Nata a Roma nel 1975, Michela Fabeni trasforma ogni gesto creativo in un racconto di emozioni viscerali. Artista del Terzo Millennio, plasma bassorilievi su tela con una tecnica personale chiamata “smussato” che consiste nello smusso delle asperità, realizzata prima con spatola e poi con le mani nude, che devono toccare, immergersi, fondersi con la materia per donarle un’anima viva, vibrante. I suoi materiali organici ed essenze vitali capaci di tramettere forza primordiale e pulsazione emotiva, emergono come creature che sembrano volersi liberare dalla superficie, sfidando i confini dello spazio e del tempo. Le sue opere sono un dialogo tra luce e ombra, pieno e vuoto, visibile e invisibile, un equilibrio sospeso che cattura l’essenza profonda dell’universo. Non è la volontà dell’artista a guidare la forma, ma l’universo stesso che si manifesta, offrendo espressioni sorprendenti e sempre nuove, come un soffio di energia creativa che si fa tangibile. Attraverso figure antropomorfe e simboli, Michela esplora la femminilità, la metamorfosi e l’infinito, fondendo tradizione e innovazione in un linguaggio senza tempo. Le sue opere sono composizioni che a volte si sviluppano in dittici e trittici per evocare la vastità dell’essere e del divenire. In meno di due anni ha realizzato quasi 300 opere e la sua produzione, alimentata da una forza creativa instancabile, continua a crescere con ritmo costante e naturale evoluzione, partecipando a mostre e premi internazionali in città come Roma, Milano, Barcellona, Venezia, New York, Dubai, Pechino e Principato di Monaco. Il suo percorso artistico è un viaggio interiore in continua trasformazione, un invito a immergersi nel cielo stellato che abita dentro di noi e a lasciarsi avvolgere dall’abbraccio del mistero e dell’energia che permeano il mondo intorno, dove materia, luce e simbolo dialogano con l’anima di chi osserva.
Cos’è per te l’arte?
L’arte per me è respiro e viaggio, una necessità profonda. È la forma più autentica con cui do vita all’invisibile, trasformando emozioni mute in forme che si possono toccare. È l’abbraccio tra il cielo stellato che custodisco dentro e quello che mi avvolge ogni giorno.
Che ruolo ha il corpo nel tuo processo creativo, soprattutto considerando che le mani diventano uno strumento centrale nel dare forma e anima alla materia?
Il mio corpo è parte viva del processo creativo: le mani non sono semplici strumenti, ma veri canali di emozione e energia. Dopo la spatola, scelgo di lavorare con le mani nude perché voglio sentire la materia, toccarla, immergermi in essa. È attraverso la pelle che percepisco la vibrazione, la trasformazione, la voce nascosta della materia stessa.
Nel tuo gesto c’è una ritualità primordiale: quanto conta per te l’istinto rispetto alla progettazione razionale dell’opera?
Conta moltissimo l’istinto. Spesso inizio senza un progetto preciso, come se fosse l’opera stessa a chiedermi di prendere forma. Il gesto ha una ritualità antica, quasi primordiale, che guida le mie mani in un dialogo silenzioso con ciò che creo. Solo dopo, con calma, riconosco il senso e il significato di quell’atto creativo. È un atto di fiducia, di ascolto profondo di qualcosa che nasce dentro.
I tuoi bassorilievi sembrano emergere dalla tela come esseri viventi: hai mai avuto la sensazione che un’opera si stesse creando da sola, indipendentemente dalla tua volontà?
Sì, capita spesso. È come se l’opera avesse una vita propria, che guida le mie mani e si manifesta senza che io la controlli. Sento che nasce da un’energia più grande di me, come se esistesse già altrove e io la liberassi. Ogni volta è una sorpresa nuova. Seguendo questo flusso, lascio che prenda forma, e solo dopo le do un nome e un significato, con la mente.
La tua tecnica, lo “smussato”, ha un’identità molto riconoscibile. Hai mai sentito il desiderio di tradirla, anche solo per un’opera, per vedere dove ti avrebbe portata un altro linguaggio?
La tecnica non l’ho mai scelta razionalmente: è nata spontaneamente dal mio modo di esprimere ciò che sento dentro. Le mani si muovono da sole, seguendo un flusso istintivo. Per esempio, nel labirinto che ho creato mentre ero a letto per una frattura, le linee sono più nette e taglienti, rispecchiando ciò che stavo vivendo in quel momento. La tecnica, quindi, non è mai fissa ma sempre in trasformazione, una vera e propria metamorfosi che segue il mio percorso interiore.
