Michela, in arte La Signorina in Nero, è una giovane artista sarda di 29 anni, profondamente legata alle antiche tradizioni e al sapere ancestrale. Il suo percorso spirituale e artistico ha avuto inizio ben prima che potesse riconoscerlo come tale. Fin da bambina ha nutrito un legame viscerale con la natura, in particolare con le piante, i mammiferi e i rettili, avvicinandosi inconsapevolmente alla divinazione attraverso oggetti trovati nel bosco, usati per piccoli riti quotidiani, come indovinare i regali di Natale. Quelle prime intuizioni si sono evolute, nel tempo, in un cammino consapevole che l’ha portata ad approfondire l’arte dei Tarocchi durante l’adolescenza e, successivamente, a studiare pratiche rituali più complesse. Oggi Michela si definisce strega, studiosa, ricercatrice e divulgatrice nel campo dell’esoterismo e dell’occultismo, impegnata nel superamento dei dogmi e nella riscoperta della spiritualità libera e autentica. Accanto al suo percorso spirituale, da circa due anni è anche un’apprendista tatuatrice. Con il suo compagno Adrian Rothson – tatuatore da oltre trent’anni e portatore di una visione del tatuaggio come rito sacro e linguaggio simbolico – ha fondato Antica Visione Magica, una community esoterica nata come spazio di confronto, crescita e libera espressione. Al suo interno si articola una rete di canali dedicati a diverse branche dell’occultismo, ciascuna guidata da un esperto, con contenuti mirati, mini corsi gratuiti, dialoghi aperti e supporto quotidiano. Antica Visione Magica non è solo una realtà online: organizza anche incontri dal vivo in varie città italiane, creando connessioni reali e profonde con i membri della community. Parallelamente, Michela continua a offrire letture introspettive dei Tarocchi e sta lavorando alla pubblicazione di un erbario magico, frutto di studio, raccolta e esperienza diretta. Insieme ad Adrian, sta inoltre sviluppando un progetto dedicato al tatuaggio ritualistico: un’esperienza che unisce la tecnica tradizionale dell’handpoke a pratiche sacre di trasmissione simbolica, dove ogni segno inciso sulla pelle diventa un atto consapevole e spirituale. Il suo intento è quello di coltivare costantemente la propria evoluzione personale, ma anche di offrire guida e sostegno a chi sente il richiamo di un percorso interiore. Michela cammina al fianco di chi è in cerca di risposte, domande, significati. Al fianco di chi, semplicemente, vuole trovare la propria strada.
Il tuo cammino è iniziato in modo spontaneo e intuitivo: c’è stato un momento preciso in cui hai capito che la tua “connessione” era qualcosa di più profondo?
Non c’è stato un momento preciso o un lampo che mi abbia illuminato, piuttosto una sedimentazione lenta di sensazioni e informazioni che mi facevano capire che la via era corretta per me. All’inizio era solo un modo mio di stare al mondo: tendevo a osservare molto, a dare senso a certi dettagli, a costruire significati personali nei piccoli eventi naturali, nei gesti ripetuti. Non sapevo che fosse un linguaggio, né lo chiamavo in alcun modo. Con l’esperienza e soprattutto con lo studio ho iniziato a riconoscere in quelle percezioni una coerenza, una struttura simbolica che tornava. Era come se tutto parlasse, e io avessi semplicemente imparato ad ascoltare con più attenzione. Lì ho capito che non era solo fantasia: era una forma di conoscenza intuitiva, e andava nutrita, non messa a tacere. Da quel punto in poi, ho scelto di non ignorare più quel richiamo. Ho iniziato a camminare con maggiore consapevolezza, studiando, osservando, praticando, ma senza perdere quello sguardo iniziale: quello che vede il senso nel margine, la risposta nella crepa, il rito nel quotidiano.
In che modo la natura continua a parlarti oggi? C’è una pianta, un animale o un elemento che senti particolarmente affine?
