JOE PANSA

JOE PANSA. Artista, cantautore, fotografo e video maker. La mia pratica indaga i modi in cui possiamo comprendere meglio la nostra interiorità attraverso l’arte. Nello sviluppo delle mie visioni ed espressioni, creo la mia arte attraverso una varietà di forme che vanno dal realismo all’astratto, dal video alla fotografia e dalla scultura all’installazione per finire alla musica. Ho realizzato un prototipo di libro per non vedenti e ipovedenti e sono stato uno dei 20 artisti selezionati per Ramdom Default Masterclass in Residence sul tema: Arte, Città e Rigenerazione. Ho una laurea in Decorazione e un master in Arti Visive. Ho collaborato con enti pubblici e privati per la realizzazione di iniziative culturali e eventi di promozione sociale e mostre d’arte locali e internazionali. Le mie opere sono state esposte in diverse città europee e a New York collaborando con numerosi artisti italiani e stranieri. Ho partecipato a diversi workshop, residenze d’artista e di teatro sia in Italia che all’estero. Lavoro principalmente con oggetti e materiali diversi cercando di fonderli in nuove forme e nuovi contesti donandogli un nuovo significato. La mia produzione comprende principalmente dipinti, acquerelli, diverse serie di sculture. I miei primi lavori erano segnati da un mistico surrealismo su sfondi stellati dove risaltano elementi e simboli che fungono da intermediari tra i vari mondi possibili. In altri quadri invece ci sono suggestioni urbane, graffiti dal carattere pop che richiamano, quasi in contrasto con i primi, un immaginario attuale dai colori accesi. Nei dipinti ad olio, ho cercato di “congelare” i ritratti di bambine con una tecnica che, nonostante la sua estrema veridicità, attraverso il bianco e nero mette in risalto la malinconia che percorre questi volti. Poi le installazioni dal gusto ironico, assomigliano a delle rivisitazioni dadaiste ed ironizzano sulla banalizzazione della sessualità.

𝗖𝗼𝗺𝗲 𝗲’ 𝗰𝗼𝗺𝗶𝗻𝗰𝗶𝗮𝘁𝗼 𝗶𝗹 𝘁𝘂𝗼 𝗽𝗲𝗿𝗰𝗼𝗿𝘀𝗼 𝗮𝗿𝘁𝗶𝘀𝘁𝗶𝗰𝗼?
Il mio percorso artistico è nato dalla necessità di esplorare appieno le possibilità di sviluppo dell’interiorità umana attraverso l’arte, sviluppo che include nella sua visione più ampia, scienza e spiritualità applicate all’arte.

𝗖𝗵𝗲 𝘁𝗶𝗽𝗼 𝗱𝗶 𝗮𝗿𝘁𝗶𝘀𝘁𝗮 𝘁𝗶 𝗱𝗲𝗳𝗶𝗻𝗶𝘀𝗰𝗶?
Prima di arrivare ad una definizione della mia idea di artista è importante cominciare per il giusto ordine.
Non definiamo gli animali “esseri”, ma solamente animali e questo solo perché gli umani sono appunto esseri umani. Questo perché nell’uomo vi è la possibilità dell’essere mentre negli animali no. Ragionevolmente se si vuole essere artisti bisogna necessariamente preoccuparsi prima di essere umani. Purtroppo nella nostra società l’artista non viene affatto preso sul serio, come lo scienziato, per esempio. Eppure un vero artista racchiude in sé arte, scienza e spiritualità insieme, che sono pilastri fondamentali dell’essere. Le conseguenze nefaste di questo fattore strano sono appunto la mancanza di umanità e rispetto della vita assenti nell’invenzione e uso della tecnologia creata dagli scienziati, a cui manca in grossa percentuale, l’umanità. L’artista si occupa del meraviglioso, della sacralità della vita, della coscienza, delle interazioni dell’individuo, delle esigenze trascendenti dell’uomo, della ricettività e trasmissione dei valori universali e dell’essere e quindi dei concetti, delle esperienze e delle attività a questo relative. Diventa pertanto difficile per me definirmi artista o definirmi in senso generale poiché ogni definizione è in se stessa fuorviante e non esiste niente di definitivamente definibile nella realtà. La parola artista è forse la parola più male interpretata del pianeta. Io vedo l’artista in questo modo: un essere umano integro che si getta nell’oscurità ogni volta che ne ha l’occasione e torna indietro con qualcosa dell’altro mondo. Ci vorrà tempo anche per lui per capire ciò di cui è portatore. Ma è questo il suo lavoro. Non vi è nulla di concettuale dietro. E questo perché l’arte, come la vita, è dialettica. Un’altro aspetto importante per me, preso molto poco in considerazione è il fatto che l’arte non può mai essere il frutto dell’intelletto poiché non vi è nessuna connessione tra una creazione e il pensiero. Il pensiero per sua stessa definizione è non abile a creare poiché è solamente formato da memoria. Questo è il principale motivo per cui trovo gran parte dell’arte contemporanea infantile e puerile. Come diceva Magritte: “Uno studioso al microscopio vede molto più di noi. Ma c’è un momento, un punto, in cui anch’egli deve fermarsi. Ebbene, è a quel punto che per me comincia la poesia”.

