Nadia è un’artista nata a Cosenza nel 1994. Ha passato una vita chinata sui fogli a disegnare, appassionata di storia dell’arte e divoratrice di immagini che esplorano la pittura, il design, il fumetto e i videogiochi. Si è laureata nel 2020 presso l’Accademia di Belle arti di Napoli, indirizzo Pittura. Nel 2023 ha concluso il suo percorso di studi alla scuola italiana di Comix e tuttora studia UI design per esplorare questo nuovo mondo e chiudere un cerchio nel Visual. Ha mosso i primi passi nell’underground campano, dove ha trascorso gli anni della formazione tra fiere indipendenti, percorsi accademici canonici, collettivi e cooperative sociali che si occupavano di persone con disagio mentale. Nel tempo ha collaborato a diversi progetti editoriali come illustratrice e cover book artist, ottenendo pubblicazioni che spaziano dalla letteratura per l’infanzia, al racconto dell’orrore, fino a concept visivi per il design d’arredo. La sua ricerca si è poi estesa al mondo ludico, con esperienze presso startup dedicate ai platform game e collaborazioni con il cinema indipendente calabrese. Le influenze artistiche e le esperienze vissute sono state molteplici ognuna intimamente connessa con l’altra. In un’epoca che tende a incasellare, separare e specializzare, crede che la vera evoluzione dell’anima e non solo artistica, nasca dall’intreccio di percorsi diversi e dall’incontro di linguaggi visivi nuovi e molteplici.
Cos’è per te l’arte?
Ho tenuto questa domanda per ultima poiché ritengo sia la più difficile a cui rispondere; su cosa sia effettivamente l’arte è un dibattito aperto da sempre. Tolstoj ha scritto il libro “Che cos’è l’arte?” spiegando il bello, l’estetica, la reazione che l’arte deve necessariamente suscitare per potersi definire tale in quanto emozione. Spesso si associa l’arte al bello, ma credo che Umberto Eco con la “Storia della bruttezza” abbia ampiamente dimostrato come l’arte può essere brutta, grottesca e perturbante. Personalmente so che l’arte è un amore viscerale, il mio porto sicuro ma anche una condanna. L’arte è qualcosa che anticipa la parola e il razionale. Entra in una sfera intima di sentimento e sfocia nella “follia”: irrazionale e spirituale. Dovrebbe a mio parere, far porre domande e svelare dimensioni sconosciute e indefinite al conscio.
Qual è stato il primo momento in cui hai capito che il disegno sarebbe stato parte integrante della tua vita?
Credo che il primo momento sia stato quando ero molto piccola, non ho un reale ricordo, ma posso ricostruirlo attraverso le storie di mia madre: ero spesso irrequieta e facevo molti capricci quando si trattava di mangiare. Per cercare qualche diversivo, i miei genitori mi misero una matita in mano e come risultato ottennero le pareti della casa interamente decorate di prati e fiori. Successivamente mi regalarono un banchetto della Chicco per disegnare comodamente senza imbrattare mobili e abitazioni. Non ho più staccato la matita dal foglio da quel momento. Non saprei dire cosa avessi compreso esattamente, ma qualcosa, in fondo, l’avevo capita
Come convivono nella tua pratica le influenze del fumetto, del design e dei videogiochi?
In maniera molto pacifica: a seconda dell’opera che devo realizzare so dove cercare ispirazioni. So che Egon Schiele appartiene alla pittura e Sergio Toppi al fumetto, ed entrambi hanno contribuito ad influenzare il mio lavoro. Il videogioco di Elden Ring e gli elementi decorativi di Klimt hanno contribuito alla creazione di alcuni miei Character Design. Per citare esempi più autorevoli: i tratti della strega Grimilde di Biancaneve della Walt Disney sono ispirati ai tratti della Uta di Ballenstedt nel duomo di Naumburg appartenente al gotico tedesco. L’Art Deco è stata ispirazione per differenti background nella serie di Arcane di Riot Games e Fortiche Production. L’influenza reciproca tra le cose è inevitabile, modellata dalla cultura visiva che ognuno decide di coltivare.
In che modo l’esperienza con cooperative sociali ha inciso sul tuo modo di vedere e raccontare il mondo attraverso l’arte?
Credo che abbia smussato alcune credenze molto rigide date inevitabilmente dall’impostazione scolastica dell’arte. Il metodo accademico da un lato mira al perfezionamento basato sul reale, dall’altro fallisce miseramente di fronte a dinamiche più umane e spesso drammatiche, che non richiedono un perfezionamento tecnico, ma il bisogno di esprimersi e di mostrarsi. Del romanticismo artistico la fragilità umana se ne fa ben poco e spesso il disegno ha rappresentato una porzione di realtà non detta e non vista di individui messi al margine. Ha svelato e raccontato ciò che spesso viene taciuto o non compreso.