La natura non smette mai di parlare. Lo fa in modo sottile, scomodo a volte. Ti mette alla prova. Ti osserva, ti rimanda quello che sei, e se sai stare in silenzio abbastanza a lungo, ti risponde. Nel mio percorso ho identificato con certezza una pianta, ma se dovessi solo descriverla, sarebbe violacea, profumata, al tempo stesso seducente e tagliente. Una pianta in equilibrio tra veleno e rimedio, che riesce a incarnare una forza composta, elegante, che non ha bisogno di alzare la voce per farsi rispettare. Una pianta che sa farsi desiderare, ma che esige attenzione, la Datura Stramonio. Gli animali (oltre i miei domestici) a cui mi sento più legata sono le lumache e i serpenti. La prima, lenta, umida, in ascolto; si porta dietro la casa, vive il tempo lungo, non ha bisogno di forzare nulla. Il secondo, antico e ctonio, cambia pelle per rinascere, osserva in silenzio, custodisce segreti. Entrambi mi parlano del valore del movimento interno, della trasformazione, della forza che non sempre si mostra. Quanto all’elemento, è il fuoco quello che sento più mio. Ma non il fuoco esplosivo e sempre distruttivo: piuttosto, quello che cuoce piano, che trasforma, che riscalda e protegge. Il fuoco del focolare, del rito, della parola che accende e muove.
Come si intrecciano nella tua vita quotidiana le figure della strega, dell’artista e della ricercatrice?
Per me non sono ruoli separati. Non li interpreto: li vivo come parti intrecciate di un unico modo di stare al mondo. La strega è il centro intuitivo, la parte che osserva i movimenti invisibili, che custodisce il mistero senza bisogno di svelarlo. L’artista è la mano che lo traduce in forma, che lo rende tangibile: nei gesti, nelle immagini, nelle parole, nei segni sulla pelle. E la ricercatrice è la struttura, il rigore, quella che fa ordine, che studia, che interroga senza smettere mai. Nel mio quotidiano, queste tre figure non hanno confini netti. Ogni rituale è anche un atto creativo e ogni pratica è un’occasione di studio. Anche il silenzio, a volte, è un’indagine. Quando preparo un contenuto, quando creo un simbolo, quando traccio una linea su un corpo, ognuna di queste parti si attiva. Il mio equilibrio sta proprio nel farle coesistere senza doverle giustificare. Sono linguaggi diversi che raccontano la stessa cosa: il sacro, il reale, l’invisibile che plasma ciò che vediamo.
Il tatuaggio, per te, è un atto sacro. Come nasce un simbolo rituale, e qual è il processo che lo rende “vivo” sulla pelle?
Il simbolo è un linguaggio, a volte semplice, altre complesso. Come diceva Jung, il simbolo è ciò che esprime qualcosa che non può essere detta altrimenti, un contenuto dell’inconscio che trova forma per arrivare alla coscienza. Quando lavoro su un simbolo rituale per terzi, non lo creo soltanto io: lo faccio emergere. Esiste già, in potenza, nel vissuto della persona che lo porterà. Attraverso l’ascolto, il confronto, e l’analisi, quel simbolo inizia a manifestarsi. Ha lo scopo di segnare una soglia, un passaggio, una trasformazione. Quando viene tracciato sulla pelle, inizia il suo lavoro vero: si lega al corpo, si fissa nella memoria inconscia e continua ad agire nel tempo. A renderlo “vivo” non è solo l’inchiostro o l’ago consacrato, ma tutto il processo. Il momento in cui viene inciso è uno spazio sospeso, in cui il dolore (anche se minimo) e la concentrazione su esso non sono accessori, ma necessari: è il veicolo della presenza, della soglia, della concentrazione assoluta. Il sangue, il calore della pelle, la resistenza del corpo creano uno scambio reale, tangibile. È lì che il simbolo si attiva: attraverso l’intenzione, il sacrificio sottile, la volontà condivisa.
Qual è il momento più potente che hai vissuto durante un tatuaggio ritualistico?
Una volta, durante un tatuaggio particolarmente impegnativo a livello emotivo, chi lo riceveva ha iniziato a piangere ma non per il dolore, come se qualcosa stesse lasciando il corpo nel momento stesso in cui veniva inciso. Nessuna parola, nessuna richiesta: solo lacrime che sembravano liberare qualcosa che da tempo cercava una via d’uscita.
