Solaria, nata a Pisa nel 1975 e residente a Bollate, in provincia di Milano, è un’artista visiva emergente di origini toscane. Dopo un percorso professionale nel campo dell’analisi dati, del marketing e attualmente nel settore immobiliare, ha intrapreso un’esplorazione personale dell’arte visiva, che si è progressivamente trasformata in una pratica creativa sempre più consapevole. Attraverso tecniche miste su carta e tela, il suo lavoro indaga il simbolismo come linguaggio dell’anima, restituendo attimi in cui la quotidianità si carica di significati profondi: oggetti che evocano memorie, paesaggi interiori, sogni che si intrecciano con la realtà. La sua formazione in Metodi Quantitativi per l’Economia presso l’Università di Pisa ha affinato uno sguardo analitico che, nelle sue opere, si traduce in un’attenta rielaborazione emotiva e visiva del reale. Viaggiatrice appassionata e tour leader, porta nei suoi lavori suggestioni e frammenti di mondi lontani, che si fondono in un immaginario intimo e stratificato. Attualmente sta muovendo i primi passi nel panorama artistico, partecipando a concorsi come il Premio Combat 2025, con l’intento di far crescere la propria ricerca e dare voce a un linguaggio espressivo in continua evoluzione.
Cos’è per te l’arte?
Per me l’arte è un dialogo silenzioso tra ciò che vedo e ciò che sento. È quel linguaggio che emerge quando le parole non bastano più, una finestra attraverso cui posso dar forma a quelle emozioni che abitano gli spazi silenziosi della vita quotidiana. L’arte è il modo in cui riesco a fermare quei momenti fugaci in cui il banale rivela improvvisamente un significato più profondo. È un ponte tra la realtà che tutti vedono e quella realtà interiore che spesso rimane nascosta.
Quali sono i simboli ricorrenti nel tuo lavoro e che significato assumono per te?
L’acqua è sicuramente un elemento che ritorna spesso nei miei lavori – come nei “Riflessi di Estate” o in “Oltre la tempesta”. Per me rappresenta quella fluidità emotiva che caratterizza la nostra esistenza, ma anche la capacità di riflettere e distorcere ciò che vediamo. Gli animali, come nel dittico “Contrasti selvaggi”, sono l’espressione di quelle forze contrastanti che sento dentro di me: la quieta potenza del leone e l’irrequieta libertà del cavallo nero. E poi ci sono le figure umane spesso parziali o di spalle, che rivelano quella sensazione di essere “divisa in due parti” – quella che tutti vedono e quella che osserva il mondo da dietro un vetro.
Come riesci a bilanciare la tua attività professionale con quella artistica, e in che modo si influenzano a vicenda?
Il bilanciamento è una sfida quotidiana e molto concreta. La verità è che spesso manca il tempo, con le giornate interamente assorbite dal lavoro. È così che la notte è diventata il mio rifugio creativo – quelle ore silenziose dopo cena fino a tarda notte, quando il resto del mondo dorme e io finalmente posso dedicarmi alla pittura. Questo significa, inevitabilmente, sacrificare ore di sonno, svegliarmi talvolta esausta ma con la soddisfazione di aver dato spazio a quella parte di me che ha bisogno di esprimersi. Non è sempre facile, ma è una necessità. I due mondi si nutrono a vicenda: quando sono troppo presa dalla razionalità del lavoro, dipingere mi riporta all’emozione; quando mi perdo nell’espressione artistica, la mia formazione analitica mi aiuta a dare struttura a ciò che voglio comunicare.
Cosa cerchi nei tuoi soggetti quando decidi di dare forma a un’emozione o a un ricordo?
Cerco sempre quel punto di tensione dove l’ordinario diventa straordinario. Mi attraggono i momenti di transizione: la luce che irrompe tra le nuvole in “Oltre la tempesta”, il contrasto tra quiete e movimento, tra forza e vulnerabilità. Quando un soggetto cattura la mia attenzione, spesso è perché risveglia una risonanza emotiva, qualcosa che riconosco come vero nella mia esperienza. Non cerco mai di rappresentare l’emozione in modo diretto, ma piuttosto di trovare quella metafora visiva che permette allo spettatore di riconoscere qualcosa di sé nell’opera.
In che modo il tuo sguardo “quantitativo” si intreccia con la tua sensibilità artistica?