Come si sviluppa il tuo processo creativo quando passi da un progetto editoriale a uno per il mondo ludico o cinematografico?
Sicuramente è abbastanza “sofferto” ma dipende dal progetto a cui sto lavorando. Il processo in generale è sempre lo stesso: guardare molto, sviscerare quello che maggiormente mi colpisce e provare e riprovare fino a quando quello che vedo non mi appaga. Spesso riguardo vecchi lavori e provo a interpretarli nuovamente, o prendo spunto in assenza di idee convincenti. Mi aiuta molto scarabocchiare anatomie scarne per sciogliere la mano o disegnare ad occhi chiusi per estrapolare qualche forma interessante, rendendola riconoscibile in un secondo momento.
Che significato ha per te il concetto di “intreccio di percorsi” e come lo traduci visivamente nelle tue opere?
L’intreccio di percorsi è, in realtà, una grande fonte di ispirazione. Spesso viene frainteso come segno di indecisione, come se non presentandosi in modo “unico” significasse mancare di direzione. Eppure, la storia dell’arte e della cultura è piena di figure che hanno abbracciato più ambiti con naturalezza e coerenza: Leonardo da Vinci era scienziato, pittore, geologo, disegnatore e progettista; Michelangelo, pittore e scultore; Vasari, storico dell’arte e pittore; Dalì, un eccentrico che spaziava dalla pittura alla scrittura, fino al cinema. I tempi cambiano, è vero, ma anche oggi esistono figure simili: Patti Smith, cantante e poetessa; Lorenzo Mattotti, illustratore e regista — e molti altri ancora.
Nelle mie opere, almeno nei progetti personali, si traduce semplicemente in una domanda: quanto mi appaga il mezzo o la tecnica scelta rispetto a ciò che voglio esprimere?
Alcune idee, più colorate e oniriche, trovano il loro spazio naturale nell’illustrazione. Altre volte, scaricare le ansie genera mostri orribili perfetti per la Concept Art.
Perché dunque privarmi di queste infinite possibilità? Qual è l’aspetto più stimolante – e quello più complesso – nel lavorare all’incrocio tra arte, tecnologia e narrazione?
Senza dubbio, l’aspetto più stimolante è la conoscenza. Normalmente l’arte ha la straordinaria capacità di insegnare moltissimo. Lavorare con strumenti, processi e sfide sempre diversi stimola la mente e accresce costantemente il proprio bagaglio culturale. Per fare un esempio pratico, mi è capitato di dover studiare visivamente la meccanica di un treno per sviluppare un Concept, oppure di approfondire l’abbigliamento e l’arte orafa medievale per creare un Character Design in stile fantasy. In questi casi, la ricerca si estende a diversi ambiti: cinema, videogiochi, storia dell’arte, ecc..
E’ inevitabile: più ti addentri nella ricerca per raggiungere un risultato, più impari. Scopri, ad esempio, tecniche di illuminazione usate nel cinema e cerchi il modo di adattarle a un’illustrazione. La parte più complessa rimane sempre la narrazione: interpretare correttamente una richiesta e adattarla con coerenza è una sfida costante.
C’è un progetto che senti abbia rappresentato una svolta nel tuo cammino artistico?
Uno in particolare che ancora non ha visto la luce ma spero possa venire presto a galla. Credo rappresenti la parte più intima del mio percorso, esclude completamente la tecnica, la commercializzazione e le conoscenze acquisite. Puramente liberatorio. Si tratta di 12 illustrazioni in formato A3, in bianco e nero, create in analogico mediante il puntinato. Nato in un momento abbastanza forte della mia vita a Napoli: da un lato profondamente stimolante dal punto di vista di esplorazione artistica, dall’altro però, ero appena uscita da situazioni particolarmente tossiche e violente. Mi sembrava inoltre, di non riuscire a trovare la mia dimensione e l’affitto bussava alla porte. Ricordo che i disegni fluirono di getto: volti deformati, anatomie sbagliate, chiaro scuro fitto in alcuni punti e completamente assente in altri. Forme che nel tempo hanno iniziato a sintetizzarsi in composizioni più astratte e spirituali. Ho sentito un legame molto profondo con l’arte e mi ha dato la possibilità di raccontare e crescere, ma soprattutto di attuare un processo di guarigione.
Descriviti in tre colori.
Giallo, Rosso e Nero.







