MONIKA DANGEL

MONIKA DANGEL

Monika dipinge per ricordare. Non solo per sé, ma per chi guarda. Ricordare una verità che abita nel silenzio, tra le pieghe di un gesto, in uno sguardo che non ha bisogno di parole. Nata negli Stati Uniti nel 1961, cresciuta tra l’Emilia-Romagna e Zurigo, Monika attraversa la vita come attraversa la tela: con delicatezza e fermezza insieme. Da bambina respirava arte senza saperlo, accanto alla nonna che le insegnava la pazienza dei pennelli, e a un padre che le ha trasmesso il disegno come dono naturale. Poi la vita ha preso altre strade: studi, lavoro, famiglia. Eppure, la spinta a creare non l’ha mai abbandonata. Solo una decina d’anni fa ha risposto davvero a quella voce interiore. Ha ricominciato da sé, in un tempo maturo, guidata da una Maestra e da un cerchio di donne. Da allora non ha più smesso. Oggi Monika dipinge con intensità e ascolto. Usa l’olio su tela o carta telata, spesso a secco, creando superfici vive, materiche, che sembrano trattenere il respiro. Alterna colore e monocromo, ma è nel ritratto che trova la sua voce più intima: umani, animali, presenze che raccontano molto più del visibile. Ogni opera è un incontro. Ogni volto, un paesaggio interiore. La sua pittura non cerca l’effetto, ma la verità. Una verità sottile, fragile e potentissima. Monika ha esposto in diverse mostre collettive e concorsi, ma è nel processo, nel fare, che trova il suo centro. Per lei l’arte non è una professione. È un ritorno. Una firma, quella che appone sulle sue tele, che più che un nome è un gesto: un segno di presenza, un atto di memoria, una piccola promessa fatta all’anima.

Cos’è per te l’arte?

È qualsiasi forma di creazione o espressione che nasce da dentro, attraverso l’abilità, l’emozione e la passione. È un modo per comunicare senza parole, per restituire al mondo qualcosa di vero, che mi appartiene.

Quando dipingi un volto, cosa cerchi davvero di cogliere?

Cerco lo stato d’animo della persona, qualcosa che si nasconde dietro lo sguardo. Mi lascio guidare anche dai segni particolari del viso: sono dettagli che raccontano chi siamo, anche in silenzio.

C’è un momento preciso in cui senti che un’opera è “finita”?

Difficilmente. È quasi una mania: trovo sempre nuove sfumature, piccoli ritocchi, correzioni da fare. Ogni volta penso di aver finito, ma l’opera continua a chiamarmi. Forse non si finisce mai davvero.

Che ruolo ha il silenzio nel tuo processo creativo?

Più che silenzio, nel mio studio c’è la musica. Mentre dipingo ascolto brani che mi accompagnano e danno ritmo alle pennellate. È una danza tra gesto e suono che mi aiuta a entrare nel flusso.

Cosa succede dentro di te quando stendi il colore a secco sulla tela?

È un gesto istintivo, quasi fisico. Sento la materia sotto le dita, sento che il colore ha già una direzione prima ancora che io lo sappia. È lì che il pensiero si spegne e rimane solo il fare, puro, sincero.

I tuoi ritratti sembrano portare un senso di memoria: c’è sempre una storia dietro?

Non sempre c’è una storia vera e propria. Più che narrazione, c’è un momento, una posa che mi colpisce. Qualcosa che vibra e chiede di essere fermato nel tempo.

Qual è il gesto che più ti somiglia mentre dipingi?

Le infinite, piccole pennellate che dedico ai dettagli più minuti. Quel lavoro meticoloso, quasi paziente, mi rispecchia profondamente. È lì che metto tutta la mia attenzione e cura.

Hai mai distrutto un lavoro finito? Se sì, perché?

No, non mi è mai capitato. Anche le opere che sento più lontane da me le considero parte del mio percorso: ogni lavoro ha avuto un senso nel momento in cui l’ho creato.

Come scegli i soggetti che ritrarrai? Ti scelgono loro?

Entrambe le cose. A volte sono io a cercare, attratta da un colore, uno sguardo, una composizione. Altre volte è il soggetto che mi “chiama” e so che devo dipingerlo. C’è sempre un richiamo reciproco.

Cosa ti sorprende ancora della pittura dopo tutti questi anni?

La trasformazione. Vedere come da una tela bianca, vuota, nasce qualcosa di completamente nuovo. Ogni opera è un inizio, un mistero che prende forma sotto i miei occhi.

Se potessi parlare alla Monika bambina che dipingeva con la nonna, cosa le diresti oggi?

Le direi: “Fai la scuola d’arte, segui quella passione e trasformala nel tuo lavoro.” Quella felicità pura che provavi da bambina davanti ai colori… è ancora la tua verità più grande.

Descriviti in tre colori.

Mi vedo gialla per il mio carattere positivo e solare. Forse anche blu per la mia parte profonda e riflessiva. E un tocco di rosso, per la passione che metto in tutto ciò che faccio.

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