PAULA M. RUFAT

PAULA M. RUFAT

Paula è un’artista multidisciplinare che si distingue per la versatilità e la sensibilità con cui esplora diverse forme espressive. Laureata in Belle Arti e design grafico creativo, combina tecniche tradizionali come il disegno e la pittura classica con strumenti digitali, dando vita a opere originali e ricche di sfumature. Nel corso della sua carriera ha realizzato illustrazioni, copertine di libri e dischi, e manifesti per festival cinematografici in città come Siviglia, Valencia e in vari contesti dell’America Latina. Ogni progetto riflette una cura estetica attenta e uno stile contemporaneo ben riconoscibile. Tra i traguardi più significativi figura la collaborazione con la serie “The Walking Dead”, per la quale ha illustrato i figurini di costume della terza stagione di “Daryl Dixon – The Book of Carol”, in uscita nel 2025. Un’esperienza che mette in luce la sua capacità di coniugare immaginario visivo e narrazione. Le opere presentate su Artcast mostrano un lato più intimo della sua produzione, in cui si ritrova appieno il suo linguaggio visivo distintivo. Paula lavora con autenticità e spontaneità, invitando lo spettatore a immergersi in un universo creativo tanto personale quanto universale.

Che cos’è per te l’arte?

L’arte è l’insieme di molte cose. È espressione. È il riflesso della somma delle emozioni che raccontano ciò che accade nel mondo, ciò che mi circonda. È un rifugio dove non devi chiedere il permesso per essere né dare spiegazioni. È curativa e molte volte silenziata dalla società.

Quando un’opera si sente davvero conclusa?

Col tempo ho imparato a dire “basta”. L’opera mi chiede e mi parla sempre, per questo quasi mai la sento come finita. Gli anni mi hanno insegnato a capire che un’opera viene maltrattata se la si forza troppo.

Come cambia il tuo approccio creativo quando lavori su commissione rispetto a un progetto personale?

Il mio approccio creativo si guida sempre dall’emozione e dal coinvolgimento sensitivo e professionale. Quando si tratta di una commissione cerco di affrontarla come se fosse un lavoro personale, con la differenza che è il cliente a segnare il cammino. Cerco sempre di empatizzare e mettermi nei suoi panni. Quando è un progetto personale, invece, è l’opera che mi parla, e spesso è faticoso perché detta anche i suoi tempi e cambia con molta esigenza.

Come influisce la fusione di tecniche tradizionali e digitali nel tuo linguaggio visivo?

Fondere entrambe le tecniche è stato un modo per non allontanarmi dall’artigianale. Qualcosa che si sta perdendo e a cui credo venga dato moltissimo valore. Ha vantaggi e svantaggi come tutto, visto che la tecnica digitale mi permette di consegnare idee senza sprecare materiali. Oggi il digitale è molto protagonista nelle mie creazioni, ma scansiono sempre texture, tratti, tipografie… per non perdere di vista l’importanza del “fare con le mani e sporcarmi di pittura”. Ultimamente mi piace usare tecniche di stampa per poi digitalizzarle successivamente.

Che tipo di atmosfera cerchi di evocare nelle tue illustrazioni più intime?

Un’atmosfera sincera, trasparente, autentica. Non seguo una regola, ma rispetto molto i miei valori. Deve essere in sintonia con me stessa. Cambia, come me, con il passare del tempo. Come la vita stessa.

Qual è stata la sfida più stimolante nel collaborare con The Walking Dead?

Lavorare seguendo le indicazioni della supervisora del design dei costumi, Irene Orts, è stato molto facile. È una grande persona e professionista. Si prende molta cura del suo team. Lei progettava le idee e io le rappresentavo secondo le sue istruzioni. In realtà la sfida più stimolante era rispettare i tempi di consegna. Tutto serviva il prima possibile e bisognava rispettare le scadenze. “Avevamo sempre il cronometro alle calcagna”.

C’è un tema o un’immagine ricorrente che appare spesso nella tua opera?

Il tema più ricorrente è la quotidianità, le piccole cose, l’impotenza di fronte alle ingiustizie e il valore dei diritti umani. La sensibilità.

Quanto influisce la musica o l’ambiente in cui lavori nel processo creativo?

La musica si fonde sempre con il lato creativo. Sento la sinestesia! È quasi come illustrare un libro, ma attraverso i suoni e le emozioni che evoca ogni nota. Devo dire che è stata anche una via di fuga. A volte compongo con l’unico intento di esprimere ciò che non riesco a raggiungere col disegno. Le mie canzoni stanno in un baule intimo e personale.

Ti è mai capitato che un’opera cambiasse completamente direzione rispetto all’idea iniziale?

L’opera che cambia è quasi la mia compagna. Col tempo ho imparato a lasciare che ogni opera possa essere e rispettare il punto di partenza.

Come immagini il futuro della tua ricerca artistica nei prossimi anni?

Sono una persona molto curiosa. Indago ogni giorno, dentro e fuori di me. Mi piace illustrare manifesti, cinema, musica, libri. L’unica cosa certa è che nei prossimi anni continuerò a creare e non smetterò mai di imparare. Continuerò ad avere inquietudini, che a volte sono fin troppe.

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