VERONICA AQUINO

VERONICA AQUINO

Veronica, nasce a Torre Annunziata (NA) il 18/11/1988. Dopo la maturità in Arte Applicata, intraprende gli studi all’Accademia di Belle Arti di Napoli, indirizzo “Scenografia” alla triennale, specializzandosi poi nel 2018 in “Fotogiornalismo”. Frequenta un corso di Alta Formazione promosso dal Giffoni Film Festival, come “Autore di Cinema, TV e Web”. Dopo la collaborazione con diversi studi fotografici come fotografa e ritrattista, diventa libero professionista in Fotografia, Pittura e Ritrattistica. Nel 2019 partecipa al concorso di Pittura a cura di “Dantebus, l’arte oggi va subito lontano”, che seleziona una sua opera dedicandole una recensione. Nel 2020 partecipa alla rubrica di “Altro Spazio D’Arte” con “L’artista racconta”, rilasciando un intervista di presentazione. Nello stesso anno partecipa a due mostre “Riflessi di te” e “Alternative di vita e di pensiero”, presso l’Art Saloon: Frames Art e Design di Ariccia (Roma). Nel periodo del LockDown partecipa con un video di presentazione, al videozine “L’arte resta in pigiama”, creato da Nando Sorrentino. A giugno 2022 partecipa alla serata di Premiazione dei Corti-Cultural Classic presso il Teatro di Palma Campania, con l’opera “Rinascere si può”. A luglio 2022 partecipa alla mostra “Rinascere si può” organizzata e curata da Nando Sorrentino curatore d’arte e dall’amministrazione comunale di Positano, con la partecipazione dell’artista napoletano Domenico Sepe. A novembre 2022 partecipa nuovamente alla mostra collettiva d’arte, contro la violenza sulle donne promossa da Art Saloon: Frames Art e Design di Ariccia (Roma), allestita presso Ospedali dell’ASL Roma 6. Nel 2023 realizza la copertina del libro “Chiedi alle fiamme”, la raccolta dei Nottambuli curata dallo scrittore Stefano Regolo.

Cos’è per te l’arte?

L’arte è sempre stata la mia amica fedele: è come uno specchio dove ognuno può riflettersi.
L’arte è emozione, tormento, trasformazione e terapia.

In che modo il tuo percorso in scenografia ha influenzato il tuo approccio alla fotografia e alla pittura?

Lo studio di questo indirizzo mi ha aperto le porte alla bellissima realtà del teatro, che è fatta di luci, colori, musiche e immagini. L’insieme di queste dimensioni, mi ha spinto a ricercare nella fotografia una costruzione di tutti questi elementi: dalla scena all’inquadratura, dai colori alla luminosità, dalle musiche al silenzio che racconta. In sintesi, la nascita della mia fotografia.

Cosa ti ha spinto a specializzarti in fotogiornalismo dopo la triennale in scenografia?

L’incontro con il grande fotoreporter napoletano Luciano D’Alessandro durante il percorso accademico. Ebbi modo di conoscere la straordinaria documentazione sociale che aveva svolto negli anni 50/60, denunciando le disumane condizioni dei pazienti all’interno dei manicomi. Lo scelsi come tema della mia tesi di laurea, dopodichè ebbi l’onore di intervistarlo. Mi invitava alla ricerca della verità delle foto e della sua capacità di sintesi.

C’è un filo conduttore che lega le tue opere pittoriche, fotografiche e ritrattistiche?

L’impronta del mio io interiore, utilizzando spesso l’occhio come fonte d’ispirazione sia in fotogrammi, sia su tela che su fogli di carta. Un biglietto da visita per farmi riconoscere senza l’utilizzo di parole. Le immagini parlano da sé…

Come è cambiato il tuo modo di creare durante e dopo il lockdown?

Il lockdown mi ha permesso di riscoprirmi anche come pittrice: l’impossibilità di potersi spostare in quel periodo per comprare cose che non fossero di prima necessità, mi ha portato a sperimentarmi con tutto quello che avevo a portata di mano. Utilizzavo cartonati per lavori di ristrutturazione, fogli di vecchi giornali, oppure dipingevo la pelle dei miei nipoti entrando in contatto così anche con una nuova forma artistica, ovvero la bodypainting. Ha modificato e ampliato il mio concetto di artista.

Qual è stato il significato più profondo per te nel partecipare a una mostra contro la violenza sulle donne?

Il reportage realizzato per documentare la violenza sulle donne, è stato un progetto nato durante il mio percorso accademico e diventato poi anche oggetto d’esame. Credo che indipendentemente dal fatto di essere una donna, ognuno di noi debba avere la propria responsabilità a denunciare ogni forma di violenza, che sia anche quella verbale. D’altronde fin da piccola non ho mai sopportato le ingiustizie e sicuramente questo è motivo d’impegno maggiore a sensibilizzare gli altri.

L’esperienza con il Giffoni Film Festival ha influenzato anche il tuo modo di raccontare storie visivamente?

L’esperienza al Giffoni Film Festival è di per sé un’esperienza unica, influenza positivamente i tuoi canali di pubblicità grazie all’utilizzo intelligente dei media.

Ci sono temi o emozioni che ritornano spesso nel tuo lavoro?

Amo spesso intitolare i miei lavori “Stati d’animo”, proprio perché esprimo essenzialmente l’anima nelle mie opere. L’amore, i tabù, la religiosità, l’inquietudine, gli stati d’animo, sono presenti costantemente nelle mie opere. Sono un’anima inquieta, questo prevale inevitabilmente…

Come scegli i soggetti dei tuoi ritratti? Cosa cerchi di far emergere nei volti che dipingi o fotografi?

Spesso i ritratti sono lavori su commissione. Mi avvicino il più possibile all’identità che realizzo attraverso una mia personale interpretazione, lasciando venir fuori la loro essenza.

Qual è stata l’esperienza artistica più formativa o trasformativa per te finora?

La pubblicazione del mio libro “Le finestre dell’arte”. Le varie presentazioni mi hanno permesso di mettermi a nudo come artista e come donna. Raccontarsi è sempre terapeutico.

Che rapporto hai con la tua terra d’origine, e come si riflette (se si riflette) nella tua arte?

Ho un rapporto viscerale con la mia terra, ho uno spiccato senso di appartenenza che viene fuori soprattutto quando sono lontana per lavoro. Tema anche di alcune mie opere intitolate “Terra mia” e “Donna Napoli”, esprimono palesemente la simbiosi con essa.

Descriviti in tre colori.

Decisamente bianco, rosso e nero.

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