SABRINA DI GIACOMO

SABRINA DI GIACOMO nasce a Canosa di Puglia il 20 maggio del 1976. Fin da piccola, manifesta una predisposizione naturale per il disegno e per l’utilizzo del colore, che si trasforma in una vera e propria passione. Nonostante ciò, decide di non frequentare una scuola d’arte e si dedica alla ricerca artistica da autodidatta. I primi lavori sono disegni su carta, che mescolano colori acrilici, vernici e smalti per unghie ma dopo aver completati decide di strapparli senza alcun rimpianto. Questa pratica del creare e distruggere, che rievoca molto i mandala indiani (figure sacre disegnate con la sabbia che vengono distrutte dopo un breve periodo) si ripete per molti anni, fino al 2001, anno in cui Sabrina si iscrive alla facoltà di Filosofia presso l’Ateneo di Bari. Qui incontra il Prof. Franco Fanizza, docente Ordinario di Estetica che, dopo aver scoperto la sua passione per la pittura, si interessa alle sue creazioni e le consiglia di rendere nota la sua attività artistica. Da quel momento iniziano anni molto produttivi: la carta viene sostituita dalla tela, dalla yuta e dal legno e non solo, l’artista inizia a personalizzare capi di abbigliamento e a creare accessori moda che mescolano l’unicità dell’arte al quotidiano. Inizia il periodo delle mostre e delle collaborazioni con stilisti e boutique. Arrivano anche due premi importanti: il premio della Critica, ricevuto durante il concorso organizzato dalla Galleria d’Arte Trevisi Accademie, nella città di Treviso, nel 2008 e il Terzo posto al Medit Summer Fashion, tenutosi a Bari nel 2009, un appuntamento in cui l’arte e la moda si incontrano sulla passerella. Attualmente vive a Milano, e oltre a dedicarsi all’arte è docente a contratto presso l’Università di Urbino “Carlo Bo” e docente specializzata sul sostegno presso la scuola superiore di secondo grado.

𝗖𝗼𝗺𝗲 𝗲’ 𝗰𝗼𝗺𝗶𝗻𝗰𝗶𝗮𝘁𝗼 𝗶𝗹 𝘁𝘂𝗼 𝗽𝗲𝗿𝗰𝗼𝗿𝘀𝗼 𝗮𝗿𝘁𝗶𝘀𝘁𝗶𝗰𝗼?
L’arte ha sempre fatto parte della mia vita: era il modo per comunicare pensiere ed emozioni. Infatti, non ho mai pensato di dover frequentare un percorso di studi artistici perché volevo che lo spazio creativo fosse un luogo dell’anima nel quale coltivare tutto me stessa, lontana dagli occhi del mondo. Infatti, per un lungo periodo ho sempre strappato i disegni che creavo senza alcun rimpianto, perché. Tutto è cambiato nel 2006, quando ho deciso di lasciare il lavoro da impiegata dopo 11 anni perché stavo per laurearmi in Filosofia e volevo dedicarmi alla tesi e a costruire un nuovo progetto di vita.In quella circostanza, un collega di lavoro con un grande spirito d’osservazione, aveva notato i miei disegni, e così decise di farmi una sorpresa: mi regalo’ un cavalletto con dei colori, consigliandomi di coltivare questa passione. Prima di allora non avevo mai dipinto su tela ma avevo voglia di sperimentare e così a partire dal mese di dicembre del 2006 è iniziato un periodo molto fecondo dal punto di vista artistico che, in soli due anni mi ha portata a produrre più di 21 tele. Dipingevo, fotografavo i miei quadri e poi spedivo le foto in giro per l’Italia a vari concorsi artistici per ricevere pareri esperti. A Bari, a notare i miei quadri fu il prof. Franco Fanizza, professore ordinario di Estetica. Aveva apprezzato soprattutto i dipinti astratti che gli ricordavano i ricami orientali, infatti, ne acquistò due per arredare il suo studio. Nel 2007 arrivò la selezione per la Biennale di Genova e poi nel 2008 il premio della critica presso Trevisi Accademie e da allora ci sono state numerose soddisfazioni che mi hanno permesso di essere apprezzata, in particolare oltre i confini della Puglia.

