Mira è un’artista nata nel 1983 a Kerch, antica città affacciata sul Mar Nero, dove vento, acqua e mito si fondono in un paesaggio carico di simboli e ispirazione. Fin dall’infanzia ha sentito l’arte come un linguaggio primario, una risposta istintiva alle emozioni, molto prima delle parole. Cresciuta in una famiglia che le ha trasmesso il valore della coscienza e della libertà interiore, ha mosso i primi passi nella formazione artistica frequentando la scuola d’arte e il college, anche se l’università è rimasta un sogno non realizzato. I suoi veri maestri sono stati la vita stessa, il dolore e l’ispirazione. Nel 2007 lascia Kerch per trasferirsi a Kyiv, dove apre il suo atelier, partecipa a mostre e presenta la sua prima collezione personale. L’invasione dell’Ucraina sconvolge la sua traiettoria e la conduce a Berlino, dove continua a dipingere con intensità emotiva, trasformando ogni opera in un atto di memoria e resistenza. Le sue tele diventano veicolo di testimonianza e sostegno, con i proventi delle mostre destinati al suo Paese. Successivamente si trasferisce in Portogallo, dove realizza una collezione di 22 grandi tele e organizza diverse esposizioni, senza tuttavia trovare radicamento. Il suo percorso la conduce infine in Italia, terra in cui la bellezza e la storia si respirano ovunque, e dove prosegue la sua ricerca personale e artistica. Mira Sovia si definisce artista della pittura e della trasformazione visiva: realizza opere su commissione, partecipa a mostre e lavora su superfici di ogni genere, dai tessuti al vetro, dal cemento ai soffitti. Per lei non esistono limiti spaziali o tecnici: ogni superficie può diventare un campo espressivo. L’arte, per lei, non è un mestiere ma una confessione: un viaggio esistenziale in cui ogni tratto di pennello è un passo verso la luce.
Cos’è per te l’arte?
L’arte è il mio modo di respirare, amare, comprendere il mondo e parlare di ciò che non si può esprimere con le parole. È la mia bussola interiore, che mi ha salvata più volte nella vita. È la mia lingua personale, attraverso cui comunico con lo spettatore.
Cosa rappresenta per te la luce, che ricorre come simbolo nella tua biografia e nella tua arte?
La luce per me è la luminosità dell’anima, la nascita. È qualcosa che esiste in ognuno di noi. E se riusciamo a manifestarla, ad aprire questo nostro “vaso di Pandora” interiore, allora liberiamo una forza che carica di energia tutto ciò che ci circonda. Nelle mie opere non è mai un semplice ornamento, ma una forza interiore, un promemoria che anche attraverso l’ombra e il dolore si può arrivare alla vita e alla luce.
Come riesci a trasformare il dolore e la memoria in materia creativa senza che perdano la loro intensità emotiva?
Non nascondo i sentimenti, anzi, li vivo sulla tela. Il dolore non scompare, ma si trasforma in forma, colore, gesto. Lascio che l’emozione resti viva, ma la traduco in un linguaggio universale, affinché ognuno possa sentirla a modo proprio. Non dipingo sangue e ferite: le mie emozioni diventano metafora, e per qualcuno possono sembrare perfino un’alba.
Lavori su superfici molto diverse tra loro: cosa ti guida nella scelta del supporto per ogni opera? È il messaggio, l’istinto o il contesto?
È sempre un dialogo tra idea, sensazione e materiale. A volte sento che un’opera deve nascere su tela, altre volte su una vecchia tavola, su carta o persino su un mobile. Ogni pensiero ha bisogno del suo corpo, della sua pelle. Per esempio, mi capita di acquistare un abito semplice per un evento e poi iniziare a dipingerci sopra, perché lo vedo come una tela vuota. Così creo un’immagine che riflette il mio stato interiore e il messaggio del momento. Anche questo per me è arte: animare il tessuto, trasformarlo in estensione del dipinto, oppure completare l’immagine di una persona nella sua unicità.
Qual è stato il passaggio più difficile nel tuo percorso tra Ucraina, Germania, Portogallo e infine Italia? E quale luogo ti ha dato più forza artistica?
Il momento più difficile è stato dire addio alla mia casa a Kyiv, rendermi conto che forse non ci tornerò più — o non presto. Il luogo che mi ha dato più forza è stato l’Italia: qui, per la prima volta dopo tanto tempo, ho sentito di poter mettere di nuovo radici e creare un luogo di forza, per me e per chi mi segue.
Come cambia il tuo modo di dipingere quando lavori su commissione rispetto a quando crei per te stessa o per una mostra?
Quando dipingo per me stessa, seguo il flusso, sono libera. Quando lavoro su commissione, entro in dialogo con un’altra persona, ma cerco comunque di non perdere la mia autenticità. È come una danza: accolgo l’emozione dell’altro e la vivo attraverso di me per creare qualcosa di sincero. Nei lavori su commissione ho imparato ad ascoltare non solo la mia voce, ma anche quella di chi desidera esprimersi attraverso le mie mani.
Hai mai pensato di raccontare il tuo viaggio anche attraverso le parole, magari con un libro o un progetto narrativo che accompagni le tue opere?
Sì, ci penso spesso. Nei miei quaderni ci sono già frammenti di ricordi, frasi nate insieme ai dipinti. Una volta ho anche provato a iniziare a scrivere, ma non avevo abbastanza energia. Forse, quando sentirò che tutto può unirsi, diventerà un libro.
C’è un’opera, tra tutte quelle che hai realizzato, che consideri una sorta di autoritratto invisibile?
Ho un’opera realista in cui ho ritratto me stessa, e in molte altre ho usato le mie pose, il mio corpo. Ce ne sono tante, ma la cosa più importante è che in tutte vive il mio carattere. Ed è estremamente vario: dal “più” al “meno”, dall’oscurità alla luce, dal dolore profondo alla felicità sfrenata.
In che modo le esperienze della guerra e del dislocamento hanno influenzato la tua percezione dell’identità artistica e personale?
Hanno distrutto vecchie strutture e limiti, ma mi hanno permesso di arrivare all’essenza. Nel mio cammino ho incontrato molti artisti che hanno cambiato il mio modo di pensare e creare. Non sono più un’artista legata a una geografia: sono un’artista del cammino, del mondo.
Che significato ha per te oggi il concetto di “casa”? È più un luogo fisico o uno stato d’animo legato alla tua espressione artistica?
Oggi casa è dove posso dipingere ed essere me stessa. Non sono le mura, ma ciò che mi circonda: la sensazione di pace e conforto interiore. È il posto dove nascono i miei “figli”, le mie tele.
Guardando avanti, c’è un sogno artistico che senti ancora intatto, qualcosa che desideri profondamente realizzare?
Sì, sogno uno studio-galleria tutto mio, uno showroom e al tempo stesso un laboratorio creativo. Un luogo bello e accogliente dove poter creare, condividere, organizzare incontri, mostre, scambi. È la mia isola dei sogni, e credo ancora che diventerà realtà. Spero che accada proprio in Italia, il paese dove l’arte, come la intendiamo oggi, è nata.









Grazie mille