La mia formazione in Metodi Quantitativi mi ha insegnato che dietro il caos apparente si possono trovare modelli e strutture. Quando dipingo, parte di me sta ancora cercando quell’ordine nascosto nelle emozioni e nelle esperienze. C’è una precisione nella composizione, un certo rigore nella scelta dei contrasti cromatici che deriva sicuramente dal mio background. Ma paradossalmente, è proprio questa capacità di riconoscere i modelli che mi permette poi di infrangerli consapevolmente, di lasciare spazio all’intuizione. È come se la struttura matematica fornisse l’impalcatura su cui poi l’emozione può danzare liberamente.
C’è un viaggio o un luogo che ha segnato particolarmente la tua ricerca visiva?
Le mie esperienze come tour leader hanno arricchito enormemente il mio immaginario visivo. Un viaggio in particolare ha lasciato un’impronta indelebile: attraversare l’Andalusia, con quella luce particolare che trasforma i paesaggi nell’arco della giornata. Ma c’è anche la Toscana, la mia terra d’origine, e in particolare il mare di Livorno, che ritorna costantemente nel mio lavoro. Quel blu profondo che sfuma in tonalità di verde e turchese, la luce che rimbalza sulla superficie dell’acqua creando infinite variazioni – è un paesaggio che porto dentro di me e che emerge, talvolta inconsciamente, in molte mie opere marine. È un dialogo continuo tra le memorie visive dei miei viaggi e le radici che mi legano alla costa toscana.
Come vivi il rapporto con il tempo nel tuo processo creativo, soprattutto nei momenti in cui la quotidianità sembra rallentare o accelerare?
Il mio rapporto con il tempo quando dipingo è paradossale. Da un lato, entrare nel mio studio – che in realtà è una stanza tutta mia in casa, non enorme ma interamente dedicata alla mia arte – significa spesso perdere completamente la cognizione del tempo, immergermi in quella dimensione in cui due ore possono sembrare dieci minuti. Quella stanza, con i suoi odori di pittura e solvente, con le tele appoggiate alle pareti, diventa uno spazio fuori dal tempo. Dall’altro, proprio questa sospensione temporale mi permette di rielaborare quei momenti della vita quotidiana in cui il tempo sembra accelerare vertiginosamente. La pittura diventa uno spazio di decantazione, dove le esperienze possono sedimentare e rivelare il loro significato più autentico. Spesso lavoro su più tele contemporaneamente, lasciandole “riposare” per giorni o settimane, ritornandoci quando sento che sia io che l’opera siamo pronti per continuare il dialogo.
Quale tipo di trasformazione desideri suscitare nello spettatore attraverso le tue opere?
Non cerco di imporre un’interpretazione o un sentimento specifico. Ciò che spero è di creare un momento di pausa, un invito a fermarsi e riconoscere qualcosa di sé nell’opera. Mi piacerebbe che chi guarda i miei dipinti sentisse quella stessa sensazione di scoperta che provo io quando, improvvisamente, un oggetto comune o un paesaggio quotidiano rivela un significato più profondo. Se le mie opere riescono a creare quel piccolo spazio di riflessione in cui lo spettatore può incontrare non solo la mia visione ma anche qualcosa della propria interiorità, allora hanno raggiunto il loro scopo.
Hai già immaginato una direzione futura per il tuo linguaggio espressivo, o preferisci lasciarti guidare dall’intuizione?
Sono all’inizio del mio percorso artistico e sento che sarebbe prematuro definire rigidamente una direzione. In questo momento sto esplorando, sperimentando tecniche diverse, osservando quali elementi del mio linguaggio emergono con più forza. Mi piace anche scrivere, per ora piccole cose – riflessioni, didascalie ai quadri e alle foto. Chissà, magari in futuro tutti questi pensieri li raccoglierò in un libro illustrato… vedremo. Tornando alla pittura, noto che mi sto muovendo verso un dialogo sempre più intenso tra figurativo e astratto, cercando quel punto di equilibrio in cui un soggetto riconoscibile diventa veicolo di emozioni più universali. Il futuro lo immagino come un’evoluzione organica di ciò che già sto esplorando, guidata sì dall’intuizione, ma anche dal dialogo con altri artisti e con chi guarda le mie opere.
Descriviti in tre colori.
Blu profondo, come quello che uso nei miei mari e cieli, per quella capacità di contenere sia la calma che la tempesta. Ocra dorato, caldo e terreno, che rappresenta la concretezza e la capacità di radicarmi nel presente. E un rosso vivo ma non aggressivo, come quello di “Navigazione la rossa”, che parla della passione e del coraggio necessari per seguire la propria rotta, anche quando le acque si fanno agitate.




