Antonio è uno chef napoletano con una solida esperienza nel panorama gastronomico italiano, specializzato in cucina gourmet e tecniche contemporanee. La sua formazione nasce all’Istituto Alberghiero “Ancel Keys” di Castelnuovo del Cilento e si arricchisce con un percorso professionale variegato, che spazia da ristoranti di alto livello a realtà internazionali come la US Navy NATO. Fin dai primi anni, dimostra una naturale inclinazione per la cucina, perfezionando le proprie competenze in contesti che vanno dalla cucina italiana tradizionale a quella orientale e fusion. La sua carriera si distingue per una padronanza avanzata delle tecniche moderne, come la cottura sottovuoto, l’utilizzo del Pacojet, le affumicature, i sifoni e le tecnologie a bassa temperatura. Tra le esperienze più significative, spiccano il ruolo di capopartita agli entrée presso Aria di Paolo Barrale, dove ha affinato tecniche complesse e creative, e l’attività in contesti fine dining come Grangusto – Whinehouse e il ristorante stellato The President di Paolo Gramaglia. Ha lavorato anche nel campo della cucina orientale calda e del sushi presso Umami/Pokera, dove ha seguito anche aspetti gestionali e amministrativi. Ha collaborato con chef del calibro di Francesco Franzese e Raffaele Galasso durante uno stage al Rear di Nola, unendo l’approccio bistrot alla cucina gourmet, e ha consolidato le sue competenze nella cucina giapponese con esperienze presso Giappo e La Voce del Mare. Un passaggio importante della sua carriera è stato al Ristorante Labelon di Bacoli, dove ha lavorato come Chef de Partie e supervisore delle linee di cucina, dimostrando versatilità e capacità di coordinamento. Ha inoltre maturato una vasta esperienza in strutture come Suns Royal Park, Lido La Torre, SiciliaInBocca e Villa Vittoria, occupandosi dell’intera linea, dagli antipasti ai primi piatti, fino alla gestione degli ordini. Durante il periodo trascorso con la US Navy NATO, tra il 2013 e il 2016, ha operato in un contesto internazionale che ha messo alla prova le sue doti organizzative, relazionali e linguistiche. Professionista dinamico, curioso e aperto alla sperimentazione, Antonio Pellegrino unisce competenza tecnica e passione per l’innovazione, dando vita a piatti in cui si fondono tradizione, ricerca e rispetto per la materia prima.
In che modo la tua esperienza internazionale con la US Navy NATO ha influenzato il tuo approccio in cucina?
La mia esperienza internazionale con la NATO mi ha aiutato, in primis, nella comunicazione. Ormai la cucina è soprattutto comunicazione. Spesso ci si trova in contesti internazionali, e superare quella barriera rende tutto più semplice, anche cucinare.
Come riesci a bilanciare l’innovazione tecnica con il rispetto per la tradizione gastronomica italiana?
L’innovazione sì, mi piace. Mi piace molto combinare sapori, creare piatti nuovi e innovativi, ma trascinando con me la tradizione. Perché i sapori, quelli veri, non cambiano mai. La tradizione, per me, non deve essere mai stravolta: può cambiare nel design, nelle consistenze, nella geometria, ma il piatto deve rimanere sempre quello di una volta.
Qual è stato il contesto più stimolante tra quelli in cui hai lavorato e perché?
Mhà… più stimolante? Aria di Paolo Barrale. Perché mi ha fatto capire davvero la cucina gourmet. Ma lo ha fatto in una maniera unica: mi ha fatto entrare letteralmente nel piatto, a cercare gli elementi uno ad uno.
Quando crei un piatto, parti più dall’idea, dalla tecnica o dall’ingrediente?
Dipende! A volte parto da una tecnica che voglio usare, e da lì nasce un piatto. Ma preferisco partire dall’ingrediente: osservarlo, ascoltarlo, e poi contestualizzarlo nel luogo, nel momento, nel piatto giusto.
Come affronti il lavoro in brigata e quali sono, secondo te, le qualità fondamentali per guidare una squadra in cucina?
Ultimamente mi sono trovato in una situazione che mi ha fatto pensare tanto, ma anche crescere. Guidare una brigata già formata, da nuovo arrivato, non è semplice. Ma ho capito che bisogna farsi ascoltare, non perché si ama comandare, ma perché quella posizione te l’hanno affidata per esigenza. Serve polso fermo, ma anche umiltà. Saper fare le linee, saper gestire, ma soprattutto farsi rispettare in maniera corretta.
In un mondo gastronomico in continua evoluzione, cosa consideri davvero “contemporaneo” oggi?
Il contemporaneo? Oggi non considero tanto le tecniche, perché alcune sono nuove per qualcuno, ma per altri sono anni ’90. Per me, il contemporaneo è la combinazione degli elementi: quando insieme creano un buon suono, un’armonia sul palato. È lì che nasce un piatto nuovo, da elementi nuovi… ben combinati.
Che ruolo ha la sperimentazione nella tua cucina quotidiana e come scegli le tecniche da approfondire?
Ci sono momenti e momenti per fare certe cose. Non mi sono mai lanciato a fare tutto da solo, né mi sono mai “sentito chef” prima del tempo. Mi hanno chiamato a dirigere una cucina, e prima di accettare ho parlato con il proprietario: ha creduto in me. E questa fiducia ha messo in luce qualcosa che non sapevo di avere. Il mio segreto? Studiare, sempre. Non smettere mai. Crescere. E avere l’umiltà, che oggi è sempre più difficile trovare.
Se dovessi raccontare te stesso con un piatto, quale sarebbe e cosa direbbe di te?
Sono un ragù napoletano. Perché? Umile, come gli ingredienti semplici ma profondi del ragù — tagli di carne povera, cipolla, passata lenta. Di famiglia, come le domeniche attorno al tavolo. Chef, perché il ragù richiede tecnica, pazienza e rispetto dei tempi. Simpatico e affabile, perché non fa mai scena, ma mette tutti d’accordo. Fa sorridere. Consola. Sono napoletano: perché come il ragù, sono nato lì, con la musica in sottofondo e il cucchiaio che “gira e canta”. Sono un piatto che profuma di casa, che unisce senza urlare. Un classico che non ha bisogno di dimostrare nulla, ma che lascia sempre il segno.



