Alberto è un attore veneto, classe 1997. Dopo essersi diplomato all’Accademia del Teatro Stabile del Veneto nel 2020, ha mosso i primi passi nel mondo teatrale tra Padova e Venezia, partecipando a diverse produzioni, tra cui Trittico Dantesco diretto da Fabrizio Arcuri, una delle esperienze a lui più care. In seguito si è trasferito a Roma, dove ha trovato rappresentanza e ha iniziato a lavorare nel settore audiovisivo. Tra i progetti più significativi figura Mike, film prodotto da Rai e presentato alla Festa del Cinema di Roma, occasione in cui ha calcato il suo primo red carpet. Ha poi preso parte alla seconda stagione della serie internazionale The Empress, distribuita da Netflix e girata tra Germania e Repubblica Ceca, nel ruolo del rivoluzionario italiano Adolfo Tadini. Nel dicembre 2024 ha concluso le riprese da co-protagonista di un film italo-americano, tratto da una storia vera, girato tra Iowa e Veneto, in cui interpreta un brigatista coinvolto nel sequestro di un generale statunitense negli anni ’80. Ha inoltre preso parte a due cortometraggi internazionali, tra cui uno in inglese diretto da Nico Novek, nel quale veste i panni del poeta Pietro Bembo in una storia su Lucrezia Borgia. Appassionato di natura e cammini, Alberto ha percorso diversi trekking in Italia, sulle isole Canarie, in Irlanda, in Scozia e lungo il Cammino di Santiago. Ama la musica e suona chitarra e armonica a bocca, esibendosi spesso per le strade di Roma, Dublino e altre città. Tra i suoi artisti preferiti ci sono Bruce Springsteen, gli U2, Glen Hansard e Brunori Sas. Profondamente attratto dalla fragilità umana, che considera elemento fondamentale per fare arte, trova ispirazione nella natura, nella montagna, nell’ascolto, nella meditazione e nella mindfulness. Ama il coraggio, anche quello di partire nonostante l’ansia, e cerca ogni giorno di lasciarsi sorprendere dalle emozioni. Sportivo e curioso, è tifoso del Milan, gioca a ping pong e tennis, adora i rumori bianchi – come quello del phon o della lavatrice – e gira spesso in bici per le strade di Roma. Capricorno per segno e per spirito, ama il controllo ma ancora di più la meraviglia che nasce dall’imprevisto.
Cos’è per te l’arte?
L’arte, per me, è un tentativo di stare al mondo, di dare un senso alle cose. Mi ci sono avvicinato come un modo per liberarmi da ciò che avevo dentro, per trasformarlo, per provare a stare bene. È stato, e continua a essere, un modo per salvarmi. Attraverso l’arte posso aprirmi all’immaginazione, creare mondi che erano già dentro di me, ma che non conoscevo. Mi sorprende ogni volta: mi fa sentire vivo, mi dà gioia. Penso sia una forma profondamente umana di espressione, un lasciarsi andare alla propria verità. La passione per la recitazione, in particolare, non so esattamente quando sia nata. Ricordo che da bambino invitavo amici a casa e inventavo storie con marionette giocattolo. Io davo loro voce, nascosto sotto il letto. Ricordo le risate, il divertimento, la condivisione. I pomeriggi passati a creare storie con pupazzi o giocattoli, i primi personaggi interpretati nel teatro parrocchiale con mio fratello e tante belle persone. Alcune di loro oggi non ci sono più, ma ci tengo a salutarle: anche inconsapevolmente, mi hanno avvicinato a quella che è diventata la mia passione.
Che emozioni ti danno il teatro e il cinema?
Teatro e cinema fanno ormai parte della mia quotidianità. Ho scoperto prima il teatro, diplomandomi all’Accademia d’Arte Drammatica del Teatro Stabile del Veneto. Sono stati tre anni intensi: all’inizio con il maestro Alberto Terrani – esigente e recentemente scomparso – e poi con altri insegnanti e metodi differenti. Ricordo in particolare Karina Arutyunyan: persona splendida e maestra rigorosa. È stata lei a introdurmi a Stanislavskij, Strasberg e Meisner, e a farmi scoprire la verità in scena. Durante gli studi ho compreso anche la potenza del cinema. Un workshop con Ivan Alovisio mi ha aperto gli occhi: mi disse che continuavo a stare “fuori da me”, a recitare con una maschera. Quelle parole mi hanno fatto riflettere sul perché recito: per liberarmi, per salvare qualcosa, per reagire autenticamente. È stato un graduale innamoramento: della libertà che puoi avere in scena, della verità che puoi esplorare. Oggi sento che il video e il cinema sono ciò che mi emoziona di più. Ma il lavoro di ricerca interiore, di immaginazione e osservazione dell’altro vale per entrambi. Continuo a formarmi, partecipando a workshop in Italia e all’estero, approfondendo tecniche come Strasberg, Chubbuck, Meisner. Allenarsi alla verità e all’immaginazione è fondamentale.
“Trittico Dantesco” è stato uno dei tuoi progetti più belli: cosa ti ha lasciato?