𝗖𝗼𝗺𝗲 𝗽𝗿𝗲𝗻𝗱𝗲 𝘃𝗶𝘁𝗮 𝘂𝗻𝗮 𝘁𝘂𝗮 𝗼𝗽𝗲𝗿𝗮?
Le mie opere sono un guizzo spontaneo che sgorga dall’anima. Prendono vita dalle emozioni che mi abitano, raccontano una storia, un’esperienza, un sogno, un momento di debolezza. Sono vicine alle fragilità umane, raccontano ciò che sfugge agli occhi fisici ma non a quelli dell’anima. Non ho mai un progetto, ma solo la voglia di creare, di dare colore e forma a qualcosa che sento, che altrimenti resterebbe invisibile. Soltanto dopo aver creato riesco a dare senso a ciò che vedo davanti a me. Comprendo che si tratta di un riflesso del mondo in cui vivo e del modo in cui io stessa lo abito.

𝗖𝗼𝘀’𝗲’ 𝗽𝗲𝗿 𝘁𝗲 𝗹’𝗶𝘀𝗽𝗶𝗿𝗮𝘇𝗶𝗼𝗻𝗲?
L’ispirazione è un lampo che illumina una notte buia. E’ un momento di comprensione, è una visione dall’alto: per un attimo riesci ad essere aquila per volare sui fatti del mondo per coglierne l’essenza. Per ogni artista è uno stato di grazia suprema da vivere intensamente.

𝗖𝗼𝗺𝗲 𝗱𝗲𝘀𝗰𝗿𝗶𝘃𝗲𝗿𝗲𝘀𝘁𝗶 𝗹𝗮 𝘁𝘂𝗮 𝗮𝗿𝘁𝗲?
Un tripudio di colori, una mescolanza di esperienze e di esperimenti. E’ un mosaico di vita che cerca la tela per raccontarsi.

𝗨𝗻 𝗮𝗿𝘁𝗶𝘀𝘁𝗮 𝗰𝗵𝗲 𝘀𝘁𝗶𝗺𝗶 𝗽𝗮𝗿𝘁𝗶𝗰𝗼𝗹𝗮𝗿𝗺𝗲𝗻𝘁𝗲?
Quando ho iniziato a dipingere, ho visitato diverse mostre d’arte ma quella che mi colpì maggiormente fu l’esposizione, presso la Triennale di Milano, delle opere di un giovane artista morto a soli 28 anni: J. M. Basquiat. Le suo opere mi colpirono per la purezza, per l’uso del colore per l’anarchia con la quale distrugge ogni regola pittorica in nome del suo stile. Ricordavano gli scarabocchi infantili, quell’atto impellente che testimonia il desiderio umano di lasciare traccia della propria esistenza. Si percepiva la sua essenza, lui era in ogni sua opera ed era riuscito a creare uno stile unico.
Un’artista che invece ho ammirato e stimato per la forza con cui ha saputo reagire alle ostilità del suo tempo è Artemisia Gentileschi, pittrice di scuola caravaggesca che in quanto donna, soffrì molto per trovare un suo spazio in un mondo che sembrava, di diritto, appartenere solo agli uomini. L’anno scorso, a Palazzo Reale a Milano sono andata a visitare una mostra che raccoglieva opere di artiste del ‘500 e ‘600. Tra questi dipinti vi era anche un ritratto della Maddalena di Artemisia Gentileschi salvato dall’esplosione avvenuta a Beirut, in Libano, nell’agosto del 2020. Il quadro conserva ancora i segni dell’esplosione quasi a testimoniare il difficile percorso delle donne nell’arte. Quell’immagine si è impossessata di me.

𝗦𝗼𝗴𝗻𝗼 𝗻𝗲𝗹 𝗰𝗮𝘀𝘀𝗲𝘁𝘁𝗼?
Ho imparato a non rinchiudere i sogni nei cassetti, rischiano di sciuparsi.

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