L’handpoke è una tecnica intima e lenta: pensi che il “ritmo” abbia un significato spirituale nel processo?
Il ritmo fa tanto, si. Ogni atto rituale ha un tempo proprio, una vibrazione precisa che non può essere forzata. Quando si lavora sul corpo e attraverso il corpo, il ritmo e le vibrazioni generate, diventano il codice invisibile che ci mette in comunicazione con la volontà e la materia. Non è quindi solo una questione di lentezza, ma anche di costanza, frequenza, intensità. Il ritmo crea uno stato mentale e fisico alterato, quindi una soglia. La ripetizione, la vibrazione che si propaga (in questo caso nella pelle), la precisione del gesto… tutto contribuisce a creare uno spazio di presenza assoluta. L’handpoke, in questo senso, è solo una delle modalità possibili. È una tecnica antica, essenziale, e proprio per questo permette una connessione profonda.
Cosa significa per te creare uno spazio come Antica Visione Magica? Cosa ti emoziona di più nei rapporti con la community?
Per me creare Antica Visione Magica ha significato, prima di tutto, dare un posto reale a chi troppo spesso ha dovuto camminare in silenzio, per paura di essere giudicato, frainteso, ridicolizzato. Ho voluto costruire un luogo dove chi percorre il sentiero esoterico non debba più sentirsi solo, né costretto a nascondersi o a difendersi. Purtroppo, oggi la comunità esoterica è spesso frammentata e malata di giudizio: divisa in categorie, competitiva, poco accogliente verso chi ha esperienze, credenze o approcci diversi. AVM è nata anche per questo: per uscire da quella logica tossica e creare un terreno neutro, aperto, dove l’unico vincolo è il rispetto. Quello che mi emoziona di più nei rapporti con la community è la consapevolezza di esserci riuscita. Più di mille persone hanno trovato una casa, uno spazio dove potersi confrontare, crescere, stringere relazioni che vanno oltre il virtuale, oltre il social, oltre le etichette. Mi emoziona vedere che il mio percorso, le mie ferite, le mie armi, sono diventate strumenti utili anche per gli altri. Che posso usarli per tendere una mano a chi si è sentito strano, fuori posto. AVM è quel luogo. E per molti, finalmente, è casa.
Come scegli i temi da trattare nei canali esoterici che curate? C’è qualcosa che senti urgente portare alla luce oggi?
I temi nascono dall’ascolto. Ascolto della community, certo, ma anche delle energie del tempo, di quello che si muove sotto la superficie. A volte sento che un argomento “chiama”, anche se non è in programma. E allora lo seguo. Non ragioniamo per contenuti da pubblicare, ma per temi da approfondire, da attraversare insieme. Ogni canale ha il suo linguaggio, la sua anima, e viene curato da chi ha fatto di quella specifica via il proprio strumento di lavoro e trasformazione. Quello che sento più urgente oggi è ripulire l’occulto dall’ inquinamento, restituirgli la dignità e lo spessore che l’indottrinamento sociale, soprattutto quello religioso e politico, gli hanno tolto. Per secoli si è cercato di ridicolizzarlo per paura della libertà, è stato marginalizzato e demonizzato, e oggi il rischio è opposto: quello di renderlo vuoto, di moda, usa e getta, associandolo in tutto e per tutto alla nostra epoca, quella del consumismo. Viviamo in un’epoca in cui c’è un’enorme quantità di informazioni, ma pochissima profondità. Si sono perse le 4 regole fondamentali, non solo nella stregoneria ma nella via generale: potere, volere, osare e tacere. E in tanti si stanno avvicinando all’esoterismo senza alcun radicamento, affascinati dalla superficie ma privi di fondamenta. Io parto proprio dalla storia, dalla radice, andando a prendere tematiche ormai travisate e raccontate secondo il subdolo gioco “del telefono”.
In un mondo sempre più “veloce”, cosa può insegnare l’occulto e la pratica rituale alle nuove generazioni?
