Daniela è una clarinettista di grande versatilità, attiva nel panorama musicale nazionale e internazionale. Si diploma in Clarinetto nel 2010 presso il Conservatorio “Nino Rota” di Monopoli e prosegue la sua formazione conseguendo, nel 2012, il Biennio Accademico di II Livello e i Master di I e II Livello in clarinetto basso. Durante questo percorso, svolge il tirocinio presso il prestigioso Teatro alla Scala, lavorando sotto la guida di maestri del calibro di Daniel Barenboim, Susanna Mälkki, Daniel Harding, Fabio Luisi e Riccardo Chailly. Membro dell’Ensemble da camera del XX secolo “Giorgio Bernasconi” dell’Accademia del Teatro alla Scala, si esibisce in numerosi concerti con repertori moderni e contemporanei diretta da Marco Angius, Renato Rivolta, Olivier Cuendet e Fabian Panisello, interpretando opere di compositori come Mahler, Webern, Kurtág, Donatoni, Debussy, Berio, Boulez e molti altri. Nel 2015 è solista al Teatro alla Scala con Mi Lirica Sombra per clarinetto basso ed ensemble di Alessandro Solbiati. Invitata al Festival Pontino e al Festival della Valle d’Itria di Martina Franca, si distingue in esecuzioni da solista in composizioni di Petrassi, Durieux, Donatoni, oltre a brani inediti di giovani compositori. Daniela incide per RAI Radio 3 Suite, partecipando a trasmissioni e registrazioni in diretta che includono brani di Azio Corghi e Riccardo Malipiero. Interpreta inoltre Histoire du Soldat di Stravinskij durante un corso di direzione d’orchestra al Conservatorio di Milano con Daniele Agiman. La sua attività spazia dalla musica classica al klezmer, dal jazz alla contemporanea. È attiva in formazioni da camera di vario tipo (trio, quartetto, duo), ed è compositrice di brani originali come Traqpola, Third Stop e Be’er Sheva, tutti pubblicati sulle piattaforme digitali. Nel 2020 pubblica anche un libro sulla didattica del clarinetto, edito da Salatino Edizioni. Nel 2023 è ospite come interprete al Festival UrtiCanti in seguito alla masterclass con Francesco Filidei. Ha insegnato presso il Conservatorio Tchaikovsky di Nocera Terinese, è risultata idonea al DM 180 del Conservatorio di Cuneo e attualmente è docente di Clarinetto a tempo indeterminato presso il Conservatorio di Reggio Calabria.
Il clarinetto basso ha un timbro molto particolare e affascinante. Cosa ti ha spinto a specializzarti proprio su questo strumento?
Dopo essermi specializzata col Clarinetto, sentivo la forte l’esigenza di continuare gli studi (non mi sentivo ancora pronta ad affrontare il “mondo musicale esterno”), ma sotto un’altra veste vedendo nel clarinetto basso quel qualcosa di diverso. Ne ho apprezzato fin da subito quel suono cavernoso e versatile, ancora oggi uno strumento che mi regala soddisfazioni diverse rispetto a quelle che posso vivere con il clarinetto sib o Clarinetto in la.
Hai lavorato con direttori d’orchestra del calibro di Daniel Barenboim e Riccardo Chailly. Qual è stato l’insegnamento più significativo che ti hanno lasciato?
Trascorrevo ore ed ore seduta su quelle poltrone rosse del Teatro alla Scala, circondata dal lusso, dalla musica perfetta e dalla bacchetta impeccabile. Ricordo la trilogia di Wagner sotto la guida del M° Barenboim, quelle partiture importanti e il suono di quell’orchestra. Nel periodo del mio tirocinio non era ancora il M° Chailly ad essere il direttore musicale, ma essendo spesso ospite ho potuto partecipare anche a delle sue prove. Ancora oggi ricordo su cosa si soffermasse il mio pensiero. Infatti mi chiedevo, ancora “piccola” e chiusa nel mio guscio musicale.
Com’è possibile che un’orchestra conosca così a fondo le due diverse bacchette?
Com’è possibile che un qualsiasi strumentista in quell’orchestra sapesse cambiare il proprio suono in relazione alla musica che si stesse suonando? Da Wagner a Mozart, da Beethoven a Rota. Credo che l’insegnamento più grande sia stato questo: l’interprete entra a capofitto nei pentagrammi e ne tira fuori ciò che non vi è espressamente scritto! Di questa mia consapevolezza mi è difficile darne il merito ai soli Direttori d’orchestra con cui ho fatto tirocinio, ma e’ stato tutto il contorno che si veniva a creare (sotto ogni tocco in battere) a darne insegnamento.
Nel tuo repertorio c’è molta musica contemporanea. Cosa trovi di stimolante nel confrontarti con compositori viventi e linguaggi moderni?
