PIERPAOLO MICCOLIS

PIERPAOLO MICCOLIS, (Alberobello, 1985) vive e opera in Puglia. La sua formazione artistica, prima come fashion designer, poi proseguita presso l’Accademia di Belle Arti di Bari prima in pittura e poi in decorazione, lo porta a creare con differenti linguaggi e media. Nelle sue opere ricorre all’installazione e alla fotografia, utilizza prevalentemente le tecniche pittoriche, specie l’acquerello, realizzando opere in ampi cicli tematici con una ricerca su fattori ambientali, botanici, etologici e metamorfici. I suoi soggetti, resi attraverso una concezione del corpo ironica e perturbante, assumono talvolta grandi formati producendo, tra ossessione e vanità, operazioni installative. Le più recenti sperimentazioni sono un’indagine antropologica sui riti esoterici praticati nel Mezzogiorno, evidenziando il carattere universale della superstizione e della magia. Esperto di tarocchi e di altre discipline esoteriche come lo spiritismo e lo sciamanesimo, aspetto che traspare in molte delle sue opere. Protagonista dell’edizione 2019 di Booming Contemporary art show e nel 2018 di SETUP Contemporary Art Fair di Bologna, ha partecipato a numerose collettive e personali in gallerie e musei in Italia e all’estero; i suoi lavori figurano in rinomate collezioni pubbliche e private, tra cui la Fondazione Museo Pino Pascali e il Museo Benaki di Atene. Tra le mostre più rilevanti:”Chaos ‘22”, Chiostro delle Clarisse, 2022; “Alberobello contemporary Art”, 2022; “RAP-Rubino Art Project”, Palazzo Granafei Nervegna; “Combat Prize XXI”, Museo G.Fattori; “Cartam”, Museo del Presente, 2019; “Induced Spirits”, Spazio Microba, 2018; XVIII Biennale di Penne, 2015; “Nella coda sta il veleno”, Fondazione Pino Pascali, 2013; “Afrodita”, Arte Fiera Bologna, Alcenero, 2012; Premio Internazionale di Pittura “Zingarelli” Rocca delle Macìe, 2010. Nel 2014 è stato protagonista di Contronatura, cortometraggio di Alessandro Piva incentrato sul rapporto tra l’artista, le sue opere e il territorio circostante. Dal 2015 collabora frequentemente con Pietre Vive Editore, con il quale pubblica nel 2019 la sua prima importante monografia, “Famiglio”, e per la rivista indipendente di arte, moda e cultura: “The Bloody Mary Magazine”, con la rubrica “Arcano”.

𝗖𝗼𝗺𝗲 𝗻𝗮𝘀𝗰𝗲 𝘂𝗻𝗮 𝘁𝘂𝗮 𝗼𝗽𝗲𝗿𝗮?
Mi metto davanti al foglio o alla tela bianca, aspetto che si crei mentalmente una composizione rispetto a ciò che voglio dipingere, dopodiché vado per tentativi. Non ho quasi mai un’idea precisa, un bozzetto, qualcosa di programmato, tant’è vero che, molti dei miei soggetti, son mutazioni — di esseri umani, di animali, di piante —, quindi tutto sta a iniziare, dopodiché l’opera si crea da sola col tempo. Non so cosa uscirà.

𝗖𝗼𝘀’𝗲’ 𝗽𝗲𝗿 𝘁𝗲 𝗹’𝗶𝘀𝗽𝗶𝗿𝗮𝘇𝗶𝗼𝗻𝗲?
Non so se l’ispirazione esista, l’ho sempre trovato e lo trovo ancora un concetto abbastanza astratto, un po’ favolistico. Esiste l’osservazione, lo studio, l’interesse per un concetto o un oggetto. Dopodiché, chi ha necessità di creare un’opera mette insieme tutti questi aspetti e la crea. Non ci sono chiamate. Realizzare un’opera è un esercizio: nel mio caso, una serie di tentativi e quindi una serie di esercizi. Non mi aspetto una chiamata dall’alto, perché non arriva. Possiamo quindi sfatare il mito de “aspetta, che l’ispirazione ti arriva”, decisamente. O, forse, questo stesso processo, che è fatto di osservazione, studio ed esecuzione, si è soliti chiamarlo ispirazione: se è così, allora quella è l’ispirazione anche per me.

𝗤𝘂𝗮𝗹𝗶 𝘀𝗲𝗻𝘁𝗶𝗺𝗲𝗻𝘁𝗶 𝗽𝗿𝗼𝘃𝗶 𝗺𝗲𝗻𝘁𝗿𝗲 𝗱𝗶𝗽𝗶𝗻𝗴𝗶?
In realtà quando dipingo son molto concentrato: una delle poche volte che lo sono, è proprio mentre lavoro — cioè, dipingo. Ho realizzato delle opere — singole o in ciclo — in cui, in stato di trance, ascoltavo i suggerimenti di altre persone o entità durante l’esecuzione. Quindi, non provo sentimenti nel durante, provo semmai sorpresa alla fine. Prima di un’esecuzione, siccome non credo nell’ispirazione, c’è semplicemente il mio darmi un orario e mettermi a lavoro, perché il mio è un lavoro — per sfigati e depressi, forse (sono ironico), ma lo è.

𝗨𝗻 𝗮𝗿𝘁𝗶𝘀𝘁𝗮 𝗰𝗵𝗲 𝘀𝘁𝗶𝗺𝗶 𝗽𝗮𝗿𝘁𝗶𝗰𝗼𝗹𝗮𝗿𝗺𝗲𝗻𝘁𝗲.
Sarò ridondante, ma ogni volta che me lo chiedono rispondo sempre e solo Carol Rama, perché mi piace la sua libertà — come persona e come artista —, la sua umiltà, il suo coraggio: perché negli anni ‘20 e ‘30 dipingere opere come La Dorina o L’Appassionata, con nudità e sesso trattati in quella maniera da una donna italiana, era un’azione veramente coraggiosa. inoltre le sue opere sono così piccole… è stata molto se stessa. E ha imposto il suo stile, che a me piace tanto. Non è chiaramente la sola: mi piace la maestria e l’abilità pittorica di Marlene Dumas, specie per quanto concerne l’acquerello, mia tecnica di punta; adoro l’essenzialità, la raffinatezza, la purezza e la capacità di togliere da un punto di vista materico ma di riempire da un punto di vista spirituale caratteristici di Mariko Mori, oltre a una presenza scenica delle sue opere che non è da poco. Mi piace in genere la pittura italiana degli artisti tra le due guerre, ma anche la performance art. Mi commuove Joseph Beuys che parla a una lepre morta, o che pianta una foresta di querce. Così come mi dà tanto coraggio ORLAN che s’impianta le corna sottocutanee, e quindi l’uso del corpo come oggetto d’arte. Come vedi, è difficile rispondere a questa domanda: mi piace tanto di tanti artisti. E tutto di tutti loro assieme mi ha formato dal punto di vista artistico e umano.

𝗣𝗿𝗼𝗴𝗲𝘁𝘁𝗶 𝗳𝘂𝘁𝘂𝗿𝗶?
Guarire dalla depressione, e qualche altra mostra — ma non avendo ancora fissato una data, non posso ancora dirlo. Rimanete connessi!

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