𝗖𝗼𝗺𝗲 𝗻𝗮𝘀𝗰𝗲 𝘂𝗻𝗮 𝘁𝘂𝗮 𝗼𝗽𝗲𝗿𝗮?
Possiamo dire che ogni opera ha una sua propria caratteristica di genesi. Un’opera d’arte nasce solamente nell’assenza di sé. In realtà la nascita è ignota. L’artista non è né il padre né la madre delle sue opere. Sarebbe ingenuo prendersi meriti di cui non si ha proprio nessun diritto. L’arte accade, non si fa. Il fare dell’arte è in relazione alla possibilità che l’arte accada in noi. Il fare ne è l’ovvia conseguenza. Siamo simili ad antenne. A volte abbiamo il privilegio di vedere cose che riusciamo a portare in questa realtà materializzandole appunto. Ma da dove vengono, a chi sono figlie e dove nascono, se si vuole essere onesti fino in fondo, non lo sappiamo. Riusciamo a malapena, nella nostra cultura, a percepire che hanno un valore.
E la percezione di questo valore va pian piano scomparendo nella maggioranza. Tuttavia, nella mia esperienza, posso dire che le mie opere nascono attraverso di me però non so dire da dove provengano. È mentre creo che scopro la mia opera. È inevitabilmente una sorpresa anche per me. Non vi è alcuno studio preparatorio, nessun concetto. Solamente un’apertura affinché l’arte, ovvero l’ospite, venga a farci visita.

𝗘 𝗹’𝗶𝘀𝗽𝗶𝗿𝗮𝘇𝗶𝗼𝗻𝗲 𝗱𝗮 𝗱𝗼𝘃𝗲 𝗮𝗿𝗿𝗶𝘃𝗮?
Quanto più una persona è viva e si sente viva, tanto più è ispirata. Potrebbe suonare strano ai più, soprattutto in Occidente, ma un’ispirazione costante può essere creata solo attraverso una gioia di vivere costante. Un’ispirazione genuina, costruttiva e non reattiva. Vi un’altra cosa che molti scambiano per ispirazione, che può essere anche molto, molto produttiva, nel senso materiale del termine, e che è dettata dal disagio interiore, dallo sfogo reattivo del proprio malessere e dalla proiezione di questo disagio nel mondo esteriore e che non ha alcun valore artistico, ma solo catartico. L’arte contemporanea è zeppa di questi sfoghi scambiati per arte e, oggi come non mai, bisognerebbe cominciare a fare distinzioni.

𝗛𝗮𝗶 𝗱𝗲𝗶 𝗽𝗿𝗼𝗴𝗲𝘁𝘁𝗶 𝗳𝘂𝘁𝘂𝗿𝗶?
Assolutamente. Ma tutti bene ancorati nel presente. Ho da poco realizzato tre serie di ceramiche che mi piacerebbe esporre e un reportage fotografico a lungo termine sulla città di Bari che fa parte di un reportage più ampio che coinvolge tre città del sud, Bari, Napoli e Palermo e che è tutt’ora in fase di produzione.

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