Ogni linguaggio porta con sé un’esperienza stimolante e nella musica contemporanea ho trovato cura nei dettagli e nella sperimentazione. Lavorare con partiture del ‘900 richiede competenze “diverse” rispetto alle partiture di oggi. Quando infatti mi chiedono di interpretare musiche di compositori di quest’epoca, mi si drizzano i capelli ma fa parte del gioco: spesso il compositore ascolta le prove, è lì vicino col fiato sul collo ed entra molto più nei dettagli rispetto a quanto scritto. Diciamo che è complesso riuscire ad accontentarli perché non saranno mai soddisfatti. D’altronde: noi siamo sempre soddisfatti delle cose che viviamo? Quindi capisco la loro posizione. Personalmente è molto più complesso gestire un compositore che non profila parola e che ascolta attento con la partitura in mano, rispetto ad un compositore che beve un bicchiere di vino mentre ti espone il suo pensiero musicale. Credo che lo stimolo stia in quello che riusciamo a trarne noi da ogni linguaggio, soprattutto quello sperimentale.
Componi anche brani originali. Come nasce l’ispirazione per scrivere musica tua e come vivi il passaggio da interprete a compositrice?
Mi sono cimentata nella composizione per necessità psicologiche: in un periodo molto complesso ma lungi da me firmarmi compositore. Non credo di avere di quelle competenze, ho cercato solo di scrivere qualcosa di bello, ma questo lo lascio dire agli altri. Mi sento interprete, non compositore, quindi continuo a rafforzare la mia conoscenza per chi mi ascolta durante un concerto o semplicemente durante una mia lezione.
Il tuo percorso accademico ti ha portato a insegnare in diversi conservatori. Cosa cerchi di trasmettere ai tuoi allievi, oltre alla tecnica?
La bellezza e l’accortezza nelle piccole cose e il fascino di ogni composizione. Non faccio distinzioni tra i vari livelli di studio dei miei studenti, cerco solo di proiettarli verso la bellezza della musica: come primordiale obiettivo, quindi, quello di riuscire a farsi trascinare dalla scrittura musicale. Ambizioso vero? Forse complesso ma tutto da vivere anche da questa parte.
Hai una carriera molto ricca tra esibizioni solistiche, ensemble, festival e incisioni. Qual è il progetto che più ti ha toccato o cambiato?
Ogni progetto è concatenato ad un altro, ogni progetto porta con sé un eco che risuona nel successivo seppur si parli di linguaggi diversi. Nel 2012 ebbi l’altra fortuna di suonare sotto la bacchetta del M° Fabio Luisi durante un festival importante. Ero alle prime esperienze operistiche importanti e devo dire che la sua bacchetta mi è stata molto d’insegnamento: forse è proprio questa esperienza che mi ha fatto guardare al futuro con una prospettiva diversa, una maturità nuova.
Nella tua esperienza hai attraversato generi musicali diversi, dal classico al klezmer, dal jazz alla contemporanea. Cosa hai imparato da questa contaminazione di linguaggi?
Ho imparato a vedere Bach in chiave Jazz e, suonando la musica Yiddish, ho ascoltato il grido delle genti cercando di interpretarne il dolore, la gioia di rivedersi e la convinzione che non sarebbero sopravvissuti, mentre per il linguaggio contemporaneo ho imparato ad analizzare le partiture e il pensiero compositivo. Ogni volta che interpreto, intraprendo un nuovo viaggio: ogni volta apprendo nuove forme di espressione.
Hai anche pubblicato un libro sulla didattica del clarinetto. Cosa pensi manchi oggi nella formazione dei giovani musicisti?
La consapevolezza, un metodo di studio e la cura nei dettagli: questo indipendentemente dal docente con cui si studi. Il mio libro vuole essere uno stimolo in più per i giovani clarinettisti in modo da essere costanti grazie alle nuove tecnologie, quindi con l’utilizzo del QR code che rimandi alla spiegazione della tecnica o ascolto dell’esercito. Quindi un mezzo che possa essere al passo con la società in un momento in cui lo smartphone ha il potere di rispondere a tutte le esigenze delle nuove generazioni. Il tutto accompagnato da scelte contenutistiche che mirino a piccoli/grandi obiettivi.
C’è qualcosa del tuo passato artistico che cambieresti?
Dalle mie molteplici cadute ne ho apprezzato sempre qualcosa, anche se maturare questa consapevolezza ha richiesto tanto tempo e ascolto delle emozioni. Quindi oggi non cambierei o cancellerei nulla del mio passato musicale.
Guardando al futuro, c’è un sogno o un progetto artistico che desideri ancora realizzare?
Si può essere mai pronti per Mozart? Un po’ come quando ci chiediamo se siamo pronti a diventare genitori. Un mio carissimo amico una volta mi disse che non siamo degni di suonare Mozart e non posso dargli torto, ma lo saremmo se lo suonassimo per il nostro animo. Ecco il mio progetto artistico ancora chiuso nel cassetto: il concerto più importante scritto per Clarinetto in la, il k622 di W. A. Mozart accompagnato dall’orchestra e da una bacchetta attenta (ho perso il conto delle volte in cui l’ho suonato nei concorsi con la riduzione del pianoforte).





