LETIZIA CARATTINI

LETIZIA CARATTINI

Letizia, nata a Santiago del Cile nel 1993, ha vissuto per vent’anni in Svizzera. Successivamente si è recata a Milano dove ha frequentato pittura presso l’Accademia di Belle Arti di Brera. Dall’inizio del suo percorso di maturità umana e artistica approfondisce il tema della figura, rielaborata in modo da enfatizzarne l’aspetto percettivo. La sua ricerca è volta a rappresentare la memoria umana collettiva attingendo con particolare attenzione a fonti letterarie. Tramite una trama pittorica soffusa, dalle sue opere emerge la percezione delicata dello spazio vuoto, specchio sottile del rapporto dell’uomo con l’infinità dell’Universo.

Cos’è per te l’arte?

L’arte, citando Céline, è per me come l’amore: l’infinito messo alla portata delle bestie.

In che modo la tua esperienza di vita tra Cile, Svizzera e Italia ha influenzato la tua sensibilità artistica?

Forse mi ha aiutato a vedere il mondo come una “casa”, senza radici ristrette in un solo luogo. Tuttavia, credo siano stati soprattutto gli incontri a influenzare maggiormente la mia sensibilità artistica.

Quali autori o testi letterari senti più vicini alla tua ricerca pittorica?

Arthur Rimbaud – Una stagione all’inferno
Charles Baudelaire – À une passante
Louis-Ferdinand Céline – Viaggio al termine della notte

Come scegli quali frammenti della memoria collettiva trasformare in immagini?

Ci sono nervi cerebrali che risalgono ai nostri antenati più antichi, agli ominidi che per primi hanno alzato lo sguardo verso il cielo, chiedendosi chi fossero. La presa di coscienza della nostra umanità è qualcosa di prezioso e collettivo, che dovrebbe aiutarci a ritrovare sensibilità comuni a tutti.

Che significato ha per te il “vuoto” nello spazio pittorico?

Il vuoto, per me, non equivale all’annullamento di ogni cosa, ma piuttosto a un nulla cosmico colmo di energia e particelle. Il vuoto è pieno di tutto, è lo stesso spazio infinito che separa due entità. È lo spazio del desiderio e del silenzio.

Quanto conta la dimensione percettiva rispetto a quella narrativa nelle tue opere?

È fondamentale. La dimensione percettiva conduce inevitabilmente alla narrazione, perché da sempre siamo portati a raccontarci storie. Per quanto mi riguarda, è importante che il soggetto, la storia, nascano da un sentire autentico.

C’è un momento o un’opera che consideri una svolta nel tuo percorso artistico?

Ci sono stati diversi momenti e opere che considero svolte nel mio percorso artistico. Il processo creativo è accidentato: servono appigli solidi per poter proseguire, anche se probabilmente non si arriverà mai da nessuna parte.

Come definiresti il rapporto tra la tua pittura e il concetto di infinito?

Ho studiato molto il cosmo e le sue teorie, per cui esiste un legame stretto tra la mia pittura e il concetto di infinito. Penso soprattutto ai dipinti avorio, intitolati P288 (nome in codice di due asteroidi binari che si orbitano intorno per l’eternità senza mai incontrarsi). Ogni cosa terrena ha il suo riflesso nel mondo cosmico, la cui fine non ci vedrà mai spettatori.

In che modo il tuo processo creativo è cambiato dai tempi dell’Accademia di Brera a oggi?

Come accennavo, si tratta di un percorso accidentato. Non direi che il mio processo creativo sia cambiato; piuttosto, sembra seguire la sua via, quasi per conto proprio. Le mie scelte sono spesso istintive, ma cerco sempre di rimanere coerente con l’idea artistica che mi appartiene da quando ho iniziato a lavorare come artista, circa quindici anni fa.

Ti senti più vicina alla tradizione figurativa o a una sua reinterpretazione contemporanea?

Non mi interessa particolarmente appartenere a una tradizione piuttosto che a un’altra. Non saprei rispondere a questa domanda.

Quale emozione o riflessione speri che chi osserva le tue opere possa vivere?

Ognuno reagisce in modo diverso. C’è chi le trova oscure, chi invece ne percepisce la delicatezza e vi legge un’indagine interiore. Mi incuriosiscono entrambe le reazioni: sono forse più reali di qualsiasi cosa io possa immaginare di voler mostrare.

Descriviti in tre colori.

Avorio, nero di candela, grigio di Payne.

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