alla creazione di opere pubbliche per hotel e spazi commerciali. Laureato nel 2001 in Textile Design presso la Tama Art University, continua a vivere e lavorare a Tokyo, portando avanti una ricerca artistica che intreccia sensibilità estetica, memoria e identità contemporanea.

Cosa significa per te “arte”?

Per me l’arte è un atto di dialogo — tra me e gli altri, o persino con gli oggetti. Non riguarda tanto l’essere commossi, quanto la possibilità di sperimentare: un po’ come creare un profumo, un processo fatto di equilibrio sottile e scoperta.

Dove ha inizio il tuo percorso creativo e come si è trasformato nel tempo?

Fin da bambino avevo difficoltà a esprimere direttamente le emozioni, così il disegno è diventato il mio modo di comunicare. Alle medie, al liceo e poi all’università ho frequentato scuole d’arte — ma allora la creazione era solo uno strumento di dialogo. Col tempo si è trasformato in qualcosa di creativo a sé: attraverso la ripetizione è emersa una conoscenza, il corpo si è coinvolto, e infine è entrata anche l’anima.

In che modo natura e spazio urbano influenzano la tua ricerca visiva?

Assorbo costantemente informazioni visive, uditive e sensoriali dalla natura e dalla città. Le elaboro interiormente, lasciandole diventare parte di me. Intuitivamente capisco cosa nutre il lavoro presente e cosa va conservato per il futuro.

Quale tecnica senti più vicina al tuo linguaggio espressivo?

Direi il tessile: non tanto il materiale, quanto il modo in cui risponde ai gesti. Il tessuto accompagna la vita umana e si trasforma attraverso gesti e intenzioni. Mi interessa cosa accade quando affido alla stoffa tempo, emozioni fisiche e fluttuazioni psicologiche.

Come scegli i materiali e quale ruolo giocano nella narrazione?

Parto da un’immagine mentale e, dialogando con essa, capisco quale materiale sia appropriato. L’opera stessa mi racconta la sua storia: io rispondo con sincerità. Se una futura opera sussurra che può nascere solo attraverso il corpo, la seguo.

Quanto conta l’emozione nel tuo processo?

L’emozione in sé non è centrale: se troppo intensa, diventa rumore. Cerco di restare come un regista, osservando e mantenendo equilibrio. Il ritmo tra avvicinarsi e distaccarsi dona autenticità al lavoro.

Quali esperienze ti hanno influenzato maggiormente?

Non un artista specifico, ma gli atti fisici e l’uso del corpo. Una performer mi disse: “Senti il 360° intorno a te”. In un attimo ho percepito colore, odore e densità del paesaggio. È stato sorprendente.

Come dialogano corpo e spazio nella performance?

Sono profondamente connessi, quasi la stessa cosa. A livello atomico tutto è fatto della stessa materia. La performance vive nel flusso dove corpo e spazio si muovono sospesi nell’aria.

Come bilanci tradizione e contemporaneità?

In modo del tutto inconscio: ascoltando la voce dell’opera che deve ancora nascere.

Quali emozioni speri vivano gli spettatori?

Vorrei che vivessero l’opera come un film, accogliendo ciò che emerge — gioia, piacere, malinconia — con sincerità.

Quali temi desideri approfondire?

Fisicità e connessione mente-corpo, seguendo la voce delle opere future.

Se dovessi descriverti con tre colori?

Un bianco vicino alla trasparenza, nero e blu.

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