Può insegnare proprio a stare. A scegliere la profondità invece della reazione immediata. L’occulto non lo si deve vedere come evasione, è più un radicamento in noi stessi: ti costringe a guardare dentro, a sporcarti le mani, a prenderti tempo per comprendere. In un mondo che corre, che ti vuole rapido, sempre connesso e sempre in vetrina, il rito ti impone lentezza, ascolto, presenza. Ti riporta alla pelle, al respiro, al corpo. Ti ricorda che non sei solo pensiero, non sei solo prestazione, ma sei anche simbolo, memoria, materia in trasformazione. La pratica rituale insegna che non tutto va risolto subito. Che certe cose hanno bisogno di oscurità, di silenzio, di attraversamento. E che la verità non è mai spettacolare: è sottile, è nascosta, e va cercata con dedizione. Alle nuove generazioni può offrire una cosa preziosa: il diritto di rallentare, di cercare il fuori dalla norma, e di costruire un’identità che non dipenda dall’approvazione altrui, ma da un sentire autentico, ed proprio il messaggio che cerco di mandare a tutti.
Ci puoi raccontare qualcosa del tuo erbario magico? Cosa lo rende diverso da un manuale tradizionale?
Il mio erbario nasce con un intento preciso: ridare sacralità all’uso delle piante locali, a quel patrimonio spesso trascurato e desacralizzato che appartiene alla tradizione occidentale. In un periodo in cui si guarda altrove per trovare l’esotico come il famosissimo palo santo, io ho scelto di restare qui tra le erbe del nostro territorio, nelle storie delle nostre antenate, nella magia che ci appartiene ma che è stata dimenticata o ridotta a semplice folclore. Non ho voluto scrivere un manuale ma un insieme di relazioni, in cui la pianta non è vista come uno strumento da impiegare, ma come un’energia con cui entrare in contatto. Ogni scheda non si limita a elencarne le proprietà, ma indaga la sua energia, la sua qualità invisibile, il modo in cui può interagire con noi nei rituali, nei passaggi di vita, nei lavori magici. Le piante vengono trattate come forze vive. Spiego infatti quali parti raccogliere, quando, e soprattutto in quale fase lunare: perché la luna modifica il contenuto energetico della pianta nelle sue varie parti: radici, foglie, fiori… e raccogliere senza sapere significa interrompere un ciclo invece che parteciparvi. Parlo di ritualità, di ciclicità, di osservazione. Parlo anche di associazioni divine, frutto di un lavoro di ricerca e confronto tra fonti e pratiche: divinità che sono state storicamente legate a determinate piante, per visione condivisa. Insegnare l’uso delle erbe significa anche insegnare a guardarle, a sentirle per ciò che sono: non solo aiuti, ma presenze e non solo supporti rituali, ma forze attive.
Se potessi tatuare una sola parola sul mondo, quale sarebbe e perché?
Nessuna. Non tatuerei nessuna parola sul mondo. Perché una parola fissa, definisce, limita. Ogni parola, anche la più bella, può diventare una gabbia se viene imposta. Credo nel potere del linguaggio, ma anche nella sua pericolosità. Una parola incisa sulla pelle del mondo rischierebbe di trasformarsi in dogma, in simbolo unico, in verità assoluta. Preferisco che ognuno trovi la propria, nel proprio tempo, sulla propria pelle. Ma se invece immaginassimo il mondo come un pianeta, un corpo tra i tanti nell’universo, e potessimo rinominarlo, allora lo chiamerei Equilibrio e Bellezza. Perché è ciò che manca, ciò che ci sfugge, ciò che cerchiamo e ciò che, nel profondo, il mondo continua a insegnarci anche nel suo caos.
Hai un sogno ancora segreto legato al tuo percorso spirituale o artistico che prima o poi vuoi realizzare?
Sì. Ma continuerà a rimanere segreto, non per scaramanzia né per romanticismo: semplicemente perché ci sono cose che vanno fatte e non raccontate. Posso dire solo che ha a che fare con uno spazio reale, non solo virtuale. Un luogo dove si possa praticare, confrontarsi, imparare, e portare avanti il lavoro che già faccio ma con il corpo, la presenza, la condivisione. Non un “centro”, né tantomeno una scuola: qualcosa che ancora non ha nome, ma che riconoscerò quando prenderà forma. Il resto lo dirà il tempo. Quando accadrà, sicuramente si vedrà.