Spesso esplori simboli e figure femminili. Che significato ha per te la femminilità nell’arte e quanto attinge alla tua esperienza personale?
Spesso esploro simboli e figure femminili perché per me la femminilità è una forza profonda, resiliente e rigeneratrice. È l’energia che accoglie, trasforma e rinnova. Le forme sinuose che plasmo esprimono questa forza, che non appartiene solo al femminile biologico, ma vive in ognuno di noi come un equilibrio tra maschile e femminile interiori. La mia esperienza personale come donna e artista alimenta questo sentire: modellare è per me un viaggio interiore in cui emergono creature che riflettono ciò in cui ogni donna può rispecchiarsi , grazia, forza, complessità e rinascita. Anche i simboli e le figure maschili che creo spesso portano linee morbide, perché nella mia arte tutto parte da un’energia connessa con l’universo, un’unità cosmica che scorre tra pelle e materia.
La tua produzione è impressionante per rapidità e intensità. Cosa accade dentro di te quando nasce una nuova opera? C’è un momento preciso in cui senti che “deve” venire al mondo?
Quando nasce un’opera, avverto un bisogno interiore, una spinta profonda che mi guida con forza. È come se l’opera stessa mi chiamasse, chiedendo di emergere, di prendere forma nel mondo. Quando la completo, spesso provo un déjà-vu intenso, la sensazione che quell’opera sia sempre esistita e io l’abbia solo riscoperta. È un legame misterioso e profondo tra me e ciò che creo, un dialogo senza tempo.
Hai partecipato a mostre in tutto il mondo: percepisci differenze nel modo in cui culture diverse reagiscono al tuo lavoro?
Sì, ogni cultura ha una propria sensibilità, un modo unico di sentire e interpretare le mie opere. C’è chi si lascia catturare dalle emozioni, chi si sofferma sui simboli, chi apprezza la tecnica. Questo confronto arricchisce profondamente il mio sguardo, aprendo nuove prospettive e significati che a volte nemmeno immaginavo. L’arte diventa così un ponte vivo tra mondi diversi.
Le tue opere mettono in dialogo luce e ombra, pieno e vuoto. Pensi che l’arte debba portare equilibrio o che debba amplificare il conflitto?
L’arte è un equilibrio pulsante: dona armonia ma sa anche scatenare il conflitto, scuotendo l’anima per far emergere verità nascoste. È il respiro vivo tra luce e ombra, pieno e vuoto, un riflesso profondo della vita stessa.
La materia con cui lavori è viva, quasi sacra. Hai mai pensato di usare materiali effimeri o destinati a scomparire per rendere ancora più evidente il legame tra creazione e impermanenza?
Le mie opere sono in continua trasformazione, una metamorfosi che vivo anche nei gesti quotidiani, nel mio intimo. Nella vita di tutti i giorni mi lascio spesso guidare da materiali effimeri, che uso per sentire il mistero e l’unione cosmica che ci avvolge. Questi materiali mi aiutano a percepire il fluire incessante e la trasformazione della vita, rendendo vivo quel legame profondo tra creazione e impermanenza.
Cosa senti quando osservi un’opera finita? È una chiusura, una separazione, o resta comunque un legame, come un filo che ti trattiene?
Non è mai una separazione totale. Osservare un’opera finita è un momento di incontro, di relazione profonda. Restiamo legate da un filo sottile che attraversa il tempo e lo spazio.
Se potessi realizzare un’opera monumentale nello spazio pubblico, dove la collocheresti e cosa vorresti che raccontasse a chi la incontra per caso?
Vorrei che le mie opere vivessero in un luogo dove il tempo sembra fermarsi, uno spazio sospeso nel silenzio. Un posto che accolga chi le guarda, facendolo sentire parte di qualcosa di più grande, mai solo. Voglio che chi osserva possa emozionarsi davvero, portando con sé un ricordo gentile e profondo nel cuore.
Hai mai immaginato un’opera tua in movimento, magari animata da una performance, dalla musica o dalla danza?
Sì, penso che un’opera in movimento possa dare nuova vita e dimensione all’arte. La musica, la danza e la performance sono un’estensione naturale del mio lavoro, un modo per far dialogare emozioni e forme in modo vivo.
Descriviti in tre colori.
Mi descriverei con il bianco, per la calma e la purezza con cui osservo il mondo. Il rosso racconta la mia passione e l’energia vitale che mi attraversa, come linfa creativa che pulsa ogni giorno. L’oro è la mia essenza: qualcosa di prezioso, che illumina da dentro, accoglie, si rigenera e trasforma.