È stato il mio primo lavoro dopo l’Accademia. Ricordo la gioia del provino superato, in un periodo complicato a causa del Covid. Le prove con la mascherina, i teatri semivuoti ma comunque pieni di energia. “Trittico Dantesco” è durato circa sei mesi nel 2021 tra prove e repliche. I testi di Fabrizio Sinisi, Fausto Paravidino e Letizia Russo, uniti alla regia umana e sapiente di Fabrizio Arcuri, hanno reso il tutto speciale. Interpretare Dante in “Un Paradiso” è stata una sfida intensa: quel Dante contemporaneo, immerso in un mondo dominato dalle intelligenze artificiali, che cerca la sua Beatrice e il senso dell’amore autentico, mi ha costretto a scavare in me stesso. Ogni replica accresceva la mia consapevolezza. Ricordo con emozione l’ultimo abbraccio al pubblico, la malinconia di chiusura, e la gratitudine verso i compagni di viaggio.
In “The Empress 2” interpreti un rivoluzionario italiano. Cosa ti ha colpito del personaggio?
Adolfo Tadini è stato il mio primo grande ruolo audiovisivo e sono grato a chi mi ha dato questa possibilità: il mio agente Cristian Davì, il casting director Armando Pizzuti, i registi Barbara Ott e Max Erlenwein. “The Empress” è una serie importante, premiata con un Emmy. Ho girato tra Germania e Repubblica Ceca tra ottobre 2023 e gennaio 2024. Adolfo è un rivoluzionario del Regno Lombardo-Veneto, oppresso dall’Impero Austriaco. È stanco, arrabbiato, ma non violento. Lotta con la forza della fragilità, della verità umana. Lavorare sul personaggio mi ha portato a interrogarmi su cosa significhi libertà e rivoluzione per me. Mi sono immerso in ricerche storiche, ma anche in un viaggio interiore: per cosa avrei fatto io una rivoluzione? Ricordo l’ultimo giorno di riprese con commozione: ho capito quanto sia potente fare questo mestiere, anche se difficile. Lasciare qualcosa di autentico, creare comunità, restare connesso alla vita.
Nel film “Winter Harvest” interpreti un brigatista. Come ti sei preparato?
“Winter Harvest” è un progetto importante. Abbiamo girato tra Iowa e Veneto tra ottobre e dicembre 2024. Il film racconta il sequestro del generale americano Dozier da parte delle Brigate Rosse. Ho studiato molto: documentari, libri, articoli. Ma soprattutto ho cercato di capire le motivazioni del mio personaggio, Ruggero Volinia. Cosa lo ha spinto a unirsi alle BR? Cosa lo ha portato a cambiare strada? Il film parla di diritti umani, di cosa un uomo può o non può fare, dentro e fuori la legge. Anche qui, il concetto di rivoluzione è centrale. Ma lo è anche il rapporto con la sua compagna, decisivo nella sua evoluzione. È stata una delle esperienze più intense della mia vita, sia umanamente che artisticamente. La mia prima volta negli Stati Uniti, con una troupe meravigliosa. Porterò tutto questo sempre con me.
Suonare per strada ti capita spesso. Che cosa cambia rispetto a un palco?
Suonare per strada è una palestra di vita. Lo faccio spesso, tra un provino e l’altro.
L’ho fatto a Roma, Padova, Venezia, Dublino, Scozia… Mi piace mostrarmi per quello che sono, condividere davvero. Le persone sentono se sei presente o no. Se lo sei, si fermano. I bambini sono i primi a notarlo: basta un suono e si avvicinano. La loro purezza è qualcosa che cerco anche nell’arte.
Cammini, trekking, meditazione: come ti aiutano a restare centrato?
Oggi ho passato la giornata immerso nella natura. È un modo per riconnettermi alla mia luce. A volte temo di perderla, nella frenesia, nei social, nelle dipendenze. La natura, come la mindfulness, mi ricorda che la vita è più grande di tutto questo. Mi stupisco di un tramonto, di un’onda, di un respiro. Ricordo a me stesso che sono vivo. Camminare – come nei Cammini di Santiago, Scozia, Irlanda, Isole Canarie – mi aiuta a ritrovare la connessione con me stesso. L’empatia, poi, è la base: con gli altri, con il diverso. La fragilità è ciò che amo di più, perché ti libera dai filtri e ti fa amare sinceramente. Il mio lavoro è esposto al giudizio, ma empatia e meditazione aiutano a tornare al presente.
La bici per te è solo un mezzo o ha un significato speciale? Hai una playlist preferita?
Amo girare in bici. È ecologico e spesso l’unico modo per sopravvivere al traffico romano (ride). Mi aiuta a sistemare i pensieri. Ascolto spesso musica rock. Il mio idolo è Bruce Springsteen – l’ho visto dal vivo più di sette volte. Senza di lui, forse non avrei mai iniziato a suonare. Amo anche Glen Hansard, U2, Brunori Sas, Yann Tiersen, Morricone… E poi i rumori bianchi. Sì, mi culla il suono del phon o della lavatrice! (ride)
Cinema o teatro?
Cinema.
Il tuo sogno nel cassetto?
Continuare a fare film, serie o teatro, con ruoli sempre più grandi, in Italia e all’estero. Ma soprattutto restare connesso alla vita, crescere, essere grato. Scegliere ogni giorno la luce, come la lumaca di Sepúlveda: che scopre che il suo nuovo albero è dentro di lei. Piano piano, passo dopo passo.


